La rivoluzione venezuelana al bivio

Italian translation of The Venezuelan Revolution at the crossroads (January 11, 2008)

La rivoluzione venezuelana è stata una fonte di ispirazione per gli operai, i contadini, i giovani di tutta l’America Latina e del mondo intero. Negli ultimi dieci anni le masse venezuelane hanno fatto miracoli, ma la rivoluzione venezuelana non è ancora completata e non lo sarà fin quando non avrà espropriato l’oligarchia, nazionalizzando le terre, le banche e le industrie chiave che sono ancora in mani private. Dopo circa un decennio, questo compito non è ancora stato portato a termine, e proprio in questo sta la grande minaccia al futuro della rivoluzione.

L’oligarchia venezuelana è ferocemente contraria alla rivoluzione, ed al suo fianco milita l’imperialismo Usa. Prima o poi la rivoluzione venezuelana si troverà di fronte ad un aut aut. Come la rivoluzione cubana riuscì ad espropriare i latifondisti ed i capitalisti, così quella venezuelana troverà i mezzi per seguire la stessa strada, che è davvero l’unica strada possibile.

La rivoluzione bolivariana è oggi ad un bivio: il punto critico nel quale occorre prendere decisioni che avranno un’influenza determinante sui suoi destini. A questo stadio di sviluppo della rivoluzione, il ruolo della leadership è decisivo, ma è proprio su questo che più grandi sono le criticità della situazione venezuelana. Possiamo dire senza timore di smentita che se in Venezuela fosse esistito un vero partito marxista, radicato nella classe operaia, la rivoluzione socialista ci sarebbe già stata da un pezzo. Tuttavia, non esistendo questo partito, la rivoluzione socialista rimane ad uno stato embrionale. Ed è questo il nocciolo del problema.

La questione della direzione

Nonostante tutto il parlare di socialismo, i passi fondamentali della rivoluzione socialista non sono stati compiuti. Questo è sostanzialmente un problema di leadership.  Hugo Chávez si è dimostrato un impavido combattente antimperialista ed un democratico coerente. Il coraggio, tuttavia, non basta per vincere una guerra, occorrono strategia e tattica corrette, ciò è valido sia per le guerre tra gli stati come per quella tra le classi.

I riformisti e gli stalinisti ribattono che “non ci sono le condizioni” per una rivoluzione socialista in Venezuela. Al contrario, le condizioni perchè una rivoluzione socialista sia vittoriosa sono infinitamente più favorevoli nel Venezuela di oggi che nella Russia del 1917. Non dimentichiamo, infatti, che la Russia zarista era un paese semifeudale, estremamente arretrato, con una classe operaia molto debole dal punto di vista numerico, non oltre i dieci milioni di persone su una popolazione di 150. Inoltre, nel febbraio del ’17, gli iscritti al partito bolscevico non erano più di ottomila in tutta la Russia, rispetto ai cinque milioni di iscritti al PSUV, la differenza è del tutto evidente.

Il rapporto di forze tra le classi in Venezuela, oggi, è incomparabilmente migliore di quello che si trovavano i bolscevichi nel 1917. Tuttavia questo non esaurisce la questione: nella storia delle guerre, infatti, quante volte imponenti eserciti di generosi soldati sono stati sconfitti da compagini più piccole, ma composte da soldati ben preprarati e guidati da buoni comandanti? Moltissime! Nelle rivoluzioni, come nelle guerre, la qualità dei comandanti è, in ultima analisi, decisiva.

Sotto la guida di Lenin e Trotsky, il partito bolscevico riuscì in pochissimo tempo a conquistare la maggioranza decisiva dei lavoratori e dei soldati, conducendoli alla presa del potere. Questo fu possible sulla base di idee marxiste chiare e di metodi che univano la fermezza ideologica su tutte le questioni fondamentali, alla flessibilità tattica necessaria per conquistare le masse alla causa della rivoluzione.

In Venezuela, l’esistenza di una tale direzione di partito avrebbe senza dubbio facilitato grandemente il compito della rivoluzione socialista. Purtroppo, un partito del genere non esiste, e le masse non possono stare ad aspettare che si crei. I settari ed i formalisti non comprendono né le masse, nè il modo in cui queste sviluppano la propria coscienza e si mobilitano per cambiare la  società. Per costoro è tutto molto semplice: basta proclamare la fondazione del partito rivoluzionario ed è fatta, senza curarsi che il partito abbia due iscritti o due milioni. Le masse, al contrario, i piccoli gruppi rivoluzionari non li vedono nemmeno, e si mobilitano senza prestarvi alcuna attenzione.

La rivoluzione non può essere diretta da piccoli gruppi rivoluzionari come un direttore dirigerebbe la sua orchestra. La rivoluzione ha vita e logica sue proprie, che non corrispondono agli schemi formalistici dei settari. La natura non contempla il vuoto pertanto, in assenza di una solida guida rivoluzionaria proletaria armata delle idee scientifiche del marxismo, la testa della rivoluzone è stata presa dal movimento bolivariano.

Questo movimento ricomprende milioni di lavoratori, contadini e giovani rivoluzionari che lottano con tutte le proprie forze per un cambiamento radicale nella società, per il socialismo. Essi personificano le proprie aspirazioni in Hugo Chávez, fondatore e leader indiscusso del movimento bolivariano, ed è naturale che sia così. Le masse sono sempre leali alle proprie organizzazioni ed ai dirigenti che li risvegliano alla vita politica, che danno un’espressione organizzata alle loro esigenze e le traducono in parole d’ordine.

Punti di forza e debolezze del movimento bolivariano

Questo sono i grandi risultati del movimento bolivariano che non possono essere messi in discussione. Il suo punto forte sta nell’essere ben radicato tra le masse, tra i milioni di lavoratori, contadini e poveri, da sempre senza voce che, finalmente, hanno trovato chi rappresenta le loro istanze. Nel consentire a milioni di persone di alzare la testa, dando loro una voce ed una speranza, il movimento bolivariano ha giocato un ruolo senz’altro progressista. Accanto a questo punto di forza, tuttavia, molte sono le sue debolezze.

