Realizziamo l’eredità di Hugo Chávez!

È destino frequente dei leader rivoluzionari che dopo la loro morte coloro che li attaccavano e denigravano quando erano in vita inizino a incensarli, mentre allo stesso tempo distorcono le loro idee, le annacquano, le privano della loro forza potenziale, esattamente come si castra un gatto molesto.

Quando Karl Marx morì alcuni di quelli che pretendevano di essere suoi seguaci iniziarono a interpretare le sue idee in modo da svuotarle di ogni contenuto rivoluzionario. Persone come Bernstein e Kautsky si presentavano come i “veri discepoli” di Marx mentre spingevano per un revisionismo riformista sotto le mentite spoglie di “idee rivoluzionarie”.

Oh sì, certe persone amano atteggiarsi a difensori delle “nuove idee”, mentre si oppongono alle “vecchie idee” del socialismo rivoluzionario. Oggi è questo il caso di Heinz Dietrich, che affermava di aver inventato una teoria interamente nuova e originale di “socialismo del 21esimo secolo”.

Nella nota favola de Le mille e una notte il  mago malvagio vaga gridando “scambio lampade vecchie con nuove!” La fidanzata di Aladino stoltamente scambia la vecchia lampada, malconcia ma di valore, in cambio di una nuova che è completamente inutile. Accade lo stesso con le cosiddette “nuove” versioni del socialismo, che a uno sguardo più attento si rivelano essere nient’affatto nuove, ma meramente una sbiadita imitazione delle antiquate idee di Proudhon e dei vecchi socialisti utopisti che Marx ha demolito 150 anni fa.

Lenin non ha mai preteso di aver creato una dottrina “nuova e originale”. Al contrario, egli ha speso tutta la sua vita difendendo le “vecchie idee” di Marx ed Engels contro i revisionisti. Ma dopo la morte di Lenin, Stalin e i suoi sostenitori rivisitarono le idee di Lenin in modo da giustificare l’usurpazione del potere in Unione Sovietica da parte di una casta burocratica.

Stalin fece mummificare il cadavere di Lenin e lo sistemò in un mausoleo come una reliquia religiosa. La vedova di Lenin, Krpskaya, commentò amaramente: “Vladimir Ilyich ha combattuto tutta la vita contro le icone e ora l’hanno trasformato in un’icona”.

Sarà questo il destino di Hugo Chávez? Le sue idee verranno sepolte con lui? Coloro che ora pronunciano discorsi adulatori su Chávez stanno davvero difendendo e mettendo in pratica le sue idee? Questa è la domanda che ogni onesto sostenitore della Rivoluzione Bolivariana si deve porre oggi.

La minaccia della controrivoluzione

Una cosa è chiara per tutti. Sedici anni dopo il suo inizio, la Rivoluzione Bolivariana è in pericolo. Le forze della controrivoluzione sono nelle strade, creando disordini e confusione, esattamente come fecero nel 2002. Dietro le orde di piccoloborghesi infuriati, “sifrinos” (giovani dell’alta e media borghesia) e gentaglia sottoproletaria, l’oligarchia tira i fili. E dietro l’oligarchia c’è Washington. Attraverso l’azione diretta di criminali armati e di gang fasciste sulle strade la borghesia sta cercando di rovesciare il governo democraticamente eletto. Questa è una delle punte dell’offensiva capitalista.

L’altra è il tentativo di paralizzare la vita economica del paese con il sabotaggio. Minano l’economia con lo sciopero del capitale. Derubano il paese con speculazioni e sciacallaggio. Causano scarsità di generi alimentari per mezzo dell’accaparramento.

Mentre parlano sempre di democrazia, non sono in grado di sottomettersi alla volontà della maggioranza. Non si potranno mai riconciliare con un governo che porta avanti politiche nell’interesse del popolo. Se non abbiamo imparato questa lezione in sedici anni, non la impareremo mai. È tempo di terminare il lavoro una volta per tutte.

Di fronte alla minaccia concreta della controrivoluzione, il presidente Maduro ha fatto appello alla classe operaia affinché si unisca e si mobiliti in difesa della Rivoluzione. Si è appellato ad essa “per rinforzare le milizie operaie”. E sta supportando la creazione di Comitati Antigolpisti. Tali misure sono assolutamente corrette e necessarie. Ma bisogna comunque porsi una domanda: com’è possibile che, dopo tutti i progressi realizzati dalla Rivoluzione, essa sia ancora in pericolo? Perché, dopo così tanto tempo, la Rivoluzione non è irreversibile?

