Governo Lega – M5S: giù la maschera!

Dopo quasi tre mesi dalle elezioni del 4 marzo, finalmente il governo 5 stelle – Lega ha giurato davanti al Presidente della Repubblica, lo scorso 1 giugno. In questi tre mesi non sono mancati i colpi di scena e i cambiamenti improvvisi dello scenario politico. Sono il risultato del terremoto provocato dalle elezioni, che non avevano prodotto alcun vincitore e punito severamente i partiti che erano stati i pilastri dei governi degli ultimi vent’anni, Pd e Forza Italia.

Originariamente pubblicato in Rivoluzione

La crisi politica ha esposto la vera natura della democrazia borghese, con l’entrata in campo a piedi uniti del Presidente della Repubblica, materializzatasi con il discorso di domenica 27 maggio. Il voto di milioni di persone conta poco o nulla se può mettere anche lontanamente in pericolo la stabilità dei mercati.

È stato questo il senso del ricatto di Mattarella. Il presidente ha chiarito chi decide: la borsa, il grande capitale. Chi vuole restare in questo sistema, deve sottostare ai loro interessi. La borghesia italiana e internazionale temeva che il primo governo Conte, quello con Savona al ministero dell’Economia, avrebbe piantato un altro chiodo sulla bara di un Unione europea in crisi verticale, approfondendo l’insolvenza del sistema bancario e aumentando il debito pubblico italiano.

Inoltre, bisognava fornire un segnale e frustrare fin da subito le speranze di cambiamento che milioni di persone (in maniera, certo, confusa e contraddittoria) avevano riposto nei confronti dei 5 stelle e in misura minore, anche della Lega nel voto del 4 marzo.

I ministri

Detto, fatto! Il secondo governo Conte nasce (per quanto sia possibile) sotto la tutela dei mercati e dell’Unione europea.

Il Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è un iperliberista, ha lavorato alla Banca mondiale e all’Ocse ed è stato fra i redattori del programma economico della Banca d’Italia.

Il Ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha fatto parte di quasi tutti i governi tecnici da quello Ciampi nel 1993 fino a quelli Monti e Letta, come Ministro delle Politiche europee.

Anche Paolo Savona, pietra dello scandalo e ora ridimensionato agli Affari europei, è ben lontano dall’essere “un antisistema”. Ministro dei governi tecnici ai tempi di Ciampi, direttore generale di Confindustria, nei Consigli di amministrazione di numerose banche e grandi aziende.

Nelle altre caselle non va affatto meglio. Al ministero dell’Interno, un campione del razzismo e dell’allarme securitario come Matteo Salvini. Che l’aria si sia già fatta pesantissima per i migranti lo dimostra l’omicidio di Soumalia Sacko, attivista Usb protagonista delle lotte dei braccianti nella piana di Gioia Tauro.

Il disgusto non può che crescere quando leggiamo il curriculum di Lorenzo Fontana, ministro della famiglia, contrario all’aborto e ad ogni famiglia che non sia quella “naturale”. Abbiamo poi l’avvocato di Andreotti, Giulia Bongiorno alla Pubblica amministrazione, Elisabetta Trenta, a capo di un’azienda di contractors per Iraq e Afghanistan alla Difesa. E potremo andare avanti ancora…

Le promesse

Le tante speranze di milioni di lavoratori e di giovani, riposte soprattutto nei Cinque stelle, che fine faranno dunque?

Se il taglio di 250 miliardi di debito pubblico era scomparso quasi subito dal “Contratto di governo”, sul resto del programma la musica non cambia.
La legge Fornero sarà “superata” e non “abolita”. Di cancellazione della legge Fornero infatti nel contratto non c’è traccia, e nemmeno di uno smantellamento del meccanismo infernale che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile di pari passo alle previsioni sull’aspettativa media di vita. I 5 miliardi previsti dal contratto, se saranno stanziati, paiono un fondo atto a predisporre qualche “scivolo” per una fascia di lavoratori anagraficamente prossimi alla pensione. La quota 64 sarebbe l’età anagrafica minima, mentre gli anni di contributi figurativi accettati potrebbero essere soltanto due (con buona pace di tanti insegnanti), come previsto nel programma della Lega sulle pensioni. La coperta è corta, se si vuole far quadrare il bilancio, “L’Ape sociale andrebbe eliminata e con essa il concetto di “lavori gravosi” se si vuol arrivare alla quota 100 e 41anni di contributi” spiega l’estensore di questo punto del Contratto, Alberto Brambilla, a La Stampa (4 giugno 2018).