La debolezza principale è che il movimento non ha un programma chiaro e definito, una strategia ed una linea politica precise che consentano di portare avanti le aspirazioni delle masse. Questo è comprensibile date le circostanze nelle quali il movimento si è sviluppato. Esso, infatti, non è il prodotto di un programma definito, ma deriva dall’espressione di generiche, ancorchè potenti, aspirazioni di giustizia sociale e nazionale. All’inizio del movimento questo non era un problema dal momento che corrispondeva appieno alla psicologia delle masse, che erano solo all’inizio di un processo di risveglio alla vita politica, per cui appena hanno capito che era possibile lottare per un cambiamento, hanno abbracciato entusiasticamente il movimento bolivariano. Questo è l’ingrediente di base della forza irresistibile che da un decennio scuote a fondo la società e la politica, in Venezuela e ben oltre.

In ogni caso, dialetticamente, quella che originariamente era una condizione di forza, ad un certo punto si è trasformata nel suo opposto. In assenza di un programma scientifico e di un’ideologia chiara e priva di ambiguità, il movimento è stato oggetto di pressioni da parte di forze di classe contrastanti, che si sono riflesse tra i suoi militanti e, soprattutto, tra i suoi dirigenti, fino a produrre una situazione instabile, dalle oscillazioni ed i tentennamenti continui. Queste contraddizioni che, in ultima analisi, riflettono le contraddizioni di classe, si ripercuotono sull’evoluzione politica dello stesso Chavez.

Il ruolo di Chávez

Nessun osservatore scevro da pregiudizi può negare che, negli ultimi dieci anni, Chavez ha avuto una marcata evoluzione politica. Partendo da un programma di rivoluzione democratica, si è trovato a scontrarsi ripetutamente con i latifondisti venezuelani, i banchieri, i capitalisti, la gerarchia della chiesa e l’imperialismo USA. In tutti questi scontri Chavez ha tratto la propria forza dal sostegno delle masse operaie, dei contadini, delle masse popolari, che rappresentano la vera forza motrice della rivoluzione bolivariana, la sua unica base di sostegno.

Alla fine, il suo percorso l’ha portato a schierarsi per il socialismo, cosa che costituisce uno sviluppo molto importante. Sebbene la natura di questo socialismo resti vaga, come del resto tutta l’ideologia bolivariana, i lavoratori la stanno riempendo di contenuti di classe: gli operai si sono mobilitati per occupare le fabbriche e gestirle sotto il controllo operaio, i contadini lottano per occupare le grandi proprietà fondiarie e fare lì la rivoluzione agraria dal basso.

La foza principale di Hugo Chávez non è la chiarezza delle sue idee, ma il fatto che esprime aspirazioni profondamente sentite delle masse. Chiunque sia stato ad una manifestazione di massa a Caracas avrà avuto modo di constatare la chimica elettrizzante che esiste tra il presidente e le masse. E’ come se si nutrissero l’un l’altro. Le masse vedono le proprie aspirazioni riflesse nei discorsi del presidente, il quale ne sente le reazioni e spinge ancora di più a sinistra, cosa che, a sua volta, da’ nuovo impulso alle aspirazioni popolari.

La borghesia ha ben compreso questa “chimica rivoluzionaria” e lavora tenacemente a spezzare il legame tra Chavez e le masse. La borghesia ha pianificato di uccidere il presidente, ritenendo che la sua scomparsa causerà la frammentazione e la disgregazione del movimento bolivariano. La borghesia ha organizzato una cospirazione tra i settori più elevati del movimento per sostituire il presidente con un candidato più “moderato”, cioè più malleabile alle sue pressioni. L’obiettivo principale della loro battaglia contro il referendum costituzionale non era certo quello di “evitare la dittatura” (perchè nessuna delle proposte di quel referendum può essere interpretata in tal senso), bensì quello di impedire a Chavez di candidarsi ancora alla presidenza, cosa che spianerebbe la strada al successo della cospirazione del “chavismo senza Chavez”.

E’ ben noto che la burocrazia controrivoluzionaria sta cercando di isolare Chavez  dalle masse creando una cortina di ferro attorno al palazzo Miraflores. La minaccia dell’assassinio di Chavez è reale e giustifica rigide misure di sicurezza che, però, possono essere utilizzate strumentalmente dai funzionari per filtrare e censurare i contatti del presidente, assicurandosi che solo alcune persone vi abbiano accesso, mentre altre ne sono escluse, evidentemente su basi politiche funzionali ai loro scopi. Con queste manovre, le pressioni delle masse e della sinistra si riducono, mentre quelle della borghesia e dei riformisti aumentano.

Perchè si è perso il referendum

Più volte le masse, mostrando un indomito istinto rivoluzionario, hanno sconfitto le forze della controrivoluzione. I dirigenti del movimento bolivariano, e le masse stesse, pertanto, si sono illusi che la rivoluzione fosse una specie di marcia trionfale che spazzasse via automaticamente qualunque ostacolo. Al posto di un’ideologia scientifica ed una coerente politica rivoluzionaria, perciò, ha preso piede una sorta di fatalismo rivoluzionario che ha ingenerato la convinzione che tutto andasse sempre per il meglio, che, quali che fossero gli errori dei dirigenti, le masse avrebbero sempre risposto, i controrivoluzionari sarebbero stati sconfitti e la rivoluzione avrebbe trionfato.

Il corollario di questo fatalismo rivoluzionario era l’idea che la rivoluzione bolivariana avesse tutto il tempo del mondo, che alla fine sarebbe comunque arrivato il socialismo, anche se si sarebbe dovuto aspettare cinquanta o cent’anni. E’ curioso che siano Heinz Dieterich ed altri a presentare queste idee (o meglio, questi pregiudizi) come nuove ed originali, mentre in realtà non sono altro che ciarpame ripescato dalla pattumeria del liberalismo del 19° secolo. La borghesia, infatti, in un epoca in cui era ancora in grado di giocare un ruolo progressista, sviluppando le forze produttive, credeva nell’inevitabilità del progresso: oggi è meglio di ieri e domani sarà meglio di oggi.