I riformisti obietteranno che il problema è che la Rivoluzione si è spinta troppo in là, che è necessario fare delle concessioni alla “opposizione civile” e conquistare il supporto della classe media. Non molto tempo fa la leadership bolivariana stessa inneggiava a “pace e amore” da mostrare all'opposizione. Essa cercava di conquistare l’affetto dell’opposizione, come un uomo che tenta di ammansire un cane solleticandogli la pancia. Purtroppo questo cane in particolare ha denti molto aguzzi e un brutto carattere.

Gli antichi Romani erano soliti dire: “Si pacem vis, para bellum” – “Se desideri la pace, prepara la guerra”. Questo è un consiglio molto fondato! La lotta tra le classi è anche più spietata della guerra tra nazioni. L’abisso tra ricchi e poveri, oppressori e oppressi, sfruttatori e sfruttati non può essere superato da parole e discorsi dolci. Esso può essere risolto soltanto con la lotta, e guai ai perdenti!

Questo fatto è chiaro a tutti. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. E non c’è peggior sordo dei riformisti che si considerano realisti ma che in realtà sono il peggior tipo di utopisti. Un giorno fanno appello alle masse perché si mobilitino in difesa della Rivoluzione, e il giorno dopo il governo fa di nuovo appello alla riconciliazione con i suoi nemici , offrendo concessioni in fatto di accesso al cambio estero e altre questioni.

Questa “astuta” tattica funziona? Ha mai funzionato? No, per niente! Al contrario, l’intera storia della Rivoluzione bolivariana dal 2002 prova al di là do ogni dubbio che tutti i tentativi di rabbonire l’opposizione attraverso concessioni e dialogo ha esattamente il risultato opposto rispetto a quello che si desiderava. I controrivoluzionari interpretano questo come un segno di debolezza. E la debolezza stimola l’aggressione.

Cosa è successo agli organizzatori del colpo di stato del 2002 e alla serrata del 2003? Alla maggioranza dei leader dell’opposizione controrivoluzionaria è stato permesso di andarsene in giro liberamente e ora sono tra i capi organizzatori dell’attuale offensiva reazionaria. Quasi nessuna misura è stata presa contro i responsabili degli scontri che si sono conclusi con la morte di almeno undici persone dopo la vittoria elettorale di Maduro del 15 aprile 2013. I messaggi provenienti da Miraflores sono vari e contraddittori. Ma la situazione non ammette ambiguità. È richiesta una guida chiara e solida.

Il cancro della burocrazia

Negli anni dell’ascesa di Chávez al potere i suoi nemici lo hanno accusato di molte cose. Ma nessuno ha mai provato ad accusarlo di corruzione personale. Chiunque lo conoscesse anche superficialmente vedeva che quell’uomo era assolutamente incorruttibile. Egli stava combattendo non per l'arricchimento personale, ma per la causa del socialismo.

Alcuni anni fa ebbi un’interessante conversazione con il Presidente quando mi invitò ad accompagnarlo in una campagna elettorale nell’isola di Margarita. In mezzo al calore della gente, il Presidente si girò verso di me e disse: “Vedi, Alan, nonostante tutti i difetti della Rivoluzione bolivariana, questa rivoluzione è ancora viva”.

Ciò si poteva vedere chiaramente nella moltitudine che circondava l’auto gridando “Viva Chávez!” A quel punto la conversazione fu interrotta dalle urla e dagli applausi delle masse, che ancora una volta circondavano e bloccavano l’auto per raggiungere il Presidente Chávez e dargli sostegno, baci e richieste. Eppure Chávez era ovviamente preoccupato a proposito di alcune questioni. Voltandosi verso di me con un gesto di frustrazione disse: ”Guarda tutto questo, eppure non siamo ancora riusciti ad eleggere un nostro governatore qui”. E indicando il candidato William Fariñas, chiese: “Alan, se quest’uomo venisse eletto, cosa dovrebbe fare?” Al che io risposi subito: “Dovrebbe ascoltare il popolo, capire il suo messaggio e portarlo Avanti”.

“Precisamente” disse Chávez “ma questo è il problema che stiamo affrontando. Alcuni governatori, dopo essere stati eletti hanno perso il contatto con la base. Si circondano di gente ricca, belle donne, ecc. E hanno perso il contatto con il popolo. Questo è un problema ideologico. Finché non avremo governatori ideologicamente preparati , avremo sempre lo stesso problema. Noi dobbiamo vincere la battaglia delle idee. Tu sei un buon scrittore, perché non scrivi degli opuscoli che spieghino le idee del socialismo in modo semplice? Qui potremmo distribuirli al popolo in grandi quantità”.

