Quale futuro per la Colombia dopo la sconfitta del referendum sull’accordo di pace?

Domenica 2 ottobre, gli elettori colombiani hanno respinto l’accordo tra il governo e la guerriglia delle FARC “per la fine del conflitto e la costruzione di una pace stabile e duratura”.

Il NO ha vinto per un margine minimo, meno di 54.000 voti su un totale di oltre 13 milioni, con l’affluenza più bassa da 22 anni in un’elezione nazionale. L’accordo tra le FARC e il governo colombiano ha avuto il pieno appoggio dell’imperialismo degli Stati Uniti, l’Unione Europea, così come dai governi venezuelani e cubani e avrebbe dovuto porre fine a 52 anni di guerra. Quali sono stati i contenuti dell’accordo? Perché è stato respinto? Cosa succederà ora?

La storia delle FARC

Le FARC sono nate nel 1964, ma le loro origini si possono far risalire alla rivolta del Bogotazo nel 1948.
Il Bogotazo venne provocato dall’assassinio di Eliécer Gaitán, un politico di sinistra antimperialista molto popolare. Gaitán venne alla ribalta per la sua denuncia al massacro del 1928 dei lavoratori delle piantagioni delle banane della United Fruit, in cui quasi 2.000 scioperanti furono uccisi dalle forze governative. Gaitán era un leader della lotta di massa sia contro il partito Liberale che contro quello Conservatore e fondò il partito Union Nacional de Izquierda Revolucionaria (UNIR). In seguito decise di portare avanti le sue idee all’interno del Partito Liberale. Nel 1946 fu il candidato alla presidenza della sinistra del partito liberale contrapponendosi sia al candidato conservatore che al candidato ufficiale del partito liberale. Arrivò terzo, riuscendo però a vincere nella maggior parte delle aree urbane, dove aveva ottenuto il sostegno dei lavoratori e dei settori più importanti della classe media, con i suoi attacchi contro l’oligarchia e il suo programma di giustizia sociale, la riforma agraria e l’anti- imperialismo.

Nel 1947, il partito liberale vinse le elezioni parlamentari e i sostenitori di Gaitán ottennero la maggioranza in seno al gruppo parlamentare liberale. Ciò significava che Gaitán era diventato il leader del partito e il suo candidato presidenziale per le elezioni del 1950. L’oligarchia era in preda al panico davanti alla prospettiva che Gaitán prendesse il potere. Iniziò una violenta campagna in cui attivisti e leader del movimento di Gaitán venivano assassinati.

Il 9 aprile 1948, anche Gaitán fu assassinato in pieno giorno nella capitale Bogotà. Questo portò ad una rivolta a livello nazionale delle masse popolari contro il governo conservatore, che accusavano dell’omicidio.

Seguirono poi dieci anni di guerra civile non dichiarata tra il partito Liberale e quello Conservatore, conosciuta come La Violencia, in cui i liberali fondarono organizzazioni per la guerriglia e l’autodifesa dei contadini. A quel tempo anche il Partito Comunista fu attivo all’interno delle organizzazioni di autodifesa contadine come risposta alla violenza delle guardie bianca dei proprietari terrieri.

Dal 1957-1958, i dirigenti del partito Liberale e di quello Conservatore decisero di porre fine al conflitto tra di loro e firmarono un accordo con cui nacque il Fronte Nazionale. Molti dei contadini coinvolti nel conflitto rifiutarono di accettare quello che consideravano come un tradimento dei loro capi. Alcuni erano ispirati dalla vittoria della rivoluzione cubana nel 1959. Un’alleanza tra guerriglieri comunisti e liberali continuò la lotta formando la Repubblica di Marquetalia. Questo era in realtà una piccola zona di territorio difeso da un gruppo di 44 uomini armati, guidati da Manuel Marulanda Tirofijo e Jacobo Areas. È stata la brutale e sproporzionata distruzione di questa piccola enclave da parte dell’esercito che ha portato alla formazione delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC) nel 1964. Il loro programma era di lotta per la riforma agraria attraverso la confisca dei latifondi e la distribuzione della terra ai contadini.