Questa convinzione, oggi abbandonata completamente dalla borghesia e dai suoi filosofi “postmoderni”, è stata, in seguito, assunta dai riformisti del movimento operaio internazionale, nel periodo di grande crescita del capitalismo, prima del 1914. I riformisti socialdemocratici sostenevano, infatti, che la rivoluzione non sarebbe più stata necesaria, giacchè col tempo, gradualmente, pacificamente, la socialdemocrazia avrebbe cambiato la società, finchè un bel giorno ci saremmo svegliati nel socialismo. Le illusioni riformiste si schiantarono contro l’esplosione della prima Guerra mondiale e della rivoluzione d’Ottobre che la seguì. Eppure, oggi, vengono ripescate dalla pattumiera della storia, rispolverate un poco e presentate come l’ultima novità in tema di “realismo” socialista del 21° secolo.

Ulteriore corollario è che la rivoluzione bolivariana debba limitarsi alle compatibilità delle leggi e delle costituzioni borghesi. È ridicolo sostenere una cosa del genere in un paese come il Venezuela, un paese in cui la borghesia ha mostrato chiaramente il proprio disprezzo per qualsiasi forma di legalità, imbarcandosi in tentativi di sabotaggio economico e cospirazioni continue, boicottando le elezioni, invadendo le strade con dimostrazioni violente, guidando un colpo di stato contro il governo democraticamente eletto in cui non avrebbe esitato a giustiziare il presidente ed istituire una dittatura sanguinaria sul modello del Cile di Pinochet se le masse non fossero intervenute a fermare i golpisti.

Tutto questo è ben noto e non necessita ulteriori spiegazioni. A difesa dei suoi interessi di classe, la borghesia si infischia di qualsivoglia legge o costituzione, mentre alle masse viene richiesto di attenersi scrupolosamente ad ogni virgola delle leggi vigenti ed obbedire alle “regole del gioco”, come se si trattasse di una partita di calcio o di scacchi. Ma la lotta di classe non ha nè regole, nè arbitri. La sola regola è che alla fine una classe deve vincere ed un’altra deve perdere e, come dicevamo gli antichi romani: Vae victis! (guai ai vinti).

All’inizio sembrava, tuttavia, che questi metodi funzionassero. Per quasi dieci anni le masse sono scese in campo compatte ad ogni referendum, ad ogni elezione, ed hanno votato massicciamente in favore di Chavez, per la rivoluzione bolivariana, per il socialismo. E’ davvero sorprendente come il livello di mobilitazione delle masse sia rimasto ad un grado così alto per un tempo così lungo. E’ del tutto senza precedenti nella storia, infatti, che una situazione rivoluzionaria duri dieci anni senza che si trasformi in una rivoluzione vittoriosa od in una controrivoluzione.

Le masse hanno votato per un cambiamento radicale delle loro condizioni di vita. Questo era chiarissimamente dimostrato dalle presidenziali del dicembre 2006, quando Chavez ottenne il maggiore plebiscito della storia del Venezuela: un mandato per il cambiamento. Tuttavia, sebbene alcune misure progressiste siano state emanate, ivi comprese alcune nazionalizzazioni, il passo del cambiamento è stato troppo lento perchè soddisfacesse le richieste e le aspirazioni delle masse.

Sarebbe stato del tutto possibile per il presidente introdurre una “Legge abilitante” che nazionalizzasse la terra, le banche e le industrie chiave sotto il controllo e la gestione operaia. Questo avrebbe non solo distrutto il sistema di potere dell’oligarchia venezuelana, ma sarebbe potuto avvenire in maniera sostanzialmente legale, da parte di un parlamento democraticamente eletto, che in una democrazia dovrebbe essere sovrano. In ogni caso, lasciamo queste considerazioni ai legulei: il popolo chiede, al governo che elegge, di agire, e di agire con decisione, per i suoi interessi di classe.

Invece, al posto di un’azione decisa contro l’oligarchia, cosa che avrebbe avuto l’appoggio entusiastico della mobilitazione delle masse, queste ultime si sono trovate di fronte all’ennesimo referendum. Ma quanti referendum, quante elezioni ci vogliono per fare quello che vogliono le masse? Tutte queste tornate elettorali hanno disilluso le masse, così come i vuoti discorsi sul socialismo che presentano un quadro così diverso da quello che vedono tutti i giorni.

E cosa vedono le masse? Dopo quasi dieci anni di lotta vedono che sempre le stesse persone, ricche e potenti, possiedono le terre, le banche, le fabbriche, i giornali, la televisione. Vedono corrotti al potere: governatori, sindaci, funzionari dello stato ed, ebbene sì,  del movimento bolivariano e al Miraflores, gente dalla camicia rossa che parla di socialismo del 21° secolo, ma che non è altro che una manica di burocrati e carrieristi, che nulla ha a che fare con il socialismo o la rivoluzione.

Le masse non vedono prendere alcun provvedimento contro i funzionari corrotti che si riempiono le tasche e sabotano la rivoluzione dall’interno, nè contro i capitalisti che stanno sabotando l’economia, rifiutandosi d’investire nella produzione ed incrementando i prezzi. Nulla perfino contro i cospiratori del golpe dell’aprile del 2002, mentre i latifondisti fanno ammazzare, impunemente, gli attivisti contadini. I prezzi salgono mentre i portavoce del governo negano che questo sia un problema. Le masse vedono tutto questo e si chiedono: ma è per questo che abbiamo votato?

Il ruolo dannoso del riformismo

I riformisti, gli stalinisti ed i burocrati, che stanno occupando posti chiave nel movimento bolivariano, stanno giocando un ruolo dannoso, cercando in ogni modo di frenare la rivoluzione, di paralizzarla, per eliminare ogni elemento di vero socialismo. Costoro non fanno altro che dire a Chavez di non correre troppo, di essere “più moderato” e di non toccare la proprietà privata dell’oligarchia.

