Europa in crisi

Il titolo dell’Economist dice già tutto: “Europa: Molto dolore, misero guadagno”. In tutta Europa, i governi stanno lottando per riprendere il controllo dei loro immensi deficit. Per farlo però, devono presentare il conto alla classe operaia e alla classe media. La verità diventa quindi sempre più chiara agli occhi dei lavoratori, che si trovano ad affrontare un intero periodo di  tagli e di attacchi ai loro standard di vita. E stanno reagendo.

Come sempre, i lavoratori francesi sono in prima linea, con gli scioperi generali e le manifestazioni di massa. Ma cominciano ad esserci mobilitazioni dappertutto. Sabato 27 novembre, 100.000 persone hanno manifestato a Dublino. Il recente sciopero generale in Portogallo ha avuto una partecipazione di massa (80-85 per cento, secondo i leader sindacali - il più grande dopo la Rivoluzione).

In Spagna c’è stato uno sciopero generale il 26 Settembre. In Italia ci sono state manifestazioni di massa convocate dalla CGIL e dalla FIOM. Quest’anno in Grecia ci sono stati otto o nove scioperi generali. In Gran Bretagna ci sono state rabbiose manifestazioni di studenti in tutte le città, per protestare contro l’aumento delle tasse universitarie.

Questo è solo l’inizio. È un indice del fermento che c’è a tutti i livelli della società e che deve trovare la propria espressione nelle fila del movimento operaio. I leader sindacali stanno cercando disperatamente di trovare un accordo con la borghesia ma c’è un problema: la borghesia non ha nulla da offrire. E non si tratta solo del fatto che non possono offrire alcuna riforma significativa. Ma anche del fatto che non possono più tollerare l’esistenza di quelle riforme conquistate dai lavoratori negli anni passati.

Perciò i leader sindacali non hanno altra scelta che convocare delle mobilitazioni Purtroppo però, nelle condizioni attuali, anche gli scioperi generali non sono sufficienti. La classe dominante non ha alternativa agli attacchi che sta portando avanti. E non si tratta di uno stato di cose temporaneo. Siamo invece a un punto di svolta nella storia europea. E ci sono tutti gli ingredienti per un revival della lotta di classe.

La crisi continua

Negli anni passati il boom economico è stato lin gran parte fondato sull’espansione del credito, che si è riflesso in un massiccio aumento dei livelli del debito privato prima della crisi, e in livelli senza precedenti di debito pubblico dopo di essa. Dopo una sbronza arriva sempre il mal di testa. I governi hanno cercato di uscire dalla palude stimolando l’economia, che significa solo che adesso la parte ricca del mondo deve restituire un sacco di soldi. Questa è una delle ragioni per cui ogni tentativo di ripresa sarà rimandato e avremo una crisi dopo l’altra.

Quanto più i mercati diventavano coscienti della stato reale della finanze dei governi del mondo sviluppato, tanto più si creava nervosismo rispetto al problema del debito sovrano. E il problema è tale che non può che peggiorare. Nel 2011 l’ammontare del debito maturato in America e nell’area dell’Euro sarà persino maggiore di quello del 2010. Secondo Bloomberg, ammonterà a circa 3,5 milioni di milioni di Dollari, rispetto ai 3,1 milioni di milioni di quest’anno.

Attualmente l’attenzione è concentrata sulle economie periferiche della zona euro (Irlanda, Portogallo e Grecia). La catena del capitalismo europeo si sta spezzando nei suoi punti più deboli. Ma per ogni anello che cede la tenuta della catena stessa è messa alla prova e si avvicina il punto di rottura. E prima o poi quel punto sarà raggiunto.

Mentre l’Unione Europea e il FMI erano a Dublino a contrattare i dettagli del piano di salvataggio dell’Irlanda, i funzionari del governo di Portogallo e Spagna cercavano di ammorbidire i nervi degli investitori con assicurazioni sul fatto che le loro economie e le loro banche non avrebbero avuto bisogno di tale aiuto. José Sòcrates, il Primo ministro del Portogallo, sperava che l’aiuto dato all’Irlanda avrebbe calmato i mercati perché la sua nazione stava “chiaramente soffrendo un effetto di contagio”.