Io risposi: “Sì, possiamo fare questo, e io concordo sul fatto che sia necessaria una battaglia ideologica nel partito, ma sono necessari anche meccanismi di controllo dal basso”. A questo punto, per la prima volta, la voce del Presidente suonò un po’ stanca: “Non posso fare tutto” disse “È assolutamente necessario per il popolo partecipare a questo processo e prendere il controllo nelle proprie mani”.

All’epoca scrissi: “Queste sono alcune delle contraddizioni della Rivoluzione che devono essere risolte”. Ma un anno dopo la morte di Hugo Chávez i problemi che lo affliggevano così tanto non sono stati risolti. Anzi, sono diventati sempre più profondi e generalizzati.

Finché Chávez era vivo la borghesia e i burocrati dovevano tenere la testa bassa. Erano obbligati a nascondere il loro carrierismo sotto la camicia rossa. Agli incontri pubblici e ai congressi del PSUV avevano imparato a gridare “Viva Chávez! Viva la Revolucion!” e lo gridavano sempre più forte di chiunque altro. Ma per tutto il tempo essi lavoravano per sabotare Chávez e la Rivoluzione. Rispettosi e servili di fronte al Presidente, essi sussurravano alle sue spalle: “Cos’è tutto questo parlare inutilmente di socialismo? Quell’uomo non sa di cosa sta parlando. È un utopista senza speranza” e così via.
Dietro le quinte una guerra sotterranea si sviluppava contro Chávez e la Sinistra. I ministri e gli attivisti di sinistra venivano sistematicamente rimossi, isolati, neutralizzati.

Chávez prendeva sempre ispirazione dal contatto con le masse rivoluzionarie e allo stesso tempo egli ispirava quest’ultime in un modo di cui nessun altro leader bolivariano era capace di fare. I burocrati che non hanno contatto con le masse e che non hanno a cuore i loro problemi, i burocrati la cui intera vita passa da un ufficio con aria condizionata a un altro, temono le masse come la peste. Essi si sentivano sempre a disagio in occasione degli incontri di Chávez con le masse e facevano tutto il possibile per evitarli. Si comportavano come una sorta di grosso filtro, impedendo agli attivisti di base, ai militanti e ai comunisti di avvicinarsi al Presidente.

Nel corso della sua vita il Presidente è stato circondato da una “cortina di ferro” fatto da burocrati che sistematicamente sabotavano i suoi decreti e impedivano a marxisti e comunisti di avvicinarsi a Chávez. L’ho visto con i miei occhi, non ieri ma già dieci anni fa quando Chávez era vivo e vegeto. Io stesso sono stato vittima di ciò per anni e ho assistito al sabotaggio che fu portato a livelli incredibili dalla cricca che circondava Chávez. Essi cercavano con tutti i mezzi di impedire i miei contatti con lui, sebbene nonci riuscivano sempre. Mi fu detto abbastanza chiaramente: “Non vogliamo che parli con il Presidente”. E non ero certo il solo.

Ora che Chávez non c’è più, il problema è risolto. Le persone che Chávez descriveva come burocrazia controrivoluzionaria sentono di poter agire senza limiti. Sentono di essere i padroni della situazione, e ciò è fatale per la Rivoluzione. La burocrazia è un cancro che rosicchia le fondamenta della Rivoluzione e che divora quest’ultima dal didentro come un mostruoso verme solitario.

Cambiamento di rotta

L’opposizione di destra sfrutta ogni problema e ogni difficoltà e le esagerano per infangare il nome della Rivoluzione. Naturalmente noi dobbiamo rifiutare le bugie dell’opposizione e combattere gli intrighi controrivoluzionari. Il problema si pone quando alcune delle questioni che la destra cerca di cavalcare sono basate, almeno in parte, sulla realtà.

Sedici anni dopo l’inizio della Rivoluzione grandi progressi sociali sono stati compiuti. È assolutamente necessario difendere queste conquiste e combattere la controrivoluzione. Ma qualcuno può dire onestamente che sedici anni dopo gli obiettivi della Rivoluzione sono stati raggiunti? Hugo Chávez sicuramente non lo pensava, e neanche noi lo facciamo.