Dal primo momento in cui Chavez ha posto la questione del socialismo, i riformisti e gli stalinisti hanno concentrato ogni loro sforzo nell’invertire la direzione della rivoluzione verso il socialismo, millantando che la nazionalizzazione della terra, delle banche e delle industrie sarebbe stata un disastro, che le masse non sono “mature” per il socialismo, che l’esproprio dell’oligarchia gli avrebbe alienato la classe media e così via. Il più pervicace “teorico” e paladino di questa linea di sostanziale capitolazione è Heinz Dieterich.

Dietrich era contro il referendum costituzionale. Si può discutere del contenuto e del momento in cui il referendum si è tenuto: secondo noi, infatti, il referendum non era affatto necessario, mentre lo erano misure che, sull’onda della vittoria elettorale, fossero state dirette contro l’oligarchia e la controrivoluzione. Non dicevano questo, però, Dietrich ed i riformisti. Piuttosto il contrario: si sono opposti al referendum perchè si oppongono al movimento verso la trasformazione socialista della società. Essi vogliono fermare la rivoluzione e rovesciarne il corso, per compiacere l’opposizione controrivoluzionaria e l’imperialismo.

Alla vigilia del referendum, Dietrich si è pubblicamente allineato al rinnegato Baduel, chiedendo a Chavez di unirsi a quest’ultimo, che è come chiedere alla rivoluzione di unirsi alla controivoluzione. Tuttavia questo era, ed è, il programma di Dietrich e dei riformisti. Per loro la sconfitta referendaria è stata manna dal cielo perche gli ha consentito d’intensificare le pressioni sul Presidente: “Visto dove ci ha portato la tua ostinazione? Avresti dovuto ascoltarci! Noi siamo realisti. Noi vediamo le cose meglio di te! Non devi essere così avventato. Devi abbandonare ogni idea di socialismo e cercare un compromesso con l’opposizione e con la borghesia, altrimenti saremo perduti”.

Oggi, la sconfitta, di misura, al referendum costituzionale viene presentata come uno spostamento “al centro” (che poi sarebbe la destra), e come la prova che sia necessario riconciliarsi con la classe media (ossia capitolare alla boghesia). Questa è la linea propagandata assiduamente da Dieterich e dai riformisti. Se Chavez dovesse dar loro ascolto, e ci sono segnali che questo stia avvenendo, la rivoluzione sarebbe in gravissimo pericolo.

Questi “amici” della rivoluzione bolivariana ci ricordano degli amici di Giobbe che, nel momento del bisogno, lo “confortavano” a calci nei denti. Per “amici” del genere vale senz’altro il detto “dagli amici mi guardi iddio, che dai nemici mi guardo io”.

Una mossa pericolosa

Seguendo i consigli di chi vuole raggiungere un accordo con i controrivoluzionari, Chavez ha garantito l’aministia a molti dirigenti dell’opposizione coinvolti in prima persona nel golpe militare dell’aprile del 2002 e nella serrata dell’industria petrolifera che causò danni all’economia per dieci miliardi di dollari, giungendo ad un passo dal far naufragare la rivoluzione.

Ricordiamo che il “decreto Carmona” del governo golpista scioglieva le istituzioni pubbliche democraticamente elette quali la Corte suprema e l’Assemblea nazionale. Oggi coloro i quali firmarono quel decreto saranno amnistiati: liberi, così, di riprendere le loro attività controrivoluzionarie.

Chávez ha dichiarato che attraverso il decreto di aministia intende “inviare al paese il messaggio che possiamo vivere insieme nonostante le nostre differenze”. Questo è un tentativo evidente di proporre una politica di “riconciliazione nazionale”, seguendo le ben note posizioni di Dieterich: una mossa pericolosa. Se il golpe fosse riuscito, cosa che sarebbe avvenuta se non fosse intervenuto il movimento rivoluzionario delle masse, forse i controrivoluzionari si sarebbero comportati allo stesso modo? Non crediamo proprio, molto più probabilmente avrebbero giustiziato Chavez, e molti dei suoi sostenitori, e non ci avrebbero pensato più.

Secondo la logica dei riformisti, un atteggiamento conciliante consentirà l’instaurarsi del dialogo, forzando l’opposizione ad una maggiore ragionevolezza. Questo ragionamento è campato in aria. In numerose occasioni, in passato, Chavez ha provato a farlo, ed il risultato è stato l’esatto contrario di quanto prevedevano i riformisti. Si è gia visto, infatti, quando, dopo il golpe del 2002, il presidente offrì il dialogo all’opposizione. In cambio si ottenne la serrata ed il sabotaggio dell’economia. E ancora, dopo quelle circostanze, Chavez offrì nuovamente il dialogo, ma il solo risultato fu un altro tentativo di rovesciare il governo nel referendum revocatorio.

Ma forse l’opposizione ha imparato la lezione, forse vorranno ora raggiungere un qualche compromesso? Sono forse corsi ad abbracciare il  presidente? No! Al contrario, la gerarchia reazionaria della chiesa cattolica accusa il decreto di amnistia di essere “discriminatorio”, chiedendo che venga esteso anche a funzionari di polizia colpevoli di omicidio e ad altri controrivoluzionari tristemente noti, come il leader studentesco dell’opposizione, il quarantenne Nixon Moreno, ricercato per complicità nel tentato strupro di una poliziotta a Merida. Mónica Fernández, che durante il golpe, ordinò l’arresto illegale dell’ex-ministro degli interni Ramón Rodríguez Chacín beneficerà del decreto. Non contenta, chiede che l’aministia sia ampliata fino a ricomprendere gli “esuli politici” quali Carmona Estanga ed Ortega.

Questi criminali, che mai hanno riconosciuto le loro colpe o manifestato l’intenzione di recedere dai loro propositi golpisti, saranno liberi di portare avanti le loro attività controrivoluzionarie. Questo ha provocato l’indignazione, sacrosanta, tra le file dei chavisti. Manuel Rodríguez sostiene che il presidente non avrebbe dovuto firmare il decreto, “che ne era dei nostri diritti umani quando loro paralizzavano il paese?”.