Così i guerriglieri delle FARC erano radicati nelle condizioni sociali esistenti in quel momento in Colombia: l’estrema disuguaglianza nella distribuzione della terra e la brutale violenza dei proprietari terrieri e dello Stato (con il pieno appoggio dell’imperialismo statunitense). La maggior parte di queste condizioni sono cambiate di poco nel corso dei cinquant’anni dalla fondazione delle FARC e questo ha permesso all’organizzazione di continuare ad esistere.

Anche la storia dei precedenti tentativi di accordi di pace falliti tra lo Stato colombiano con le FARC e altre organizzazioni guerrigliere ha svolto un ruolo importante. Nel 1985-86 le FARC e altre organizzazioni di sinistra hanno cercato di creare un’organizzazione politica legale, l’Union Patriotica (UP), nell’ambito dei colloqui di pace con il presidente Betancur. L’UP è diventato rapidamente il terzo partito del paese e il suo sostegno stava crescendo tra i lavoratori e i contadini. La classe dirigente non poteva permettere che ciò accadesse. Nel giro di pochi anni due dei suoi candidati alla presidenza, otto deputati, 13 parlamentari, 70 consiglieri comunali, 11 sindaci locali e circa 3.500 membri del partito sono stati assassinati in una campagna coordinata nota come “el baile rojo” (la danza rossa), realizzata congiuntamentevoto referendum colombia dai gruppi paramilitari statali per evitare la crescita dell’UP.

Nel 1990, un processo di pace separato ha portato alla smobilitazione dei guerriglieri dell’M19, che poi si presentarono alle elezioni. Il loro candidato presidenziale, Carlos Pizarro, venne ucciso da mercenari in pieno giorno a Bogotà.

Nuovamente dal 1998 al 2002, durante l’amministrazione del presidente Pastrana, ci fu un altro tentativo di negoziati di pace con le FARC, un riconoscimento del fatto che l’organizzazione guerrigliera controllava vaste aree del paese e non poteva essere sconfitta semplicemente con mezzi militari. Anche questi negoziati fallirono tra recriminazioni reciproche.

A quel punto, il commercio illegale di droga era già diventato un grande business in Colombia. I narcos infiltravano ampi strati dello Stato borghese e dei partiti politici capitalisti. Crearono anche le proprie milizie armate per difendere le loro attività. Progressivamente questi gruppi paramilitari si sono fusi con le guardie bianche locali create dai proprietari terrieri e dagli allevatori di bestiame formando una potente alleanza con 30.000 uomini armati, conosciuta come Autodefensas Unidas de Colombia (Autodifesa Unita Colombiana) che effettuava i crimini più brutali contro chiunque fosse sospettato di simpatizzare con la guerriglia, gli attivisti di sinistra e gli organizzatori sindacali e contadini.

Secondo alcuni dati, delle 250.000 persone uccise durante il conflitto, l’80 per cento furono assassinate dai paramilitari. Non ci sono parole per descrivere i metodi particolarmente brutali usati dai paracos. Non contenti di uccidere semplicemente i loro avversari, hanno perpetuato massacri nelle comunità rurali e usato motoseghe per smembrare i corpi delle loro vittime che in molte occasioni erano ancora vivi. In molti casi hanno operato in collaborazione o con il consenso delle forze dello Stato (polizia, esercito, servizi segreti).

Plan Colombia: l’intervento imperialista statunitense

Nello stesso periodo, con la scusa della guerra alla droga, gli Stati Uniti intensificarono l’intervento nel paese attraverso il Plan Colombia. Quello che era iniziato con il pretesto degli “aiuti allo sviluppo” e della “sostituzione delle colture” è rapidamente diventato un intervento su vasta scala costato in totale 10 miliardi di dollari. Questo era solo il lato visibile e legale dell’intervento statunitense. Il Plan Colombia era accompagnato da una operazione segreta con agenti della CIA, “contractors” (leggi mercenari) e altri, con il coinvolgimento diretto e l’addestramento dell’esercito colombiano all’uso di “tecniche di interrogatorio avanzate” (leggi torture), omicidi mirati di leader della guerriglia e persino l’invasione illegale dell’Ecuador.