Egli non ha pronunciato discorsi sdolcinati con l’intento di calmare il sistema nervoso dei burocrati ma, al contrario, ha espresso il proprio malcontento e la propria frustrazione a proposito del modo in cui stavano andando le cose. Ciò si può vedere chiaramente nel suo ultimo discorso al Consiglio dei Ministri e che fu pubblicato con il titolo “Golpe de Timon” (Cambiamento di rotta).

Il 20 ottobre del 2012, pochi giorni dopo aver vinto le elezioni presidenziali con il 56% dei voti, il presidente Chávez tenne la prima riunione di gabinetto, durante la quale egli biasimò fermamente la mancanza di progresso nella Rivoluzione e chiese ai suoi ministri di fare autocritica per i propri fallimenti.

Al centro del suo biasimo c’era l’idea che non fosse stato fatto abbastanza per promuovere la vita democratica della società attraverso le Comuni. Con questo egli intendeva gli organismi democratici di controllo e amministrazione popolare. Vale la pena di citare le sue parole a riguardo:

“Allora, veniamo alla questione della democrazia: il socialismo è del tutto profondamente democratico, invece il capitalismo è essenzialmente antidemocratico, esclusivo, basato sull’imposizione del capitale e dell’élite capitalista. Invece il socialismo rende liberi e il socialismo è democrazia, e la democrazia è socialismo, politicamente, socialmente ed economicamente.

“Ci sono alcuni fattori cruciali per la transizione: uno di questi è la trasformazione della struttura economica del paese per renderla essenzialmente e sostanzialmente democratica, perché la struttura economica di un paese capitalista non è democratica, anzi essa è antidemocratica, è esclusiva e quindi è la creazione di ricchezza e grande ricchezza per una minoranza, un’élite, la grande borghesia, i grandi monopoli, e, allo stesso tempo, è anche la creazione di povertà e miseria per la maggioranza della popolazione”.

In quel discorso Chávez sottolineò l’idea centrale per cui la società deve passare attraverso un cambiamento fondamentale, sia nei rapporti di produzione che nelle strutture statali. Chávez rimarcò che il capitalismo è schiavitù e che il socialismo può essere realizzato soltanto attraverso l’abolizione radicale del capitalismo, in altri termini, attraverso la rivoluzione.

Si lamentò molto del fatto che le Comuni non fossero state create sebbene esistesse un Ministero delle Comuni. E il Presidente trasse la corretta conclusione: “Molte persone credono che stia a questo ministero creare le Comuni. Questo è un errore enorme da fare. Non commettiamolo più” e aggiunse: “Ora, le Comuni significano potere popolare, non regole che arrivano da Miraflores o dalle sedi centrali di questo o quel ministero e con le quali risolveremo i problemi”.

È un errore basilare pensare che i soviet possano essere creati dall’ordine amministrativo, dall’alto, dai ministeri. Anche se i ministeri avessero un qualche interesse nel creare i soviet (ovviamente non ce l’hanno), essi non saprebbero da dove iniziare. La mentalità burocratica del funzionario statale, con la sua naturale attitudine al disprezzo per la “gente comune”, non solo lo rende scettico verso il potere creativo delle masse, ma anche attivamente ostile a esso.

Le comuni e i soviet

L’idea delle comuni fa riferimento alla Comune di Parigi del 1871, il primo esempio al mondo di stato operaio. La Comune fu un episodio glorioso nella storia della classe operaia mondiale. Qui per la prima volta le masse popolari con i lavoratori in testa rovesciarono il vecchio sistema statale e provarono a intraprendere il compito di trasformare la società.  Senza un piano d’azione, una leadership o un’organizzazione chiaramente delineati, le masse mostrarono un incredibile livello di coraggio, iniziativa e creatività. Marx ed Engels seguirono gli sviluppi in Francia molto da vicino e si basarono su questa esperienza per elaborare la loro teoria della “dittatura del proletariato”. Seguendo le loro orme Lenin usò la Comune di Parigi come esempio per il potere operaio in Russia:

“La Comune” scrisse Lenin “nacque spontaneamente. Nessuno l'aveva preparata coscientemente e metodicamente. Una guerra disgraziata con la Germania, le sofferenze dell'assedio, la disoccupazione del proletariato, la rovina della piccola borghesia, l'indignazione delle masse contro le classi superiori e contro le autorità, che avevano dato prova di assoluta inettitudine, un fermento confuso nella classe operaia che malcontenta della propria situazione, aspirava a un nuovo regime sociale, la composizione reazionaria dell'Assemblea nazionale, che suscitava timori per la sorte della Repubblica: tutti questi fattori e molti altri concorsero a spingere il popolo di Parigi alla rivoluzione del 18 marzo. Questa rivoluzione fece passare improvvisamente il potere nelle mani della guardia nazionale, della classe operaia e della piccola borghesia che si era unita agli operai”. (Lenin, In Memoria della Comune)