La rivoluzione dovrebbe rallentare?

"Aiutato” dai suoi consiglieri riformisti, il presidente ha tratto alcune conclusioni scorrette dall’esito referendario. Nella  trasmissione "Aló Presidente" del 6 gennaio 2008, ha detto:

"Sono costretto a rallentare il passo di marcia. Avevo imposto una velocità che è superiore alle capacità od alle possibilità collettive. Ne prendo atto come uno dei miei errori. Le avanguardie non possono perdere contatto dalle masse. Esse debbono stare insieme alle masse! Io sarò con voi e quindi debbo rallentare il mio passo. [...]

"non si tratta di una resa o di moderazione, niente affatto, si tratta di realismo. Realismo! Calma, pazienza, solidità revoluzionaria. Nessuno deve sentirsi sconfitto o demoralizzato. [...]

"Preferisco rallentare, rafforzare le gambe, le braccia, la testa, il corpo, le organizzazioni ed il potere popolare. E quando saremo pronti, più avanti, allora accelereremo il nostro cammino."

Musica per le orecchie di tutti quei burocrati e riformisti che con le loro camicie rosse sono sostanzialmente contrari al socialismo e lavorano al deragliamento della rivoluzione, gente che si riempie la bocca di “realismo” e della necessità di muoversi con maggiore cautela, gente che parla del socialismo del 21° secolo ma, in realtà, vorrebbe che di socialismo si riparlasse nel 22° o nel 23° secolo o meglio ancora, a data da definirsi. Il presidente ha aggiunto:

"La nostra strategia di alleanze necessita miglioramenti. Non possiamo farci prendere da tendenze estremiste: noi non siamo e non possiamo essere estremisti. No! Dobbiamo cercare l’alleanza con le classi medie, compresa la borghesia nazionale. Non possiamo sostenere tesi, quali l’abolizione della proprietà privata, che hanno fallito in tutto il mondo. Queste non sono le nostre tesi."

Dichiarazioni del genere le abbiamo già lette, negli articoli e nei discorsi di Heinz Dieterich, l’ex-marxista che è passato dalla parte del riformismo e della borghesia. Si capisce bene, dunque, quale sia la tendenza prevalente al Miraflores oggi. E’ la tendenza che sta lavorando tenacemente negli ultimi anni, manovrando contro il socialismo e la rivoluzione, operando per isolare Chavez dalle masse e dalle tendenze rivoluzionarie.

Siamo estremisti? No, siamo socialisti rivoluzionari, marxisti. Solo i latifondisti, i banchieri ed i capitalisti pensano che il socialismo sia “estremista”. Costoro sono, però, una piccola minoranza della società. La schiacciante maggioranza delle persone vedono il socialismo come una possibilità, normale, non come un qualcosa di estremo. Il presidente ha detto in più di una occasione che il capitalismo è schiavitù. Ebbene, è una cosa “estremista” abolire la schiavitù? Solo gli schiavisti potrebbero rispondere di sì.

Siamo per l’abolizione di ogni proprietà privata? No, noi non siamo per eliminare la proprietà privata della stragrande maggioranza della popolazione: i lavoratori, i contadini, i negozianti, la classe media. Noi non proponiamo di collettivizzare l’auto del vicino, la sua casa, la televisione, la moglie o i suoi figli. Queste sono ridicole menzogne che l’opposizione controrivoluzionaria ha diffuso nella sua spregiudicata campagna per il “no”.

L’esproprio che noi chiediamo è l’esproprio dell’oligarchia: la nazionalizzazione della terra, delle banche e delle industrie chiave. Questo riguarda meno del due per cento della popolazione: non certo la classe media ma i ricchissimi speculatori ed i parassiti che non fanno nulla per sviluppare l’economia nazionale ma, al contrario, sabotano costantemente la produzione, provocando ad arte penuria di beni ed aumenti dei prezzi. A Dieterich ed agli altri riformisti vorremmo fare una domanda molto semplice: come si può ottenere il socialismo senza espropriare l’oligarchia?

Anche se il PIL del Venezuela è cresciuto dell’8,4%, ci sono gravi problemi economici. L’inflazione è al 22,5% e colpisce molto più gravemente i settori meno abbienti. Inoltre, si verificano spesso penurie di generi alimentari, in particolare dei beni di prima di necessità: latte, fagioli, pollo. Questo dimostra la totale inadeguatezza dell’agricoltura privata in Venezuela: una terra ricca e fertile che deve importare più del 70% dei generi alimentari che consuma, un vero scandalo.

La scarsità dei prodotti alimentari di base, a causa del delibrato sabotaggio degli imprenditori agricoli e dei distributori monopolisti, ha giocato un ruolo fondamentale nella sconfitta del referendum sulle riforme costituzionali. Per tutta risposta, quali sono state le misure prese dai ministri competenti? Immediatamente dopo l’esito del referendum, hanno annunciato la fine dei controlli dei prezzi sul latte e la proposta dell’abolizione dei limiti ai prezzi su tutta una serie di altri prodotti: insomma, altre concessioni all’oligarchia.

La soluzione al problema delle penurie alimentari è molto semplice: vanno espropriate tutte le imprese e gli individui che sabotano la filiera della distribuzione. Questo provvedimento, assolutamente democratico, avrebbe potuto essere introdotto da molto tempo e, in particolare, subito dopo l’approvazione del decreto sugli ammassi e sul sabotaggio alimntare di circa un anno fa. Tutte le terre espropriate, gli impianti, i mezzi, dovrebbero essere gestiti sotto il controllo democratico di comitati composti da rappresentanti di contadini ed operai, per garantire la distribuzione dei generi alimentari alle masse. In più, comitati di approvvigionamento dovrebbero essere instaurati in tutti i quartieri popolari per esercitare la vigilanza rivoluzionaria sulla distribuzione del cibo e lottare contro gli accaparramenti, il sabotaggio, la corruzione, il racket.