Un articolo del 2013 del Washington Post forniva alcuni dettagli su questo lato poco conosciuto dell’intervento imperialista statunitense in Colombia: “Nel 2003, il coinvolgimento degli Stati Uniti in Colombia comprendeva 40 agenzie statunitensi e 4.500 persone, tra cui imprenditori, tutti operanti al di fuori dell’ambasciata degli Stati Uniti a Bogotà, allora la più grande ambasciata americana nel mondo” (Covert Action in Colombia).

Le dinamiche collegate alla necessità di finanziare un grande esercito guerrigliero, sono quelle che hanno spinto le FARC verso metodi che hanno minato la sua base di sostegno, dal prelievo di una “tassa” sulle imprese (compresa la produzione e il traffico di stupefacenti) nelle zone in cui erano attivi, ad attacchi terroristici contro le infrastrutture e perfino obiettivi civili, sequestro di persona a scopo di estorsione, e così via. Questo è stato abilmente utilizzato dallo Stato per lanciare una campagna di propaganda che ha avuto un impatto in alcuni settori della popolazione.

Nel contesto di pesante repressione da parte dell’esercito, della polizia, dei servizi segreti e dei paramilitari (con azioni concertate tra loro), la strategia della guerriglia ha tagliato fuori nei fatti le FARC dal movimento dei lavoratori e dei giovani nelle città e anche, in un certa misura, da settori di contadini. Nel 1960, al momento della fondazione delle FARC, la popolazione rurale rappresentava il 55 per cento della popolazione in Colombia. Oggi è sceso a meno del 25 per cento. Questo massiccio esodo rurale è dovuto in parte alla violenza nelle campagne, che ha creato circa sette milioni di sfollati, ma anche il normale processo di sviluppo del capitalismo, come successo anche in altri paesi dell’America Latina.

L’elezione a presidente di Alvaro Uribe nel 2002 ha segnato un punto di svolta. Egli rappresentava gli interessi della marcia oligarchia colombiana, basata sugli allevatori di bestiame e i narco-trafficanti ed era sostenuto dai paramilitari. Il suo scopo era semplice: distruggere le FARC con qualsiasi mezzo necessario. Voleva “rendere il paese sicuro per il capitalismo” e per questo contava sul sostegno dei principali gruppi capitalistici in Colombia, così come sul governo statunitense e le multinazionali.

Perfino il Washington Post ha descritto le politiche di Uribe in termini estremamente foschi: “Con l’appoggio degli Stati Uniti, il governo colombiano ha lanciato una controffensiva, facendo terra bruciata contro le roccaforti rurali delle FARC dopo l’elezione a presidente di Alvaro Uribe nel 2002. Alle truppe governative sono poi spesso seguite le milizie di destra che prendevano di mira i sospetti simpatizzanti dei ribelli e massacravano i civili. Sono stati cacciati dalle loro case più colombiani durante le prime fasi del Plan Colombia che in qualsiasi altro momento durante i 50 anni di conflitto” (‘Plan Colombia: How Washington learned to love Latin American Intervention again).

La combinazione dell’utilizzo di gruppi paramilitari, il Plan Colombia, l’intervento degli Stati Uniti e le diffuse violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito, ha avuto l’effetto di indebolire gravemente la FARC e la loro capacità di continuare a combattere. In una serie di azioni di rilievo, molti dei suoi leader sono stati uccisi.
La presidenza Uribe si è conclusa in mezzo a molteplici scandali: i legami con la “para-politica” e la vicinanza degli alleati politici ai gruppi paramilitari, le intercettazioni illegali verso gli oppositori politici da parte del DAS, il servizio segreto e infine i “falsi positivi”, in cui le unità dell’esercito avrebbero ucciso civili per poi farli passare come guerriglieri.