Il problema è che nessuno gli crede. Le preoccupazioni per il debito pubblico non sono diminuite e il costo dei prestiti è cresciuto nettamente sia in Portogallo che in Spagna. Lo scarto di rendita tra i buoni decennali del governo spagnolo e i Bund tedeschi è schizzato al suo valore massimo dall’introduzione dell’euro. Una cosa che ricorda un po’ la cartella clinica di un paziente in condizione di salute critiche.

La bancarotta dell’Irlanda è un colpo ancora peggiore per l’euro di quella greca poiché le maggiori banche europee possiedono una quantità maggiore di debito Irlandese. E il Portogallo è il prossimo. Dal Portogallo il contagio arriverà alla Spagna. E dopo la Spagna ci sarà l’Italia e la Gran Bretagna non sarà poi così distante.

Dove sono i segnali di ripresa?

La crisi dell’euro viene attribuita alla “mancanza di fiducia”. Ma è la tipica spiegazione che non spiega un bel nulla. Perché c’era fiducia prima e invece non c’è più fiducia adesso? La risposta è che i capitalisti (meglio noti come “investitori” o “il mercato”) non intravedono alcuna ripresa dell’economia mondiale. Al contrario, la crisi internazionale del capitalismo sta peggiorando sotto diversi aspetti. Già non si sentono più le chiacchiere sui “germogli verdi”. Il clima generale è di forte pessimismo, a tratti anche di vero e proprio panico.

Il centro nevralgico della economia mondiale rimangono gli USA. Qui i segnali sono più evidenti.  L’economia americana è cresciuta più velocemente di quanto ci si aspettasse: in un anno è cresciuta del 2,5%, contro una stima iniziale del 2%. Ma la notizia è stata oscurata dalla previsione poco incoraggiante fatta dalla Federal Reserve sulla disoccupazione, il cui tasso resterà alto per un periodo più lungo di quanto detto in precedenza, scendendo al 9% solo alla fine del 2011.

Il mercato immobiliare americano è sempre depresso. Il numero delle case di proprietà in America era del 2,2% più basso in Ottobre che in Settembre, e del 25,9% più basso che nell’Ottobre del 2009. Le vendite di case pignorate o perse in altri modi legati ai disagi finanziari rappresentavano il 34% delle vendite totali di Ottobre, e simile era la situazione in Settembre.

Alcuni economisti fanno un parallelo tra questa situazione e quella del 1929-49 o del 1965-82. Gradualmente la borghesia si sta rendendo conto che non ci sarà alcuna seria ripresa nel prossimo periodo. Magari sperano che nei mercati emergenti si produca abbastanza profitto da salvarli. Ma alla fine non c’è una reale fiducia in alcunché

Il nervosismo della borghesia trova espressione negli sobbalzi del mercato azionario mondiale. Dopo la ripresa del 2009, il mercato azionario si sta di nuovo sfaldando. La borghesia soffre di una forma di schizofrenia collettiva. Un minuto parlano di deflazione, il minuto dopo parlano dei pericoli dell’inflazione. Gli economisti non riescono a comprendere la situazione e danno consigli contraddittori.

L’Economist ha fatto di recente un’analisi molto pessimistica della situazione:

“Se la prospettiva è quella di una lenta crescita economica che durerà diversi anni, allora questa valutazione poco incoraggiante dei dividendi sarà probabilmente corretta. Dopo tutto, il rimbalzo dei profitti del 2009-10 era dovuto per lo più a un aumento dei margini. Le compagnie potevano tagliare sull’organico mentre aumentavano la produttività della rimanente forza lavoro. Ma è una pratica difficilmente sostenibile nel lungo periodo. O l’economia si riprende, e il costo del lavoro si alza, oppure l’alto tasso di disoccupazione peserà sulla domanda e a soffrirne saranno i profitti.”