Questi fatti dicono del fallimento dell’economia di mercato in Venezuela. I latifondisti ed i capitalisti, infatti, o non possono, o non vogliono, risolvere i problemi fondamentali dell’economia. Il solo modo per porre fine al sabotaggio ed assicurare che l’enorme potenziale del Venezuela sia usato a beneficio della sua gente è la nazionalizzazione della proprietà dell’oligarchia e la creazione di una economia socialista pianificata, gestita democraticamente dalla classe operaia.

I consigli di Lukashenko

Che fortuna che ha il Venezuela ad avere così tanti buoni consigli. Consigli a vagonate! Se ogni consiglio valesse un bolivar ogni venezuelano sarebbe milionario. Sembra che anche il presidente della Bielorussia, Lukashenko, stia dando dei consigli a Chavez.

Prima di accettare consigli, bisogna accertarsi da chi provengono. Nessuno accetterebbe consigli sui pericoli del consumo di alcolici da un alcolista, o sulla microchirurgia cerebrale da un macellaio. Lukashenko, ci dicono, "ha vissuto in prima persona il crollo dell’Unione Sovietica”. Certo, lo sappiamo bene, e sappiamo bene che ne è stato in parte responsabile. L’URSS è stata distrutta dall’interno da parte di una casta parassitaria di burocrati che si mangiava la gran parte del plusvalore prodotto dai lavoratori sovietici.

La casta burocratica vanificò le conquiste dell’economia pianificata nazionalizzata con il latrocino, la malagestione, la malversazione, la corruzione. Esattamente come fa la burocrazia controrivoluzionaria in Venezuela, soffocando la rivoluzione bolivariana ancora prima che si sia affermata. Lukashenko faceva parte di questa casta di burocrati privilegiati ai tempi dell’Unione Sovietica.

Al tempo, costoro si definivano “comunisti” e, dalle tribune delle celebrazioni del Primo Maggio, facevano gran discorsi sul socialismo. Oggi si sono pienamente convertiti alle gioie del capitalismo e dell’economia di mercato, sono diventati uomini d’affari ed hanno accumulato fortune. In Venezuela, la stessa schiatta di burocrati sfoggia camicie rosse e straparla di socialismo. Ma col socialismo c’entrano più o meno quanto c’entra Lukashenko.

Quanti buoni consigli! E che fortuna che suggeriscano tutti la stessa cosa: “Non essere sciocco Chavez! Non correre troppo! Scordati del socialismo! Non stare ad ascoltare i contadini e gli operai, che non capiscono niente! Ascolta quelli coi soldi! Convincili ad essere dei buoni patrioti ed investire in Venezuela. Così tutto andra a posto!”.

Lukashenko pare abbia detto a Chávez: "Gli imprenditori, la borghesia nazionale, bisogna che li convinci ad avere una sensibilità nazionale, l’amore per la nazione e per la patria, anche se sono ricchi ed imprenditori. Essi debbono investire nel paese!”.

Se le conseguenze di questo ragionamento non fossero tragiche ci sarebbe da ridere. Non sappiamo se esista una borghesia nazionale in Bielorussia, quello che sappiamo, però, è che la borghesia venezuelana non investe in Venezuela, che c’è una grande fuga di capitali, che è in atto un sabotaggio economico, che la speculazione sta svuotando gli scaffali dei supermercati dei beni di prima necessità, e ne sta facendo lievitare i prezzi. Noi sappiamo che la fabbriche stanno chiudendo, lasciando i lavoratori in mezzo alla strada. Questo lo sappiamo bene. E sappiamo chi ne è responsabile e perchè.

Che cosa propone il presidente bielorusso? Propone di chiedere ai capitalisti venezuelani di essere leali, di fermare il sabotaggio ed essere patriottici. E’ come chiedere pere a un olmo: i capitalisti non si faranno impressionare dalle lezioni di patriottismo perchè essi agiscono sempre secondo i loro interessi di classe. E’ forse nei loro interessi sostenere la rivoluzion bolivariana? Abbiamo ben visto qual è stato il loro atteggiamento negli ultimi dieci anni. Bisogna essere del tutto ciechi per non capire che la borghesia è ferocemente contraria alla rivoluzione bolivariana, ed a tutto ciò che questa propone.

Non è possible conciliare gli interessi della borghesia con quelli del proletariato. O si sostengono quelli dei lavoratori, che sono la maggioranza della popolazione, o quelli della minoranza dei ricchi parassiti: i banchieri, i latifondisti, i capitalisti. Ma non si possono in alcun modo sostenere entrambi. Cercando di riconciliare inconciliabili interessi di classe, i riformisti, in ultima analisi, sostengono inevitabilmente gli interessi della classe dominante contro quelli della classe lavoratrice.

La questione dello stato

Chávez ha anunciato una "profonda ristrutturazione" del suo governo, il cambiamento del vicepresidente e di 13 ministri su 27. Cambiamenti del genere ci sono già stati in passato. I ministri sono già velocemente cambiati, ma questo, di per sè, non risolve niente. Quello che ci vuole non è un rimpasto continuo, ma la messa in atto di politiche socialiste.

Il presidente intende affrontare il nodo della corruzione che, giustamente, ritiene uno dei principali nemici della rivoluzione. Tuttavia, sarà impossibile risolvere il problema della burocrazia con metodi burocratici. Il solo modo per sradicare la corruzione e la burocrazia è la diffusione generalizzata del controllo e della gestione operaia, la limitazione degli stipendi ai funzionari pubblici al livello di un operaio specializzato e la rimozione automatica di qualunque funzionario, ufficiale, ministro che non porti avanti la volontà popolare.

A dieci anni dall’inizio della rivoluzione, il vecchio apparato statale ereditato dalla Quarta Repubblica rimane in piedi. Questo è il problema! La storia ci ha sempre dimostrato come sia impossibile fare una rivoluzione senza liquidare il vecchio apparato statale, perché continuerà ad essere una fonte costante di corruzione, di burocrazia e di oppressione. Ma di questo i riformisti non vogliono saperne. Essi sostengono che le masse non sono adatte a governare. E però ci chiediamo: chi è meglio attrezzato per amministrare la società sotto il socialismo,  i burocrati od i lavoratori stessi?