Un altro punto di svolta è stata la rimozione di Uribe nel 2010, e la successione alla presidenza del suo ex ministro alla Difesa Santos. Nonostante siano entrambi politici capitalisti reazionari, provengono e rappresentano settori diversi della classe dirigente colombiana, con strategie diverse. Uribe rappresentava i proprietari terrieri e gli allevatori, i cui conflitti con gli agricoltori rurali erano alla base della nascita della guerriglia. Gli stessi proprietari terrieri e allevatori che hanno creato e finanziato la sete di sangue dei gruppi paramilitari che hanno utilizzato il terrore per difendere gli interessi dell’oligarchia. La loro strategia per raggiungere la pace era quello di annientare la guerriglia con ogni mezzo.

Santos proviene invece da una ricca famiglia capitalista di Bogotà e rappresenta quel settore della classe dominante che vede la guerriglia come un ostacolo per l’ulteriore “sviluppo” capitalista e per il saccheggio imperialista. Santos ha riconosciuto che, pur con le spalle al muro, le FARC non sarebbero mai del tutto sconfitte. La sua strategia era quella di raggiungere la pace, reintegrando i guerriglieri nella vita civile.

D’altra parte, le FARC si sono rese conto che 40 anni di lotta armata non li hanno avvicinati al raggiungimento dei loro obiettivi. Al contrario, le loro forze si sono costantemente ridotte, il loro appoggio tra la popolazione diminuito e i loro capi catturati uno ad uno. Questa è stata la base per il processo di pace in corso che ha avuto inizio nel 2012.

L’esperienza della rivoluzione bolivariana in Venezuela ha avuto un ruolo importante nello spingere le FARC verso una diversa strategia, lontana dalla guerriglia e verso il movimento di massa partecipando alle elezioni. Per la dirigenza cubana, fare da intermediari di questo accordo è anche stata una dimostrazione di buona volontà che ha aperto la strada al ristabilimento delle relazioni con gli Stati Uniti.

In che cosa consiste l’accordo di pace?

Se si guarda ai dettagli dell’accordo di pace (testo integrale in spagnolo) possiamo vedere che la sua essenza è la smobilitazione delle FARC, per rendere il paese più sicuro per gli investimenti stranieri, compresa l’agricoltura.

La prima sezione dell’accordo si occupa della riforma agraria. La distribuzione della terra in Colombia è estremamente diseguale, ed è la principale causa del conflitto, che ha dato origine alla guerriglia più di cinque decenni fa. Secondo un recente censimento agricolo, lo 0,4 per cento dei proprietari terrieri controlla il 46 per cento dei terreni agricoli, mentre il 70 per cento dei proprietari di terreni ha solo il 5 per cento dei terreni agricoli. Negli ultimi 20 anni, 10 milioni di ettari di terreno sono stati strappati ai loro precedenti proprietari, nella maggioranza dei casi i grandi proprietari hanno preso il posto di piccoli contadini. Nelle zone rurali, il 65 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà (il 30 per cento nelle città) e il 33 per cento di estrema povertà. In campagna, il 60 per cento non ha accesso all’acqua corrente e il 18,5 per cento è analfabeta.

L’accordo di pace contiene molte belle parole e grandiose promesse, ma ben pochi dettagli concreti. Si dice che nei prossimi 10 anni verrà creato un fondo di tre milioni di ettari che sarà distribuito tra i contadini. Questo è meno di un terzo dell’estensione del terreno che gli è stato tolto.

La seconda parte dell’accordo si occupa dell’”apertura democratica” ed è interamente costituita da una serie di impegni, che suonano bene, da parte dello Stato colombiano per “promuovere il pluralismo politico”, “rafforzare la partecipazione” e la “lotta contro la persecuzione dei leader dei partiti politici e dei movimenti”.