Tendenze protezioniste

Le contraddizioni emergono a tutti i livelli. I buoni del tesoro sono sempre stati dei porti sicuri per i mercati finanziari. I dubbi riguardo alla solvibilità dei buoni greci e portoghesi significano solo che gli investitori opteranno per la sicurezza offerta dai bund tedeschi o dai buoni del tesoro americani. Ma dal momento che anche questi cominciano ad essere guardati con sospetto, la borghesia si sta progressivamente orientando verso un vecchio e sicuro rifugio: l’oro.

L’irrefrenabile ascesa dell’oro, che ha battuto ogni record, è un chiaro riflesso della paura che gli investitori hanno dell’inflazione e della loro mancanza di fiducia nelle attuali valute. Sanno bene infatti che nel passato i governi hanno usato l’inflazione come un modo per affrontare gli oneri di un forte debito, e sanno anche che alla fine questi metodi portano a una esplosione dell’inflazione.

All’improvviso la questione delle valute domina la scena. Se non si stanno preoccupando dell’euro o del dollaro, si lamentano dello yuan. La Cina è stata costantemente criticata per la svalutazione della sua moneta, in particolare in America. Sotto la pressione di queste critiche, e per evitare misure protezionistiche, Pechino ha permesso allo Yuan di  rivalutarsi rispetto al dollaro, ma si è trattato di un aumento talmente piccolo da essere privo di significato.

Il surplus della bilancia commerciale della Cina è cresciuto fino a 102,3 miliardi di dollari nel terzo quadrimestre, il doppio dell’anno scorso e circa il 7,2% del PIL. Con le esportazioni cinesi che volano a nuovi record, i governi occidentali stanno pressando la Cina perché faccia qualcosa per “indirizzare la propria bilancia commerciale”, che significa, esportare di meno e importare di più. Ma Pechino non sembra ansiosa di seguire questo amichevole consiglio. La Cina è un esportatore di grande successo, e di conseguenza ha accumulato questo notevole surplus commerciale. E per mantenere le proprie esportazioni convenienti per i consumatori americani ed europei, i cinesi usano la svalutazione della moneta per mantenere bassi i prezzi dei loro prodotti.

Altre nazioni stanno cercando di seguire la stessa strada della Cina, esportando la sua soluzione per la ripresa. Che in altre parole significa esportare disoccupazione. Ma c’è un piccolo problema: perché qualcuno possa esportare, ci deve essere qualcun altro che importa, e perché qualcuno possa svalutare la propria moneta, ci deve essere qualcun altro che lasci rivalutare la propria. Si tratta di un terreno scivoloso che può portare a una serie di svalutazioni competitive se i governi intervengono per abbassare il valore delle proprie monete per assicurarsi un vantaggio sui propri rivali. E se i medesimi governi finiscono per accusarsi reciprocamente di cercare di guadagnare “artificialmente” quote di mercato, il risultato potrebbe essere quello di un affermazione del protezionismo.

Si comincia già a parlare di guerra delle valute. E’ una situazione estremamente pericolosa. E’ bene ricordare che quello che ha trasformato la crisi del 29 nella Grande Depressione è stato proprio il protezionismo e le svalutazioni competitive. E’ in questo contesto di globale ed estrema volatilità che dobbiamo inserire la crisi dell’euro.

Chi paga?

I governi sono come equilibristi su una fune; cercano di rassicurare i mercato facendo tagli drastici nel nome della “disciplina di bilancio”, e nel mentre cercano di non infliggere danni irreparabili alle proprie economie. Ma è come far quadrare un cerchio. Alla fine, i programmi di austerità in Europa non solo non risolveranno nulla, ma anzi, faranno peggiorare ancora di più la crisi. È abbastanza probabile che le misure di aggiustamento saranno minate alla base dall’inasprimento delle politiche fiscali, in particolare in Europa.

Le misure di salvataggio per la Grecia e l’Irlanda avevano lo scopo di provare ai mercati finanziari che l’euro sarebbe stato in salute nel 2001, dal momento che l’esistenza un enorme fondo  a perdere significa che esiste un investitore di ultima istanza che garantisce per il debito della zona euro. Ma questo in alcun modo può garantire il futuro dell’euro.