Alla Inveval, occupata e gestita dai lavoratori da alcuni anni, il controllo operaio funziona, e tutti, dal direttore ai lavoratori delle pulizie prendono lo stesso stipendio. Non molto tempo fa Chavez disse che quello era il modello da seguire, ed è vero. Non vogliamo ripetere l’esperienza del totalitarismo burocratico, la caricatura del “socialismo” che abbiamo visto crollare nell’URSS. Quello che ci vuole è tornare al programma democratico proposto da Lenin e Trotsky, il programma della democrazia operaia.

Come perdere le elezioni…

La rivoluzione ha subito una battuta d’arresto con l’esito del referendum costituzionale, ma questa non è certo una sconfitta decisiva. Già nei prossimi mesi potranno intervenire tutta una serie di fattori in grado di cambiare la situazione. Nel 2008 ci saranno le elezioni amministrative in tutto il paese. E’ evidente che l’opposizione, ringalluzzita dal risultato referendario, si adopererà con tutte le sue forze per riconquistare posizioni. Ed il punto è: riuscirà il movimento bolivariano a mobilitare le masse per sconfiggerli?

Chávez insiste sul fatto che bisogna lavorare per non perdere alcuna posizione in favore della controrivoluzione.

"Dobbiamo essere preparati alle elezioni di fine anno – ha detto – la controrivoluzione non si fermerà neanche un istante nella sua lotta per recuperare agibilità politica. Provate ad immaginare per un secondo solo cosa questo vorrebbe dire”, ha ammonito. Il presidente ha ribadito la necessità di consolidare il nuovo Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), annunciando il congresso di fondazione del partito per il 12 gennaio e che l’ex vicepresidente Jorge Rodriguez sarebbe stato a capo del Comitato di Promozione Nazionale del PSUV. Jorge Rodriguez è considerato un esponente della sinistra bolivariana.

"Chiedo a tutti di avere l’energia e la volontà necessarie per consolidare presto il nuovo partito, di cui abbiamo fortemente bisogno” ha dichiarato Chavez. Il congresso si prevede durerà un mese e deciderà il programma politico, la struttura ed i regolamenti del partito.

La fondazione del PSUV è stato un passo molto importante, ma avrà successo, tuttavia, solo se si batterà senza esitazioni per il socialismo. Chávez ha parlato dei cinque “motori” della rivoluzione, del suo piano per portare il paese al cosiddetto socialismo del 21° secolo, insistendo che il suo governo avrebbe continuato ad avanzare secondo questo piano, pur lamentando l’impossibilità di attuare molti dei cambiamenti necessari a causa della fallita riforma costituzionale. “Non possiamo andare avanti su alcuni fronti perchè dipendevano dall’approvazione della riforma costituzionale”, ha aggiunto.

Ma perchè dovremmo consentire all’opposizione di dire che cosa si può, o non si può, fare sulla base di una risicata maggioranza conquistata al referendum? Da quando in qua è la coda ad agitare il cane? Questo è il modo migliore per deludere le masse, già colpite dalla lentezza del cambiamento. La conseguenza sarà un ambiente politico apatico che, a sua volta, si tradurrà in un ulteriore incremento dell’astensionismo. Proprio quello che vuole l’opposizione.

Chávez ha lanciato un appello alle “forze patriottiche” per un alleanza alla prossima tornata elettorale amministrativa, prevista per il prossimo ottobre, che si rivolge al PSUV, al PPT (Patria per tutti) ed il PCV (Partito comunista del Venezuela). Il PSUV è un partito di massa con milioni di iscritti e simpatizzanti che vogliono lottare per il socialismo; che bisogno c’è, dunque, di allearsi con il PPT, un partito molto piccolo e dalla linea opportunista? Due rematori sono meglio di uno, si potrebbe dire, ma se remano in direzioni opposte non porteranno la barca da dessuna parte.

I marxisti venezuelani sosterranno il PSUV e lotterano, al congresso, per un programma ed una politica socialisti. Noi siamo contro le alleanze con partiti ed organizzazioni che non lottino coerentemente per il socialismo. Noi siamo contro alleanze  e fronti con la borghesia. Noi diciamo chiaramente che le politiche conciliazioniste sostenute dai riformisti non porteranno ad alcuna conciliazione. Al contrario, la collaborazione di classe demotiverà e deluderà gli attivisti del movimento bolivariano, che sono le truppe d’assalto della rivoluzione. Al contrario, la collaborazione di classe rafforzerà le forze controrivoluzionarie, che per ogni passo indietro che faremo ce ne chiederanno altri dieci. E questo è il modo migliore per perdere le elezioni.

… e come vincerle

Il presidente ha anche detto: “Dobbiamo trovare le alleanze giuste per rafforzare il nuovo blocco storico, per dirla con Gramsci. Solo un anno fa abbiamo vinto le elezioni col 63% dei voti, oltre sette milioni. Allora avevamo una base molto forte”.

Proprio così, un anno fa oltre sette milioni di persone hanno votato per Chavez: una base formidabile di consenso. Bisogna chiedersi allora: perchè quasi tre milioni di quei voti non ci sono stati nel referendum costituzionale? Dieterich dice che è perchè Chavez si è spinto troppo oltre, è andato troppo in fretta, e quindi deve rallentare la sua azione politica, ma questo ragionamento è completamente falso e pretestuoso.

Non è stata l’opposizione a vincere il referendum, sono stati piuttosto i bolivariani a perderlo. Pur con sforzi sovrumani, l’opposizione non ha guadagnato che 200.000 voti, mentre i bolivariani ne hanno perso tre milioni. Questo non dimostra alcuno spostamento “al centro” ma, piuttosto, dice di una grande polarizzazione, e crescente, tra le classi. E dimostra, inoltre, che ci sono elementi di stanchezza e disillusione tra la base del movimento bolivariano.