La terza sezione si occupa della fine del conflitto, del cessate il fuoco e della rinuncia alle armi. Questa è una delle parti più importanti dell’accordo visto che sta ponendo le basi su cui le FARC diventeranno un partito politico legale. I combattenti delle FARC riceveranno un pagamento una tantum di due milioni di pesos (675 dollari americani) al momento della smobilitazione, avranno accesso a 2.700 dollari da investire in progetti produttivi, oltre a ricevere una retribuzione pari al 90 per cento del salario minimo per due anni. Le campagne politiche del nuovo partito avranno garantito il finanziamento pubblico per due elezioni consecutive, oltre ad avere garantiti cinque posti al Senato e cinque al Congresso per due mandati.

Le FARC concentreranno i loro combattenti in una serie di aree di raccolta per un periodo di 180 giorni durante i quali verranno consegnate le armi. A quelli che rinunceranno alle armi verrà data l’amnistia per “reati connessi alla ribellione” e coloro che sono responsabili di crimini di guerra o crimini contro l’umanità saranno processati sotto una giurisdizione separata, come spiegato nella sezione cinque dell’accordo. Il processo di consegna delle armi verrà supervisionato congiuntamente dal governo, dalle FARC e dalle Nazioni Unite.

La quarta sezione dell’accordo affronta il problema delle droghe illegali. L’accordo si concentra sulla sostituzione delle colture (in contrasto con l’attuale politica di fumigazione). Questo, tuttavia, non sarà un compito facile, data la diffusa povertà rurale visto che la coltivazione della droga è molto più redditizia rispetto a qualsiasi altra.

Nella sezione cinque, l’accordo affronta la questione delle vittime del conflitto. Stabilisce una giustizia speciale per “la verità, l’equità, la riparazione e la non ripetizione” guidata da 24 magistrati che dovranno trattare con i membri delle FARC e l’apparato statale. Ai guerriglieri che hanno commesso “reati connessi con la ribellione” sarà data l’amnistia. A chiunque abbia commesso crimini di guerra o crimini contro l’umanità, che si dichiari completamente colpevole e collabori con la giustizia speciale che verrà creata, sarà data una pena massima di otto anni, ma agli arresti domiciliari piuttosto che in prigione. Nessuno di loro sarà estromesso dalla partecipazione politica. Coloro che non collaborano e vengono trovati colpevoli, potrebbe ricevere una condanna fino a 20 anni.

Le FARC hanno già iniziato a collaborare con questo sistema e hanno organizzato una serie di incontri con le comunità in cui sono stati commessi massacri, per cercare il perdono.

Infine, la sesta sezione dell’accordo si occupa dell’applicazione, verifica e l’approvazione. Questa sezione si occupa prevalentemente degli aspetti tecnici del controllo internazionale sull’attuazione dell’accordo, del referendum vero e proprio (che è stato perso) e altri aspetti del quando e del come verranno attuati i diversi aspetti dell’accordo.

Questo è ciò che è effettivamente scritto nell’accordo che il governo colombiano e le FARC hanno firmato in una cerimonia pubblica il 26 settembre, alla presenza delle alte personalità internazionali. Cosa significa? In sostanza, si tratta di un accordo con il quale lo Stato colombiano accetta una serie di condizioni per le quali le FARC rinunciano alla guerriglia. Queste includono l’integrazione dei guerriglieri nella vita civile, la trasformazione delle FARC in un partito politico e un’amnistia ad ampio raggio per la maggior parte dei suoi membri.

Ciò che le FARC vogliono dall’accordo è di poter abbandonare la guerriglia senza che i suoi membri vengano massacrati e la possibilità di difendere la sua linea politica con mezzi legali. Lo Stato colombiano vuole porre fine al conflitto armato per creare le condizioni migliori per lo sfruttamento capitalista, in particolare nelle campagne, compreso una potenziale attrazione per i capitali stranieri.

L’accordo certamente non risolverà nessuno dei problemi che hanno portato alla formazione delle FARC (in particolare la questione della riforma agraria). Per quanto riguarda il porre fine alla violenza politica, anche questa è dubbia. Dopo la tanto sbandierata smobilitazione dei paramilitari dieci anni fa, questi gruppi sono appena riemersi sotto altra forma, nota come “Bacrims” (bande criminali) che sono ancora attive e commettono omicidi di sindacalisti e attivisti contadini, così come compiono attacchi contro le comunità contadine a favore dei capitalisti e dei grandi proprietari terrieri.

