I padroni hanno tre candidati - Ai lavoratori serve una vera sinistra

Tre candidati padronali. Se si osserva superficialmente il dibattito politico non parrebbe proprio che sia così, dato che  Monti, Bersani e Berlusconi se le danno di santa ragione sui principali canali televisivi.

Verso le elezioni politiche

L'editoriale del nuovo numero di FalceMartello

La nostra memoria  non  è  però  così  corta e ci ricordiamo bene che Pd e Pdl hanno sostenuto, fino a poche settimane fa, ogni atto  del governo Monti. Né Bersani né naturalmente  Berlusconi hanno alcuna intenzione  di  cancellare  o  di rivedere le misure antioperaie del governo dei tecnici, dalla controriforma delle pensioni all’abrogazione dell’articolo 18, passando per i tagli feroci allo stato sociale.

Certo, esistono delle differenze fra i tre. Berlusconi ha deciso di staccare la spina al governo Monti con alcune settimane di anticipo rispetto alla scadenza naturale perché i sondaggi davano i consensi al Pdl in caduta libera. Ora il Cavaliere, come in un eterno sequel delle saghe hollywoodiane, cerca di recuperare terreno rispolverando le battute contro il comunismo, le tasse e, novità, contro l’euro e la Germania. Si allea con la Lega al Nord e gli autonomisti al Sud, come nel ’94, ma non è più lo spauracchio di un tempo. Anche se colpi di scena sono sempre possibili, scende in campo soprattutto per evitare una Caporetto alla destra italiana.

Mario Monti rappresenta l’ennesimo tentativo di creare in questo paese una formazione di centro classicamente borghese, con un significativo peso nelle urne. Nell’Agenda Monti troviamo molti fra i desiderata del padronato. Modernizzazione del mercato del lavoro (leggi: fine dei diritti residui per noi lavoratori), liberalizzazioni in tutti i settori, a partire da commercio e servizi, riduzione della spesa pubblica. Non è a caso che il luogo dove Monti ha annunciato la sua discesa in campo sia stato lo stabilimento della Fiat di Melfi, ospite di onore di Marchionne e John Elkann. Fra i candidati della sua “lista civica” è presente Bombassei, il falco che proprio i vertici del Lingotto avevano sponsorizzato alla presidenza di Confindustria.

Il problema del Professore e dei suoi alleati è che un programma di “austerità senza fine”, quando il 41% degli italiani non riesce ad arrivare a fine mese, non è precisamente una prospettiva che suscita entusiasmo tra le masse. L’obiettivo del centro montiano sarà quello di fare l’ago della bilancia e di condizionare pesantemente il probabile vincitore delle elezioni politiche, vale a dire molto probabilmente Bersani.

La strategia del Partito democratico e di Sinistra ecologia e libertà è riassunta nel ragionamento: “Dopo l’austerità di Monti, che non potevamo non sostenere per senso di responsabilità, dateci fiducia e con noi tornerà l’equità.” L’Italia giusta, per dirla con i manifesti elettorali del Pd. È quello che vogliono sentirsi dire tanti lavoratori e le loro famiglie. È quello che hanno raccontato Susanna Camusso e i vertici della Cgil per far ingoiare i sacrifici nei luoghi di lavoro, nei 13 mesi del governo tecnico.

Sono speranze comprensibili che purtroppo non si avvereranno. La recessione non si fermerà nel 2013. Le previsioni dell’Ocse parlano per l’Italia di un calo del Prodotto interno lordo del 1,1%, mentre la produzione industriale diminuirà del 3,2%. Secondo il centro studi di Banca Intesa San Paolo, in un rapporto pubblicato il 3 gennaio scorso “Solo nel 2016 il Pil ritornerà ai livelli precedenti l’ultima recessione (quelli del 2011), e occorreranno ancora molti anni per recuperare i massimi pre-crisi (quelli del 2007).

Per il centro studi di Confindustria, l’occupazione calerà dello 0,6% quest’anno, con 800mila persone occupate in meno rispetto all’inizio del 2009. Degli oltre mezzo milione di lavoratori attualmente in cassa integrazione, ben pochi rientreranno.

Il peggio insomma non è per nulla dietro le spalle ed anzi, nell’immediato futuro, si apriranno vertenze occupazionali importanti, dalla Fiat all’Alitalia, passando per l’Ilva.

Quali margini di manovra avrà un governo Bersani per politiche in controtendenza rispetto a quelle applicate finora? Nessuno, lo dimostra l’esperienza di tutti i governi a guida o a partecipazione socialdemocratica in questi ultimi anni, dalla Spagna alla Grecia, dal Portogallo alla Francia, che hanno seguito per filo e per segno le indicazioni del capitale.