Il 29 Ottobre i leader dell’Unione Europea hanno si sono accordati per riaprire i trattati “per stabilire un meccanismo di crisi permanente” che dovrebbe includere “il ruolo del settore privato”. I mercati hanno inteso questo come un segno del fatto che d’ora in poi i possessori di titoli di stato saranno costretti a pagare i futuri salvataggi dei membri a rischio dell’euro zona. E immediatamente hanno cominciato a liberarsi del debito delle nazioni più esposte, leggi Irlanda e Portogallo.

Il 21 Novembre il governo irlandese ha ceduto alle pressioni dell’Unione Europea per reperire i fondi di un salvataggio d’emergenza dalla UE e dal FMI nella misura di 85 miliardi di Euro (115 miliardi di dollari). Quando, in Maggio, il governo greco ha ottenuto un aiuto di 110 miliardi di euro e un fondo congiunto UE/FMI di 750 miliardi di euro è stato creato per finanziarlo, i mercati esultarono. Ma stavolta le grandi agenzie di rating hanno reagito negativamente.

Se gli irlandesi pensavano che sarebbero stati ricompensati dagli investitori accettando questo accordo, si sono presto dovuti ricredere. Mentre in Maggio dopo il salvataggio della Grecia i mercati si calmavano un poco, i titoli di stato irlandesi subivano un crollo, e anche quelli del Portogallo e della Spagna. Quando è stato annunciato l’accordo i rendimenti dei bond irlandesi inizialmente sono scesi al 7,92%, ma subito dopo Standard’s & Poor ha declassato il debito del governo irlandese da AA- a A  e Moody ha promesso un “declassamento multiplo”.

Nell’arco di 24 ore il differenziale di rendimento tra il debito pubblico irlandese, portoghese e spagnolo e i bond tedeschi è cresciuto maggiormente rispetto a prima che l'accordo venisse annuciato. Il differenziale sui titoli spagnoli ha raggiunto il proprio apice dal lancio dell’euro nel 1999.
In altre parole, il salvataggio ha fallito ancor prima che si asciugasse l’inchiostro sulla carta sui cui era stato scritto. La ragione è semplicemente che i multimiliardari a livello internazionale non credono che questi paesi possano ripagare i propri debiti. Sanno che l’ultimo accordo non eliminerà il debito pubblico irlandese, ma semplicemente lo rifinanzia.

È molto simile a quanto accaduto nel 2008, quanto i disperati tentativi di rivitalizzare le banche americane produsse solo una ripresa temporanea. Dopo il salvataggio di Bear Stearns del Marzo 2008 ci talmente tanto clamore che il governo americano fu restio a salvare Lehman Brothers a Settembre. E ora la Germania affronta il medesimo dilemma. È la Germania che tiene i cordoni della borsa della UE. È stata la Germania ha mettersi le mani nelle proprie tasche per salvare la Grecia e l’Irlanda. Ma tutto ha un limite.

Dall’Irlanda al Portogallo…

Dopo l’Irlanda i mercati stanno adesso orientando la loro attenzione verso i paesi iberici, primo fra tutti il Portogallo. Il 23 novembre il Portogallo pagava in punti percentuali oltre quattro volte quello che pagava la Germania per avere in prestito del denaro. Che è molto vicino a quanto pagava la Grecia a metà aprile, qualche settimana prima della bancarotta.

Il Portogallo è un’altra economia debole europea, che soffre di una crescita lenta e di un pesante deficit di bilancio. È chiaro che il Portogallo sarà costretto a seguire la strada dell’Irlanda. Per compiacere i mercati il governo a guida socialista di José Sòcrates ha annunciato un pacchetto di tagli. Come conseguenza è stato indetto uno sciopero generale, che ha avuto un seguito di massa. Ma il problema non è se Lisbona cercherà un salvataggio     da parte della Bce ma quando.

Comunque, tutti questi piani di salvataggio non risolvono alcunché. Se Irlanda, Grecia e Portogallo avessero semplicemente bisogno di avere in prestito una certa somma di denaro come aiuto per uscire dalle loro difficoltà, allora il piano di aiuti dell’UE potrebbe anche funzionare.  Ma i mercati sono convinti che i problemi siano più profondi, e infatti questi paesi sono insolventi: detto in parole semplici, non possono nemmeno permettersi di garantire il proprio debiti, figuriamoci ripagarli.