E il jobs act? Il nuovo ministro del lavoro Di Maio parla di una sua revisione, non dell’abolizione. D’altra parte nel “Contratto di governo” non si cita nemmeno il decreto Poletti, quello che ha liberalizzato totalmente i contratti di lavoro a termine. Anzi, vengono reintrodotti gli odiati “voucher”, chiamati “strumento telematico per la gestione dei rapporti di lavoro accessorio”.

E il reddito di cittadinanza? Le risorse non ci sono, il presidente dell’Inps Boeri lo dice da sempre e i mercati lo hanno fatto capire a colpi di spread.

Il Ministro dell’Economia, Tria, è un sostenitore della Flat tax, altra promessa elettorale (della Lega) che si potrebbe finanziare con l’aumento dell’Iva. In poche parole: i lavoratori, i pensionati e le loro famiglie dovrebbero finanziare il risparmio fiscale dei ricchi (quei pochi che non evadono)!

E invece sulla “buona scuola”? Il neo ministro Bussetti (tecnico di area leghista) afferma che è “un’ottima legge”. Già il “Contratto” in salsa giallo-verde aveva definito l’alternanza scuola-lavoro “un efficace strumento di formazione” e previsto le telecamere nelle classi (naturalmente contro il “bullismo”).

E un altro cavallo di battaglia dei grillini, il No alle grandi opere come la Tav? “Le grandi opere le analizzeremo e le studieremo tutte – dice Toninelli, uno degli esponenti del M5S più conosciuti e ministro delle infrastrutture – sulla Tav quello che è giusto fare lo faremo, quello che non è giusto no”. (La Stampa, 1 giugno 2018). Sul Terzo valico invece la contrarietà grillina è già svanita, provocando la rabbia di tanti attivisti nelle vallate dell’appennino liguro-piemontese.

Dopo pochi giorni dall’insediamento, la direzione del “governo del cambiamento” sembra già definita. Comprende l’archiviazione veloce di tutte le promesse fatte “a sinistra” e il mantenimento di quelle fatte a destra. Padroni e banchieri possono dormire sonni tranquilli. D’altra parte il presidente di Confindustria Veneto, Zoppas, nei giorni caldi della crisi si era espresso chiaramente: “Rivolgiamo un accorato appello a tutte le forze politiche: le imprese e i cittadini hanno bisogno di un esecutivo che sia pienamente operativo”, aggiungendo che sarebbe stata una “follia uscire dall’Ue”. Salvini non è stato certo insensibile agli appelli di chi comanda in una delle regioni tradizionale serbatoi di voti della Lega.

Razzismo e propaganda securitaria

Quello che rimane è la propaganda razzista e il decisionismo “securitario”. Una politica repressiva che si innesta su un percorso già stabilito, come spiega il neoministro dell’Interno Salvini: “Minniti ha fatto un buon lavoro, non lo smonteremo.”

L’odio verso i “clandestini” è necessario. Serve come diversivo, perché i lavoratori italiani non puntino il dito contro il vero nemico, gli Zoppas, i Del Vecchio, i Marchionne, ma invece contro chi, disperato per la fame e per le guerre cerca di raggiungere in ogni modo l’Italia. Serve per dividere i lavoratori e far credere che sia corretto pagare due euro all’ora chi raccoglie i pomodori perché proviene da una “razza inferiore”.