Le masse imparano sempre dalla vita, non dai libri, Certo, è compito di una tendenza rivoluzionaria organizzarsi in anticipo, formarsi e preparare i quadri. Ma questi quadri devono essere capaci di trovare la strada che li conduca alle masse. I burocrati ritengono sempre di essere le persone più intelligenti che guardano dall’alto in basso le masse “ignoranti”. Vedono i lavoratori come bambinetti buoni solo per ricevere ordini “dall’alto”. Che differenza con Marx ed Engels che, senza idealizzare neanche per un momento la Comune e senza chiudere gli occhi dinnanzi alla confusione, i difetti e gli errori di questa esperienza, tuttavia sin dal primo momento compresero la sua reale importanza!

La posizione di Hugo Chávez non aveva niente a che fare con quella dell’arrogante borghesia. Egli capiva che senza le Comuni – cioè senza la partecipazione consapevole della classe operaia nell’amministrazione dell’industria, della società e dello stato - il socialismo sarebbe solo una parola vuota sulle labbra di un funzionario.

Nonostante tutti gli innegabili progressi degli scorsi sedici anni, lo stato in Venezuela rimane ancora uno stato capitalista che è stato riverniciato con una patina di vernice “socialista”. Molti funzionari sono stati ereditati dalla vecchia Quarta Repubblica, e di quelli nuovi molti sono carrieristi che aderiscono in modo puramente formale alla Rivoluzione in modo da conservarsi i loro impeghi, ma che possono cambiare posizione anche domani se la controrivoluzione fosse imminente.

La burocrazia si sta comportando come il cavallo di Troia all’interno dell’apparato statale. Marx disse che “l’essere sociale dell’uomo determina la sua coscienza”. Ovviamente se un funzionario guadagna milioni di Bolivar, egli si comporterà come un capitalista. In che modo questo stato capitalista burocratico si dovrebbe abolire e sostituire con uno stato sotto il controllo di lavoratori, dei contadini e del popolo? La risposta fu data dalle quattro condizioni per uno stato del genere, che Lenin trasse dall’esperienza della Comune di Parigi:

  • Elezioni democratiche e diritto di revoca di tutti i funzionari pubblici,
  • Nessun esercito permanente ma il popolo armato,
  • Nessun funzionario può ricevere un salario più alto di quello di un operaio specializzato,
  • Rotazione progressiva delle cariche. Come disse Lenin: “Se tutti sono burocrati, nessuno è un burocrate”.

La Rivoluzione d’Ottobre nel 1917 portò al potere un nuovo governo rivoluzionario, che traeva la propria autorità dal Congresso dei Soviet. Il compito urgente davanti al quale si trovò il governo fu diffondere l’autorità del potere del Soviet – il dominio della classe operaia – in tutta la Russia. Il 5 gennaio 1918 il governo emise una direttiva in cui si stabiliva che da quel momento in poi i soviet locali sarebbero stati investiti di tutti i poteri detenuti dalla precedente amministrazione e aggiunse: “L’intero paese deve essere coperto da una rete di nuovi soviet.”

In origine il soviet – la forma di rappresentanza popolare più democratica e flessibile mai concepita – fu semplicemente un comitato di sciopero, prolungato nel tempo. Nati dalle lotte di massa, i soviet (o consigli di fabbrica) acquisirono una diffusione molto ampia e infine vennero trasformati in organismi di governo rivoluzionario diretto. I delegati erano eletti a ogni livello ed erano soggetti a revoca immediata. Nessun funzionario o sostituto riceveva più dello stipendio di un lavoratore qualificato. Non esisteva un’élite burocratica.

Come Chávez, Lenin spingeva per il coinvolgimento delle masse nella gestione dell’industria e dello stato. Nel novembre del 1917 scrisse un appello sulla Pravda: “Compagni, lavoratori! Ricordatevi che ora siete voi a capo dello stato. Nessuno vi aiuterà se voi stessi non vi unirete per prendere in mano gli affari dello Stato… Datevi subito da fare; cominciate dal basso, non aspettate nessuno” (Opere complete, Vol. 26, pag. 297, edizione inglese).