Gli esperti sospettano che il debito delle banche Irlandesi sia ben peggiore sia quanto ammesso finora e sono stati allarmati dalla decisione del governo di Dublino nel Settembre 2009 di garantire tutti i passivi di queste banche. Questa decisione avventata potrebbe alla fine costare persino di più di quanto costerebbe il prestito promesso dalla UE/FMI di circa 85 miliardi di euro, specialmente se i depositi delle banche continuano a lasciare il paese, come nei fatti stanno facendo.

Perciò stanno facendo un’incredibile pressione sul governo irlandese perché approvi un piano di austerità prima che siano indette le elezioni politiche. La situazione non è diversa in Grecia, dove il governo, avendo approvato una severa politica di tagli, adesso si rende conto di non poter aumentare abbastanza le tasse o di crescere sufficientemente da porte ripagare le enormi somme prese in prestito.

In Irlanda, Brian Cowen all’inizio di ficembre doveva ancora far approvare la finanziaria 2011.   Dal momento che era ministro delle finanze quando la bolla irlandese si è gonfiata ed era primo ministro quando è scoppiata, la usa credibilità adesso è pari a zero. Dopo aver ripetutamente negato che stesse cercando un salvataggio, ha però firmato un accordo umiliante che non solo costringe l’Irlanda a pagare una somma enorme ma consegna ai commissari della UE il potere di controllo totale.
Questo “perdita di sovranità” ha sollevato una forte indignazione in Irlanda.  Il giornale Irish Times si è persino chiesto se l'insurrezione  di Pasqua del 1916 non sia stata vana. Non sembrano capire che ormai la vera sovranità risiede nell'onnipotente mercato, contro cui non ha senso protestare.

Immediatamente è seguita una crisi politica. Il Partito dei Verdi, in coalizione di governo con Cowen, ha dichiarato che ne uscirà in Gennaio, costringendo il paese alle elezioni anticipate, non prima comunque di aver dato una mano ad approvare il bilancio 2001 il 7 Dicembre. Saranno quindi complici del piano quadriennale per ridurre il deficit al 3% del PIL entro il 2014, come prescritto dai termini del piano di salvataggio della UE/FMI. Anche se questo potrebbe non essere sufficiente a far passare il bilancio.

Il Commissario Economico Europeo Olli Rehn ha insistito perché Bruxelles non interferisse con la politica Irlandese, aggiungendo però che “la stabilità è importante”. Il bilancio sarà un’altra dose di austerità, includendo 6 miliardi di euro di tagli alla spesa, innalzamento delle tasse, tagli selvaggi al welfare e al settore pubblico e la riduzione del salario minimo.

Questo accordo ha prodotto una crisi nel Fianna Fail (il Partito Repubblicano), che ora è dato dai sondaggi al 17%, il suo minimo storico. Il partito, che è stata la forza politica dominante in Irlanda fin dall’indipendenza del 1920, si avvia verso la più grande sconfitta elettorale della sua storia. E’ questo il motivo per cui alcuni membri del suo gruppo parlamentare hanno chiesto le dimissioni di Cowen.  È probabile che il Fianna Fail venga sostituito da una coalizione tra Fine Gael (un altro partito borghese) e il Labour.

Quindi la crisi economica è diventata immediatamente una crisi politica nazionale. Era questo che intendevamo quando scrivevamo che ogni tentativo di restaurare l’equilibrio economico avrebbe distrutto l’equilibrio politico e sociale.

...e dal Portogallo alla Spagna

La Spagna è passata dalle stelle alle stalle. Come l’Irlanda, ha vissuto un febbrile boom del mercato immobiliare che alla fine è collassato. Solo nel 2007 l’economia spagnola aveva uno dei tassi di crescita più alti d’Europa. Ma quei tempi sono finiti. Quando la bolla edilizia è scoppiata ha trascinato con sé l’intera economia. Nel 2009 era la nona economia più grande del mondo. Presto sarà invece la ventesima, dietro a Russia, India e Canada.