Un ulteriore problema con le FARC è il fatto che la strategia politica dei suoi dirigenti è quella delle “fasi”. Infatti hanno sempre insistito sull’idea di una grande alleanza di tutti i settori patriottici del paese (in cui si includono settori della classe capitalista e i padroni delle grandi aziende) per incentivare uno sviluppo all’interno dei limiti del capitalismo. Solo in seguito, dopo che il paese si è sviluppato, verrebbe posta la questione del socialismo.

È un dato di fatto che la realtà non corrisponde a questo schema che hanno ereditato dallo stalinismo. Non vi è alcun settore significativo della classe dominante che sia pronto a realizzare una vera riforma agraria e porre le basi per il sviluppo progressivo del paese, mentre difende la sovranità nazionale. La classe dominante colombiana è divisa (come dimostrato dallo scontro tra Santos e Uribe nel referendum), ma allo stesso tempo tutte le sue parti sono unite nella paura del movimento rivoluzionario degli operai e dei contadini. C’è il pericolo che la trasformazione del movimento porti alla formazione di un partito politico i cui leader difendono politiche riformiste deboli.

Abbiamo già visto molti casi di ex movimenti guerriglieri che diventano movimenti politici in cui i leader difendono moderate politiche socialdemocratiche, o che, in alcuni casi, si svendono unendosi al campo borghese (come nel caso di Joaquín Villalobos nel El Salvador).

Sentori di questo si sono già potuti vedere durante i colloqui di pace, quando i leader delle FARC sono andati incontro alla borghesia, insistendo sul fatto che non sono contro la proprietà privata. In una lunga intervista con Semana, è stato chiesto al comandante delle FARC, Rodrigo Londoño Timochenko, il punto di vista della guerriglia sul capitalismo e la libera impresa. Ha risposto: “Non abbiamo mai detto che siamo contro la proprietà privata. Quello a cui ci opponiamo è lo sfruttamento eccessivo, siamo contro l’enorme disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza che abbiamo in Colombia”. Nella stessa intervista ha anche spiegato come le FARC abbiano avuto un incontro a L’Avana con i più importanti imprenditori colombiani nell’ambito dei negoziati di pace. Ha detto che “sono rimasti soddisfatti della spiegazione che gli è stata data riguardo le prospettive per il processo … che questo processo non è diretto contro i datori di lavoro”. Timochenko ha anche spiegato che: “Quello che vogliamo è una Colombia che si sviluppa. Che le forze produttive si sviluppino. Abbiamo bisogno di salvare l’industria nazionale, la nostra ricchezza” (Diamo una possibilità alla pace in Colombia).

Il referendum

La sconfitta al referendum degli accordi di pace ha colto tutti di sorpresa. La maggior parte dei sondaggi dava in vantaggio il campo del SI con una consistente maggioranza di 2 a 1. L’accordo è stato sostenuto dal partito di governo di Uribe, la maggior parte della sinistra, le FARC, Cuba e Venezuela, l’Unione europea e gli Stati Uniti, oltre che al Papa.

Il campo del NO è stato dominato principalmente dall’ex presidente Uribe che si è opposto all’accordo con una rabbiosa campagna di allarmismo anti-comunista. Ha sostenuto che l’operazione porterebbe a una dittatura “Castro-chavista”, che ben presto Timoshenko, il capo delle FARC, sarebbe diventato presidente e, soprattutto, che lui era in favore della pace, ma che si trattava di una resa alle FARC.

Il risultato del referendum è stato molto equilibrato. Con una affluenza solo del 37.43 per cento (13 milioni di voti su 34,9 milioni di aventi diritto al voto), il 50.21 per cento ha votato NO e il 49,78 per cento ha votato SI. L’affluenza è stata la più bassa di ogni elezione nazionale negli ultimi 20 anni, ma non così distante dal 40 per cento di affluenza al primo turno delle elezioni presidenziali del 2014.