Nel dicembre 1917 Lenin scrisse: “Uno dei più importanti compiti di oggi, se non addirittura il più importante, è di sviluppare l’iniziativa indipendente degli operai, e del popolo lavoratore e sfruttato in generale, svilupparla nel modo più ampio possibile nel lavoro organizzativo creativo. A tutti i costi dobbiamo rompere il vecchio pregiudizio assurdo, selvaggio, spregevole e ripugnante per cui solo le classi superiori, solo i ricchi e quelli che hanno fatto la loro scuola sono capaci di amministrare lo Stato e di dirigere lo sviluppo organizzativo della società socialista” (Opere complete, Vol. 26, pag. 409, edizione inglese).

Il regime democratico realizzato da Lenin e Trotsky fu liquidato sotto il governo di Stalin e rimpiazzato da una mostruosa caricatura burocratica. Sfortunatamente non pochi “quadri” del PSUV sono essi stessi ex-stalinisti che sono stati traviati nella scuola stalinista di “Marxismo-Leninismo” e che non hanno mai capito o accettato l’idea di Lenin della democrazia operaia. Per molti anni questa gente ha fornito un appoggio incondizionato al regime burocratico stalinista, giustificando tutti i suoi crimini. Questo era già abbastanza negativo. Ma dalla caduta dell’URSS essi sono giunti all’errata conclusione per cui il socialismo non può funzionare e hanno sposato le idee capitalistiche.

Questi ex-“comunisti” sono diventati il peggior tipo di riformisti, conservando tutte le vecchie tendenze burocratiche staliniste. Avendo abbandonato completamente la prospettiva del socialismo, costoro non hanno alcuna fiducia nel potenziale creativo della classe operaia e nella sua abilità di occuparsi dell’industria e della società. Questo è l’esatto opposto di quello in cui credeva Hugo Chávez.

Il sabotaggio del controllo operaio

Lungi dall’incoraggiare iniziative come il controllo operaio e l'autogestione, che è il punto di partenza per un vero controllo democratico di una società socialista, i burocrati hanno ingaggiato una guerra contro tali iniziative e hanno fatto qualsiasi cosa in loro potere per sabotarle e sradicarle.

Il problema è per l’appunto che i burocrati dei ministeri hanno sistematicamente soffocato e spento le scintille del potere popolare e del controllo operaio nello stato di Bolivar e in molte altre aree. Quest’orientamento, che va in direzione opposta rispetto a quello di Chávez, che abbracciò con entusiasmo l’idea del controllo operaio quando i lavoratori stessi lo proposero, ha fatto disamorare molti militanti e perciò ha indebolito la Rivoluzione e nel contempo ha rafforzato la mano della reazione.

Persino nella stesura della nuova Legge sul Lavoro (LOT) l’organizzazione dei consigli di fabbrica fu lasciata fuori a causa dell’opposizione da parte della burocrazia. In ogni caso, l’unico modo per portare avanti il controllo operaio è di farlo dal basso, attraverso l’azione diretta e l’iniziativa dei lavoratori stessi. Ma è qui che essi incontrano la resistenza attiva della burocrazia – inclusa la burocrazia sindacale.

La posizione della leadership della Central Bolivariana Socialista de los Trabajadores (CBST) in merito alla creazione dei consigli di fabbrica è apertamente ostile. Il presidente della CBST Willis Rangel ha affermato che il controllo operaio nelle aziende di stato e negli altri luoghi di lavoro “riuscirà solo a creare ulteriori divisioni”. Convenientemente Rangel si dimentica che fu il controllo operaio a salvare la Rivoluzione all’epoca dei sabotaggi e delle serrate padronali nel 2002-2003. E l’esperienza ha mostrato che, quando i lavoratori hanno l’opportunità di gestire i propri luoghi di lavoro, la produttività è aumentata marcatamente.

In Venezuela c’è un vibrante movimento a favore del controllo operaio, in parte basato sull’esperienza delle fabbriche occupate come la INAF, la Inveval e la Gotcha. Ma alla fine dei conti, il controllo operaio può avere successo solo se porta a un più ampio movimento per l’espropriazione di tutte le leve principali dell’economia, in particolare le banche e le industrie più importanti e la creazione di un’economia socialista pianificata sotto il controllo democratico e l’amministrazione della classe operaia.