Nel 2010, mentre altre economie europee cominciavano a vivere un qualche tipo di lenta crescita, l’economia spagnola indietreggiava. L’OCSE prevede che la il PIL spagnolo diminuirà sensibilmente quest’anno e crescerà solo dello 0.9% l’anno prossimo. Come per il Portogallo e la Grecia la sua crescita è scarsa e la disoccupazione è oltre il 20%. Qualche giorno fa, il governatore della Basca di Spagna, Miguel Fernandez Ordonez, ha ammesso: “Il contagio si è propagato al debito greco, al debito portoghese e, in misura minore, al nostro stesso debito come a quello dell’Italia e persino del Belgio.”

Anche se l’anno scorso il debito nazionale della Spagna era solo al 53% del PIL - 21 punti percentuali sotto alla media europea - adesso è decisamente nel mirino degli speculatori. Intanto, le banche spagnole sono fortemente esposte nei confronti del Portogallo e i debiti delle famiglie e delle ditte spagnole e ampiamente sopra la media europea. Il debito corrente è ancora sopra al 4% del PIL. Le dimensioni reali delle perdite sulle ipoteche delle banche e delle casse di risparmio sono sconosciute.

Le banche spagnole detengono più di 200.000 case appena costruite come parte del patrimonio immobiliare, del valore di circa 60 miliardi, tenuto come garanzia ipotecaria nei confronti dei costruttori in bancarotta. Molte di queste case saranno rimesse sul mercato nel 2011, aggravando ancora di più la svalutazione degli immobili. I mercati temono che l’economia spagnola non riesca a crescere. Nel 2011, ci si aspetta che il PIL spagnolo cresca meno del 1%. La disoccupazione ha superato il 20%, mentre l’inflazione è più alta che in Germania.

Quel che accadrà in Spagna avrà effetti determinanti per il futuro dell’Euro. L’Economist ha schiettamente intitolato un editoriale: Per fermare il crollo dell’euro, Zapatero deve rilanciare le riforme in Spagna. Che è come dire, il governo socialista deve adottare delle misure di austerità per tagliare il deficit di bilancio. Zapatero sarà costretto a seguire le indicazioni del mercato. Ha già tagliato la spesa e aumentato le tasse nel tentativo di ridurre il deficit dall’11% del PIL nel 2009 al 6% l’anno prossimo. Ha anche tagliato la paga del servizio civile del 5% e aumentato l’IVA, nonostante uno sciopero generale.

Grazie a un accordo con il Partito Nazionalista Basco il governo di minoranza di Zapatero può avanzare un bilancio di austerità per il 2011. Ma i mercati non sono soddisfatti. Si lamentano del fatto che Zapatero sia troppo morbido e gli fanno pressione. “Ogni volta che i mercati internazionali fanno qualche pressione sul nostro debito, il governo spagnolo dice che sta per fare una qualche riforma,” ha detto Juan Rubio.Ramìrez, un’economista spagnolo della Duke University. “E quando la pressione diminuisce, si rilassa.”

I piani di Zapatero per aumentare l’età pensionabile da 65 a 67 anni per riformare il mercato del lavoro sono considerati dalla borghesia come eccessivamente timidi. Vogliono abolire del tutto il sistema di contrattazione nazionale. Si lamentano del fatto che la riforma sia stata posticipata al primo quadrimestre dell’anno prossimo e, per i gusti della borghesia, la discussione sul sistema di contrattazione nazionale stia procedendo troppo lentamente. Chiedono anche una riforma del sistema sanitario. Il Mercato chiede che Zapatero si pieghi al suo volere e che sacrifichi se stesso sul suo altare.

I sindacati hanno risposto con uno sciopero generale. Zapatero si trova tra l’incudine e il martello. Quel che fa non soddisfa nessuno. È troppo poco per i padroni e troppo pesante per i lavoratori. Come conseguenza, i sondaggi vedono i socialisti crollare e Zapatero si avvia verso una vera e propria umiliazione elettorale. Dovrà sempre di più dipendere dai deputati dei nazionalisti borghesi baschi e catalani, che alzeranno il prezzo per il loro sostegno. Sembra sicuro che il PSOE perderà le prossime elezioni generali del 2012 e che a vincerle sarà la destra del Partido Popular.