Uno dei fattori è stato l’impatto dell’uragano Matthew che ha interessato le zone della costa caraibica il giorno del referendum. Il referendum è stato interrotto in queste zone dove il Sì ha vinto, ma l’affluenza è stata inferiore al previsto. Tuttavia, questo è stato solo il caso che ha fatto pendere l’ago della bilancia del referendum. La grande domanda è: perché Santos e la campagna per il Sì non sono stati in grado di mobilitare l’elettorato?

Più in generale, se si guarda la mappa dei risultati, si può vedere come seguano direttamente quello che è successo nel secondo turno delle elezioni presidenziali nel 2014, che hanno fatto prevalere Santos rispetto a Zuluaga, il candidato di Uribe. (Vedi a destra).

Le zone costiere e di confine hanno votato SI, mentre la Colombia centrale ha votato NO, con l’eccezione della capitale Bogotà, dove il SI ha vinto con il 56 per cento (vedi la mappa e i risultati ufficiali).

Queste aree centrali avevano tutte votato per Zuluaga nel secondo turno delle elezioni presidenziali. Le eccezioni sono stati Santander e Norte de Santander, che hanno votato per Santos nel 2014, ma hanno votato NO al referendum. Qui, la vicinanza al Venezuela, dove c’è una profonda crisi economica e gravi problemi di scarsità dei generi di base, ha probabilmente giocato un ruolo chiave in considerazione dell’allarmismo di Uribe su una dittatura “Castro-chavista”.

Nel secondo turno delle elezioni presidenziali del 2014, l’affluenza è stata più alta con il 47,8% (15,3 milioni di voti in totale), ma anche a in quell’occasione la questione degli accordi di pace era centrale. Santos ha preso 7,8 milioni di voti, mentre Zuluaga ha ricevuto poco più di 7 milioni. Se confrontiamo questi risultati con il referendum, possiamo vedere che Santos ha perso 1,5 milioni di voti, mentre Uribe ha perso poco più di mezzo milione. Il motivo per cui il SI ha perso è perché non è stato in grado di spingere la gente ada andare a votare a favore. L’uragano era solo un fattore accidentale.

È significativo notare come le zone che hanno più sofferto la violenza durante il conflitto, erano quelle con il maggior numero di voti per il SI. Questo in particolare è vero per Chocó (79 per cento per il SI), Cauca (67 per cento), Nariño (64 per cento), Putumayo (65,5 per cento) e Vaupés (78 per cento). Nella città di Bojayá (in Chocó), dove nel 2002 c’è stato un massacro nella lotta tra i paramilitari e le FARC, il voto per il SI è stato superiore al 95 per cento.

Allo stesso tempo, il voto per il NO era più forte in quelle aree dominate fortemente da Uribe e dalla rete di clientelismo politico, dal paramilitarismo e dagli interessi dei capitalisti e degli allevatori di bestiame. E’ stato un voto fortemente anti-comunista, oltre ad essere un voto contro Santos.

Oltre ai fattori già citati, dobbiamo ricordare che l’economia colombiana è stata colpita duramente dal crollo del prezzo delle materie prime, con il prezzo del petrolio colombiano che è crollato di oltre il 50 per cento negli ultimi due anni. In questo contesto, l’idea della tassazione per pagare la smobilitazione dei guerriglieri delle FARC non è una proposta interessante per ampi strati della piccola borghesia.

Santos è un presidente molto impopolare, criticato sia da destra da Uribe che da sinistra dal movimento operaio, studentesco, contadino e dai movimenti sociali che si sono mobilitati contro le sue politiche di austerità e privatizzazioni, contro il suo attacco ai diritti democratici e alle continue repressioni dei movimenti sociali. In questo contesto, molti sono stati giustamente scettici riguardo le sue promesse in un accordo di pace.