Il PSUV

In tutto il paese la burocrazia e i riformisti, quei cosiddetti Bolivariani che portano la camicia rossa ma che in realtà servono la causa della borghesia all’interno del Movimento, stanno facendo qualsiasi cosa in loro potere per soffocare e sabotare l’iniziativa rivoluzionaria delle masse, esattamente come fecero qualsiasi cosa in loro potere per sabotare e bloccare qualsiasi iniziativa rivoluzionaria da parte del Presidente Chávez quando era in vita.

Il Presidente Chávez ha creato il PSUV per cambiare la società nell’interesse della maggioranza del popolo venezuelano: i lavoratori, gli agricoltori, i poveri e gli espropriati. Egli non concepiva il PSUV come un mezzo per l’avanzamento dei carrieristi. C’è un ampio malcontento nella base bolivariana per il modo in cui il movimento viene controllato dall’alto da parte dei burocrati a tutti i livelli. Il processo di selezione dei candidati per le elezioni, per esempio, ha già creato problemi seri in diverse zone, con i candidati rivoluzionari alternativi opposti a quelli ufficiali.

Il Presidente Maduro ha lanciato appelli all’unità e la disciplina. Ovviamente noi siamo a favore dell’unità e della disciplina, ma queste possono essere garantite soltanto consentendo il più alto grado di democrazia interna. Durante il congresso ci deve essere un confronto di idee e differenze libero ed esaustivo. La leadership del partito deve essere veramente rappresentativa della base. Solo allora potrà chiedere unità e disciplina agli iscritti. Ma le prospettive per il prossimo congresso del PSUV non fanno presagire niente di buono. È stato già annunciato che metà dei delegati sarà costituita da sindaci e governatori. Carrieristi e arrivisti stanno mettendo all'angolo la base.
Jorge Martin scrive:

“Dalle elezioni presidenziali dell’aprile 2013 una serie di importanti giornalisti bolivariani radicali o di sinistra è stata rimossa dalla TV di stato o dai canali radio senza spiegazioni. C’è il sentore che si tratti di concessioni fatte ai media di opposizione in cambio di un abbassamento dei toni rispetto alle critiche verso il governo. Qualunque sia la verità, il risultato è chiaro: le voci critiche della sinistra sono messe a tacere o è loro impedito l’accesso a un pubblico più vasto. Nessuna di queste concessioni ha l’effetto di moderare l’opposizione, ma al contrario, tali concessioni possono demoralizzare gli elementi più attivi del movimento rivoluzionario”.

Mentre mostrano la comprensione più commovente nei confronti di funzionari corrotti, ufficiali dell’esercito e compagnia, la burocrazia è implacabile nel reprimere la sinistra. La sorte del mio amico Eduardo Samán è un esempio molto chiaro di ciò. Eduardo è noto per essere un uomo di onestà e integrità innegabili, un sostenitore devoto della Rivoluzione socialista bolivariana. È rispettato e ammirato dalle masse grazie alla sua energica campagna contro la guerra di sabotaggio economico da parte della borghesia.

Tuttavia quest’ammirazione non è condivisa dalla Quinta Colonna Bolivariana che lo odia. Non è la prima volta che Samán viene rimosso dalla sua funzione senza una spiegazione credibile. Molti altri onesti attivisti sono stati marginalizzati, espulsi o rimossi dai propri incarichi. Queste azioni da parte dei riformisti sono ciò che sta minando la Rivoluzione. Seminano disillusione e scetticismo tra le masse e hanno un effetto devastante sul morale degli attivisti chavisti. Questo è ciò che sta corrodendo la Rivoluzione dal didentro e sta preparando il terreno per nuove offensive controrivoluzionarie.

Realizziamo l’eredità di Chávez

Ricordo bene il discorso che Chávez pronunciò quando per la prima volta annunciò di essere un socialista. Ricordo come migliaia di chavisti in camicia rossa si alzarono in piedi per esultare e applaudire. Ma notai anche che questo entusiasmo spontaneo non era condiviso da parte di tutti i ministri bolivariani. C’erano facce molto scure, proprio sul palco. Non tutti, pare, erano a favore dell’agenda socialista rivoluzionaria di Chávez.

Sin dall’inizio il messaggio socialista rivoluzionario di Chávez è stato attaccato da due parti: i nemici dichiarati della Rivoluzione e i nemici nascosti all’interno delle fila rivoluzionarie. I riformisti non si sono mai riconciliati con l’idea del socialismo in Venezuela. Ma tutta la storia, e in special modo la storia dell’America Latina, mostra che non si può realizzare una rivoluzione metà. La Rivoluzione non può fermarsi a metà strada, e se lo fa, un disastro sarà inevitabile. In quell’incontro, quando Chávez si espresse decisamente a favore del socialismo, gettò tutto il suo disprezzo su quei riformisti che sostenevano che ci fosse una “terza via” tra capitalismo e socialismo. Pur ammettendo che egli una volta ci aveva creduto, Chávez rigettò l'idea in maniera esplicita, definendola “una farsa”. “Non c’è una terza via tra capitalismo e socialismo “ disse. E aveva ragione al cento per cento.