Germania - la chiave dell’Europa

Dal momento in cui i governi hanno deciso di coprire le perdite delle loro banche maggiori, la loro capacità di credito e inestricabilmente legata ai bilanci di queste ultime. Il problema però è che nessuno conosce la reale entità del debito nocivo delle banche. Secondo Moody’s, l’agenzia di credito, le istituzione che vengono da lei valutate avranno globalmente bisogno di rinegoziare 1,8 milioni di milioni di debito nel 2011. Al quale vanno aggiunte le banche che non sono sulla lista di Moddy’s. Il totale sarà quindi ben più grande. Nessuno sa quanto.

Questo vale particolarmente per le banche europee, che affronteranno un pesante rifinanziamento nel 2001. Durante gli anni del boom queste banche hanno fatto enormi profitti con la speculazione. Ora si aspettano che le loro perdite siano compensate dalle banche centrali. Quest’ultime sono viste come delle specie di cornucopie – quel corno magico dell’abbondanza che rifornisce di tutta la liquidità necessaria. Ma le risorse della banca centrale non sono infinite.

Se si trattasse solamente di Grecia, Irlanda e Portogallo, forse riuscirebbero a gestire la situazione. Ma la Spagna e' una questione completamente diversa: e' la quarta economia più' grande dell'euro, con un PIL ed una popolazione maggiore rispetto a quelle di questi tre paesi messi assieme. Il fondo europeo per la stabilita' finanziaria da 750 miliardi di euro era pensato per far fronte ai problemi della Spagna come per quelli degli altri tre paesi deboli dell'eurozona. A  maggio, quando il fondo venne istituito, sembrava un'ipotesi poco probabile.

Finora la Germania ha appoggiato i salvataggi, nonostante le continue espressioni di disappunto. Ma sarà disposta a pagare per la Spagna? La Merkel e il suo ministero delle finanze, Wolfgang Schauble, sono ben consapevoli del fatto che vi è un crescente risentimento in Germania circa gli euro-salvataggi. Sanno anche che nel 1992 il trattato di Maastricht non conteneva disposizioni riguardanti i salvataggi, un fatto a cui a un certo punto la Corte costituzionale tedesca potrebbe puntare la propria attenzione. Il Bild ha chiesto di recente: "Prima la Grecia, poi l’Irlanda, poi... la finiremo di dover pagare per tutti in Europa?"

Sono talmente sotto pressione da chiedere che i trattati UE siano emendati in modo da permettere al fondo europeo per la stabilita' finanziaria di esistere in modo permanente. Senza questa modifica l'esistenza del fondo avrà' termine nel 2013. Ma la modifica di un trattato e' un affare complicato. Ci è voluto molto tempo per ottenere l'approvazione della Costituzione europea tramite referendum nazionali, e non è riuscita ugualmente. Inoltre l'insistenza della Germania su questo punto è causa di attrito con altri governi non propensi a referendum europei a causa dei problemi politici interni che potrebbero provocare.

La Merkel ha affermato che l'euro e' in una situazione "estremamente grave". Schauble ha aggiunto che "la nostra moneta comune e' in gioco". Il presidente del consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha suggerito che se l'euro non sopravviverà, non lo farà' nemmeno l'UE. Per placare l'elettorato tedesco, e al fine di combattere l'impressione che siano troppo generosi con il denaro tedesco, hanno chiesto che i futuri salvataggi finanziari includano disposizioni per la restituzione del debito in modo da imporre alcune perdite agli investitori. Questa modesta proposta ha immediatamente fatto scattare i nervi agli investitori.

I mercati non possono essere controllati da una legislazione, vogliono sempre far vedere chi comanda. Improvvisamente la Germania tace sulla necessità di "far pagare gli speculatori". Alla Commissione europea e' stato chiesto di elaborare proposte per un sistema del genere, ma non risponde nulla a riguardo. Allo stesso modo Herman Van Rompuy, il presidente del Consiglio europeo, che non molto tempo fa avvertiva che l'euro era in una "crisi di sopravvivenza", e che si suppone abbia consultato i membri sul modo di fare le necessarie modifiche ai trattati, non dice una parola.