Distogliere l’attenzione dai veri problemi è imprescindibile per i padroni, quando i ritmi, la fatica e la totale mancanza di diritti e regole nei luoghi di lavoro su cui si fonda la ripresa nel Nord del paese causano 296 morti sul lavoro nei primi mesi del 2018 e tragedie come quella della acciaierie Venete di Padova.

Nel prossimo periodo vederemo quindi un distillato della propaganda più becera, razzista e oscurantista, al grido di “Dio, Patria e Famiglia” e della superiorità della “razza italiana”. Salirà dai palazzi governativi romani un odore nauseante, con cui cercheranno di narcotizzare le menti dei lavoratori e dei giovani. Ma razzismo e oscurantismo non danno da mangiare e solo a breve termine possono nascondere una realtà fatta di precariato, disoccupazione e mancanza di futuro.

Le aspettative enormi scaturite dal voto del 4 marzo renderanno ancora più amaro il risveglio dalle illusioni tradite. La questione dell’Euro e dell’Unione europea è solo rinviata, niente affatto sepolta a causa della crisi permanente in cui si trova l’Europa capitalista. Il prossimo scontro con Bruxelles non troverà più la camera di compensazione del “sovranismo” di Lega e M5S, impegnati a dover difendere le scelte impopolari che il loro governo porterà avanti.

Nella disputa non c’è spazio per la reticenza o per mezze misure. Contro il “sovranismo” e l’europeismo, due facce della politica del capitale, rivendichiamo la rottura con l’Unione europea capitalista e con l’euro come parte di un programma rivoluzionario, per una federazione socialista d’Europa.

Amici e nemici

In questo scontro futuro la sinistra di classe e il movimento operaio dovrà capire chi sono gli amici e chi sono i nemici.

Salvini e la destra non si potranno mai sconfiggere appoggiando Mattarella o a colpi di citazioni a raffica della Costituzione, come fa l’opposizione parlamentare, a partire dal Pd. Anzi, Mattarella ha totalmente ragione quando spiega che ha agito nel rispetto della “legalità costituzionale” nella costruzione del governo Lega-M5S. La Costituzione italiana tutela l’ordine costituito e, con l’articolo 81, sancisce l’obbligo di pareggio di bilancio. Il presidente della Repubblica ha ribadito che nessun governo potrà nascere in questo sistema calpestando i “sacri principi costituzionali”.

Il terreno della “difesa della Costituzione” di cui si riempiono la bocca i vertici sindacali e quelli di quel poco che rimane a sinistra è oggi il terreno più arretrato su cui sviluppare qualunque mobilitazione.

È il campo dell’ “unità nazionale”, dei “valori condivisi”, dell’Inno di Mameli. Ma non c’è proprio nulla da condividere tra la famiglia Del Vecchio (che dichiara nel 2017 un reddito di 367milioni di euro) e un lavoratore di Luxottica.

Dobbiamo rilanciare un’altra unità, quella degli sfruttati, quella dei lavoratori, italiani e immigrati, contro i padroni. Alla guerra fra poveri dobbiamo contrapporre la lotta di classe. Su questo terreno si può ricostruire una sinistra di classe e una nuova direzione del movimento operaio.

È una prospettiva quanto mai necessaria per intervenire nelle mobilitazioni che verranno. Non condividiamo affatto il pessimismo che alberga fra i maitre a penser della sinistra nostrana. L’arrivo al governo del Movimento 5 stelle rappresenta un passaggio necessario nello sviluppo della coscienza di classe in questo paese. L’alleanza di governo con la Lega, la forza più reazionaria nel parlamento, farà cadere ben presto la maschera del populismo piccolo borghese dei 5 stelle.

I provvedimenti del governo giallo-verde non potranno essere che di attacco senza quartiere ai lavoratori e ai giovani. La prospettiva della lotta, dopo una delusione iniziale, diventerà più concreta e soprattutto sarà l’unica strada possibile.

Sulla base di questa prospettiva Sinistra classe rivoluzione interverrà nelle mobilitazioni e davanti ai luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università. Ti invitiamo a farlo con noi!

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