Ampi settori di masse colombiane vogliono una soluzione ai loro pressanti problemi di accesso alla terra, la povertà, l’istruzione, la sanità, la casa, la violenza dello stato, l’inflazione, l’impunità della violazione dei diritti umani da parte dei paramilitari e dell’esercito. Hanno valutato il comportamento di Santos su tutte queste questioni e non si sono recati a votare.

Santos voleva usare il referendum per ottenere una legittimità personale, ma ha fallito. È Uribe che si è rafforzato.

Quale futuro?

La vittoria del NO al referendum non significa necessariamente il ritorno al conflitto armato. Le FARC hanno già detto che sono impegnate “a difendere le proprie opinioni con le parole e non con le armi”. Il presidente Santos ha ribadito che vuole che questo accordo di pace sia attuato e ha chiesto un “dialogo nazionale”. Nel frattempo Uribe ha dichiarato che non è contro la pace, ma che non gli piacciono i termini concordati.

Questa è certamente una situazione pericolosa che ha inferto un duro colpo al presidente Santos. Anche se nessuno degli attori vuole tornare ad una situazione di guerra aperta, non si possono escludere provocazioni da parte dei paramilitari di estrema destra chee potrebbero innescare nuove ostilità.

È probabile che ora Santos debba coinvolgere Uribe in una sorta di rinegoziazione di alcuni aspetti dell’accordo. Uribe vuole inasprire le condizioni, particolarmente per quanto riguarda le pene per i leader della guerriglia. In particolare, vuole che vengano condannati a pene detentive, oltre che sia vietato alla maggioranza di loro di candidarsi alle elezioni. Questa è una richiesta particolarmente cinica da parte sua, visto che Uribe ha utilizzato ogni sorta di inganno per evitare ai capi delle bande paramilitari di affrontare la giustizia per i crimini di guerra. I più importanti sono stati estradati negli Stati Uniti dove hanno ricevuto condanne estremamente clementi per reati legati alla droga. (Vedi: The Secret History of Colombia’s Paramilitaries and the U.S. War on Drugs). Uribe temeva che se fossero stati processati in Colombia per violazioni dei diritti umani, avrebbero vuotato il sacco su chi effettivamente finanziava e sosteneva le bande paramilitari, cosa che lo avrebbe coinvolto direttamente. Uribe chiede inoltre un’amnistia ad ampio raggio per i membri delle Forze Armate coinvolte in violazioni dei diritti umani.

È stato già predisposto per oggi [5 ottobre 2016], un incontro tra Santos e Uribe per discutere come procedere. Sembra che Uribe stia subendo forti pressioni dalla classe dominante perché non crei una situazione in cui sia possibile un ritorno alla violenza.

Le FARC saranno probabilmente costrette ad accettare condizioni più severe. Hanno già cominciato a distruggere parte dei loro esplosivi e hanno dimostrato la volontà di contribuire con fondi propri ai risarcimenti alle vittime (una cosa che avevano rifiutato in precedenza). Non hanno altre alternative possibili e hanno già percorso un lungo cammino nell’impegno ad abbandonare la lotta armata. In cambio, potrebbero voler rimettere all’ordine del giorno questioni che erano state accantonate.

Il fattore chiave nella situazione è il rilancio del movimento dei lavoratori, degli studenti, contadini e delle comunità indigene. Negli ultimi cinque anni ci sono state ondate di mobilitazioni. il movimento degli studenti nel 2011, la mobilitazione contadina del 2013, lo sciopero dei lavoratori nel settore della giustizia nel 2014, lo sciopero nazionale all’inizio di quest’anno e migliaia e migliaia di lotte locali o di settore, per migliori salari, in difesa del diritto all’istruzione, contro le miniere a cielo aperto, in difesa dei diritti dei contadini e così via.

Dal momento in cui il conflitto tra lo Stato, i paramilitari e la guerriglia sarà messo da parte, si potrà verificare un’esplosione del movimento di massa, che il governo troverà non potrà più facilmente liquidare come “manipolato dai terroristi delle FARC”. La fine della lotta armata in Colombia non costituirà in alcun modo la fine della lotta di classe, ma piuttosto il contrario.