La sconfitta del referendum costituzionale è stato un avvertimento che le masse sono stanche di una situazione in cui il continuo parlare di socialismo e rivoluzione non porta a sostanziali cambiamenti delle loro condizioni di vita. Le masse sono state molto pazienti, ma la loro pazienza sta per finire. L’idea che debbano seguire per sempre i loro dirigenti, una posizione fatalista errata e pericolosa, si dimostra completamente priva di senso.

E’ piuttosto vero il contrario! E’ proprio il passo troppo lento della rivoluzione che sta generando disillusione in un settore crescente delle masse venezuelane. Per loro, il problema non è andare troppo oltre o troppo in fretta quanto, piuttosto, non essere andati abbastanza avanti. Se questa disillusione tra le masse dovesse continuare porterebbe all’apatia ed alla sfiducia, spianando la strada alla controffensiva delle forze della reazione che colpirebbero la rivoluzione alle fondamenta ponendo le basi per una grave sconfitta. È ora, dunque, di tradurre le parole in fatti, di prendere provvedimenti energici per disarmare la controrivoluzione ed espropriare l’oligarchia.

Il socialismo, l’unica via!

La sconfitta è inevitabile? Naturalmente no. La rivoluzione può risultare vittoriosa, ma alla sola condizione che la tendenza stalinista-riformista di Dieterich sia smascherata e sconfitta politicamente. Il movimento deve essere ripulito da burocrati, carrieristi ed elementi borghesi e sostenere chiaramente un programma socialista. Questa è la condizione necessaria perchè la rivoluzione riesca, altrimenti sarà impossibile.

Quando Simon Bolivar chiamò alla rivolta contro l’impero spagnolo, a molti semrava del tutto impossibile. Senza dubbio, se fosse già nato, Dietrich avrebbe ricoperto di critiche il Libertador, come oggi fa con i marxisti. Eppure Bolivar, a partire da un piccolo gruppo di seguaci, alla fine vinse. Proprio come Chavez, la cui causa all’inizio sembrava senza speranza, e invece è giunto al potere mobilitando le masse alla lotta contro l’oligarchia. La battaglia non è ancora finita, la vittoria non è garantita: non lo è mai. Ma una cosa è chiara: il solo modo per vincere è quello di sollevare le masse alla lotta rivoluzionaria.

O la più grande delle vittorie o la peggiore delle sconfitte: queste sono le sole alternative che si pongono dinnanzi alla rivoluzione bolivariana. Coloro che promettono strade facili, percorsi di compromesso di classe, stanno, in realtà, facendo il gioco della reazione, creando false speranze ed illusioni e disarmando le masse al cospetto di forze controrivoluzionarie che quelle stesse illusioni non le hanno e si stanno preparando a rovesciare Chavez non appena le condizioni glielo consentiranno. Il solo modo di evitarlo è  togliere il controllo del potere economico all’oligarchia, espropriando i latifondisti, i banchieri ed i capitalisti, ed introducendo un piano socialista di produzione.

Dietrich e gli altri riformisti sostengono che far questo sarebbe visto come una provocazione da parte degli imperialisti e dei reazionari. Questa idea è del tutto priva di senso: capitalisti e reazionari hanno ampiamento mostrato, nei fatti, che non hanno alcun bisogno di provocazioni per agire. Costoro lavorano continuamente alla distruzione della rivoluzione. La tesi che questo cesserebbe nella misura in cui noi “mostrassimo moderazione” è una grande sciocchezza, e molto pericolosa. Al contrario, tale comportamento servirebbe solo a renderli più spavaldi e dar loro coraggio.

Chiaramente, se dovesse rimanere isolata, la rivoluzione venezuelana, in ultima analisi, non potrà vincere completamente. Ma non resterebbe isolata a lungo. Il Venezuela rivoluzionario deve lanciare un appello ai lavoratori ed ai contadini del resto dell’America Latina perchè seguano il suo esempio. Date le condizioni che esistono oggi in tutto il continente, un simile appello non cadrebbe nel vuoto. L’esempio di uno stato operaio democratico in Venezuela avrebbe un influenza ancora maggiore di quello della Russia del 1917.

Data l’enorme forza della classe lavoratrice e l’impasse generalizzato globale del capitalismo, i regimi borghesi in America Latina cadrebbero rapidamente uno dopo l’altro, creando le basi per la Federazione socialista dell’America Latina e, alla fine, del socialismo in tutto il mondo. Sulle basi di un comune piano di produzione e della nazionalizzazione delle banche e dei monopoli sotto la gestione ed il controllo democratico dei lavoratori, sarebbe possible davvero unire le forze produttive di tutto il continente, mobilitando così, enormi forze produttive. La disoccupazione e la povertà sarebbero, così, cose del passato.

La giornata lavorativa potrebbe essere ridotta immediatamente a trenta ore alla settimana a parità di salario. Vista come una riforma che dimostri la superiorità dei metodi socialisti, la riduzione dell’orario di lavoro avrebbe un’eco enorme in tutto il mondo e, cosa ancora più importante, come disse Lenin, fornirebbe, all’intera classe lavoratrice, il tempo per gestire la produzione e lo stato. A quel punto un piano socialista di produzione, controllato ad ogni livello dalla classe lavoratrice, porterebbe ad immensi incrementi produttivi, nonostante l’accorciamento della giornata lavorativa. La scienza e la tecnica, liberate dalle catene del profitto privato, si svilupperebbero a livelli senza precedenti.

La democrazia non avrebbe più l’attuale carattere limitato, ma sarebbe espressa pienamente nell’amministrazione democratica della società da parte di tutto il popolo. Si getterebbero le basi per un grande rifiorire di arte, scienza e cultura, che traggano ispirazione dalle tradizioni culturali di tutti i popoli di ogni continente. Questo è quello che Engels chiamava il passaggio dal regno della necessità al regno della libertà. Questo è il vero socialismo del 21° secolo: l’unica strada possible perchè la rivoluzione venezuelana vada avanti.

Londra, 11 gennaio 2008

Source: FalceMartello