Una delle principali contraddizioni del riformismo è che rende impossibile il funzionamento dell’economia capitalista di mercato, e allo stesso tempo non introduce un’economia socialista pianificata. Quindi ci si ritrova nella peggiore delle situazioni. Per un periodo l’economia venezuelana è sopravvissuta sulla base delle enormi riserve petrolifere, ma ciò non può durare all’infinito. Il fatto che non si proceda all’espropriazione definitiva dell’oligarchia comporta anche l’impossibilità di pianificare le forze produttive.

È vero che a Caracas c’è un Ministero della Pianificazione. Ma non si può pianificare ciò che non si controlla, e non si può controllare ciò che non si possiede. Finché gli elementi chiave dell’economia rimangono in mani private, la borghesia, che è sempre stata ostile alla Rivoluzione bolivariana, sarà in grado di sabotare l’economia con uno sciopero del capitale. Il denaro sta uscendo dal paese, paralizzando gli investimenti produttivi. Il governo cerca di fermare questo fenomeno attraverso alcuni strumenti di controllo, che tuttavia non intaccano le radici del problema, cioè il fatto che i capitalisti privati controllano aree strategiche degli investimenti produttivi.

Questo rappresenta una seria minaccia per il futuro della Rivoluzione. Sistematicamente ricchi funzionari, sindaci e governatori pronunciano discorsi pieni di retorica magniloquente e rassicurante ottimismo. A sentir loro, si potrebbe pensare che non ci siano problemi, difficoltà e che tutto vada per il meglio nel migliore di tutti i mondi bolivariani. M la gente comune conosce una storia diversa.

Da un lato, la rapida crescita dell’inflazione (56,3% su base annua a gennaio) dimostra che la crisi economica diventa sempre più profonda, esattamente come un termometro indica l’aumentare della temperatura e il peggiorare della malattia. Dall’altro, si registra una crescente scarsità di alcuni prodotti (un indice di scarsità record del 28% a gennaio). Questi due fattori stanno corrodendo il valore dei salari, con il conseguente peggioramento delle condizioni di vita. Ciò di conseguenza sta mettendo sempre più a dura prova la pazienza e la lealtà delle masse. Peraltro, questa situazione fa infuriare la classe media e la conduce tra le braccia della reazione.

A ogni passaggio decisivo le masse hanno salvato la Rivoluzione e l’hanno spinta in avanti. Nel 2002 le masse – la vera forza motrice della Rivoluzione – scesero in piazza rischiando le proprie vite per salvare la Rivoluzione, mentre i burocrati si nascondevano sotto i propri letti o facevano la fila per prendere il primo volo per l’estero. La Rivoluzione bolivariana sopravvivrà fintanto che le masse – la classe operaia, gli agricoltori, i poveri delle città e delle campagne – rimarranno leali a essa. Ma la fiducia nella Rivoluzione da parte delle masse è stata messa testata duramente, e ciò sta mettendo in grave pericolo la Rivoluzione.

Le sole forze che possono difendere la Rivoluzione sono le masse rivoluzionarie, e in primo luogo la classe operaia. I lavoratori combatterebbero con maggior vigore e determinazione se stessero difendendo le proprie fabbriche sotto controllo operaio. Sabotando gli elementi di controllo operaio, la burocrazia sta agendo come un uomo che sega il ramo di un albero sul quale siede. Alla fine i lavoratori diranno: “Che senso ha rispondere a questi appelli? Gli abbiamo già sentiti. Parlano di socialismo e Rivoluzione, ma noi non riusciamo a vedere molta differenza tra i capi bolivariani e quelli che avevamo prima”.

L’unico modo efficace di difendere la rivoluzione è completarne i compiti, sostituendo il vecchio stato capitalista con uno nuovo e rivoluzionario basato sui consigli di fabbrica, le comuni e l’espropriazione dei mezzi di produzione, in modo che l’economia possa essere pianificata democraticamente. Quello sarebbe il miglior omaggio alla lotta a cui Hugo Chávez ha dedicato la propria vita.

5 marzo 2014

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