Lo rivelano anche e soprattutto le dichiarazioni di Bersani, con cui rassicura ampiamente i mercati: il Partito democratico tutelerà efficacemente gli interessi di banchieri e industriali. In un’intervista al Wall street Journal del 9 dicembre scorso, il segretario del Pd risponde così a una domanda su Fassina, presunto promotore di una ridiscussione del Fiscal compact: “Rispetteremo gli impegni presi dall’Italia verso l’Europa e li faremo nostri. Fassina non crede affatto che l’Italia debba uscire dal Fiscal compact”. Prosegue poi sulla riforma Fornero e sull’articolo18: “Non ho un opinione negativa di essa. La riforma ha migliorato il mercato del lavoro in termini di flessibilità (…) Sull’Articolo 18, la discussione è chiusa.” Infine sui rapporti con Sel “Il mio partito nei sondaggi è oltre il 30% mentre Sel è tra il cinque e il sei. Abbiamo sottoscritto un patto secondo il quale, in caso di disaccordi, si vota e la maggioranza vince.”

Questa intervista è rappresentativa del pensiero dei dirigenti del Pd molto più di cento comizi in piazza. Bersani è cosciente del suo ruolo, di colui che dovrà imporre sacrifici molto pesanti alla classe lavoratrice italiana.

Non c’è spazio alcuno, dunque, per fare la “sinistra del centrosinistra”. L’esperienza dei due governi Prodi dovrebbe insegnare. Tuttavia oggi è ancora peggio, sia per la situazione economica molto più deteriorata, sia per la natura della coalizione, spostata decisamente più al centro.

Come in Grecia e in Spagna, la “sinistra” del Pd sarà sottoposta a pressioni indicibili, e approverà le peggiori nefandezze senza battere ciglio, poiché non è affatto alternativa a Bersani.

Vendola ha già detto che terrà un atteggiamento responsabile e non farà mancare la fiducia. Giura e spergiura che non vuole Monti assieme a Sel al governo, ma che certo, “nell’eventualità che  l’esito del voto non dia una vittoria netta in entrambe le  camere”, la questione andrebbe affrontata “con un’intesa ristretta su un numero ben definito di cose da fare” con il centro, ma anche con Ingroia. (la Stampa, 13 gennaio 2013). L’esperienza del governo tecnico ha illustrato molto bene dove portano simili “larghe intese”.

Dispiace vedere come alla prospettiva del condizionamento del centrosinistra si aggrappi non solo la maggioranza della Cgil, ma anche il gruppo dirigente Fiom che, nelle parole di Landini, “auspica che non siano né Berlusconi né Monti a guidare il paese” e che posiziona uno dei suoi principali dirigenti, Giorgio Airaudo, capolista di Sel in Piemonte. Airaudo precisa i paletti della Fiom quando afferma che “si batterà per un centrosinistra autosufficiente.” (Il Manifesto, 10 gennaio). Insomma lo stesso film già visto nel 2006.

Il 24 e 25 febbraio dunque sulla scheda elettorale non ci sarà nessuna forza che si porrà il compito, in maniera credibile, di rappresentare il conflitto di classe. Non si presenterà una vera sinistra che difenda fino in fondo gli interessi dei lavoratori, in alternativa e in chiara discontinuità rispetto a Monti, Berlusconi e Bersani.

D’altro canto, la traiettoria del Movimento 5 stelle pare ormai chiara: un qualunquismo sfrenato all’insegna del “nè destra, nè sinistra, nè fascisti nè antifascisti”, impermeabile a qualunque tematica di classe.

La vera posta in gioco non sono le geometrie parlamentari, ma quale governo dovrà gestire una fase in cui la crisi e l’austerità porteranno anche in Italia le esplosioni del conflitto sociale che vediamo in Europa, a cui la borghesia italiana guarda con preoccupazione:

La conflittualità sociale, ed era in larga parte prevedibile ed inevitabile, ha registrato un marcato aumento nel corso dei primi sei mesi dell’anno che volge al termine (+9%). Basta leggere i giornali per capire che tale trend non potrà che confermarsi, se il nuovo Parlamento ed il nuovo Governo non sapranno, con senso di responsabilità, affrontare i difficili nodi che, da anni, bloccano le trattative soprattutto in alcuni settori fondamentali per il funzionamento del sistema-Paese.”Roberto Alesse, Presidente dell’Autorità di garanzia sugli scioperi, Relazione annuale alle Camere (28 dicembre 2012).

L’opinione del “cerbero” della classe dominante dovrebbe far riflettere. La pace sociale sarà una chimera, la borghesia lo sa e chiede ai propri partiti che governeranno di attrezzarsi adeguatamente. Oggi sulla scheda non c’è una lista che rappresenti adeguatamente le lotte di questi anni e quelle che si preparano. La scelta del Prc di aderire alla lista Ingroia permetterà forse l’elezione di alcuni parlamentari comunisti e per questo obiettivo non verrà meno il nostro sostegno, ma non consente di alzare quella bandiera che sarebbe necessaria. È un problema che va molto al di là delle elezioni: ciò che manca sulla scheda è ciò che non è stato costruito in questi anni.

Una sinistra autentica, una sinistra di classe, è una necessità che va ben al di là delle sorti di questa o quella formazione politica. È una necessità storica e al tempo stesso urgente, per fare sì che la resistenza che già si è espressa in questi anni, in decine e decine di lotte, possa finalmente trovare il riferimento politico necessario alla costruzione di un conflitto generale e di una prospettiva rivoluzionaria da contrapporre alla crisi marcia del capitalismo. A questo dobbiamo lavorare.

14 gennaio 2013

Source: Falce Martello (Italy)