Tutti stanno cercando di calmare i mercati, non di inimicarseli. Ora spergiurano tutti che i possessori di titoli non dovranno pagare per il salvataggio dell'Irlanda. In ogni caso non hanno la minima idea di come una norma "anti-speculazione" dovrebbe funzionare. Steven Vanackere, il ministro degli esteri belga, ha suggerito che dovrebbero smetterla di definirlo un meccanismo “soluzione della crisi”, ma piuttosto un “meccanismo di stabilità”. Ma lo stesso Vanackere era chiaramente convinto che questa manovra non avrebbe funzionato:"Sarebbe come chiamare il ministero della guerra il ministero della pace o il ministero della difesa", ha detto.

L'Europa a un punto di svolta

La minaccia da parte dei mercati dei titoli non pende solo sulla testa dei paesi deboli come Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. Riguarda tutta l'Europa e minaccia di far crollare l'euro. Quando l'euro venne lanciato nel dicembre 1995 abbiamo detto chiaramente che gli stati membri avevano delle economie così' fondamentalmente diverse da rendere impossibile l'assunzione a lungo termine delle stesse politiche fiscali e monetarie. Abbiamo spiegato che è impossibile unire economie che spingono in direzioni diverse. E abbiamo detto che nel caso di una crisi l'euro sarebbe crollato in mezzo a recriminazioni reciproche. Tutto ciò' si sta rapidamente avverando.

Per un certo periodo, sembrava che l'eurozona potesse avere successo. Sulla base di un boom generale nel capitalismo mondiale, i capitalisti europei hanno potuto raggiungere degli accordi come veri “gentiluomini”. Ma adesso tutto e' cambiato. Il salvataggio irlandese significa che l'euro ha i giorni contati. Adesso l'Unione Europea sta cercando disperatamente di fermare la diffusione del contagio, che sta minacciando l'esistenza della moneta unica. L'Economist ha recentemente messo in guardia: "Quando le risorse scarseggiano, la lotta per la divisione della torta diventa più' aspra". Ha riassunto bene la situazione.

Il futuro dell'euro dipende esclusivamente dalla Germania e dalla Banca Centrale Europea - che sono in pratica la stessa cosa. La Germania è l'economia più forte in Europa, ed  è obbligata a sottoscrivere le perdite nella zona dell'euro. Comunque, probabilmente questo onere e' più' di quanto possa sopportare. L'euro è quindi destinato a calare, e nessuno sa fino a che punto. Alcuni hanno stimato che possa perdere il 15% o più' nei confronti del dollaro nei prossimi 6-12 mesi, ma nessuno lo sa con certezza.

Adesso sta crescendo la paura che la crisi si diffonda più' in profondità' nell'Unione Europea. L'Europa si affaccia ad un lungo periodo di incertezza, crisi, speculazione ed austerità'. Paesi come Irlanda, Portogallo, Spagna e Grecia verranno tenuti sotto pressione per intensificare ulteriormente gli attacchi allo standard di vita.

Nonostante la Gran Bretagna non faccia parte dell'eurozona, non può sottrarsi alla crisi generale europea. È stata costretta a partecipare al salvataggio irlandese, non certo per altruismo ma a causa delle banche britanniche e degli altri interessi che ha nell'economia irlandese. Come per una pedina del domino, verrà anche il turno della Gran Bretagna. Ed anche se a nessuno piace ammetterlo, l'economia degli Stati Uniti non e' messa meglio di quella Europea.

I riformisti credono sia possibile tornare a un periodo simile a quello in cui il boom economico che seguì la seconda guerra mondiale permise alla borghesia europea e statunitense di fare grandi concessioni ai lavoratori col fine di sedare la lotta di classe. Ma ormai e' impossibile. Tutti i normali meccanismi che si utilizzano per uscire da una recessione sono stati usati durante il boom. I tassi di interesse sono prossimi allo zero, e non possono essere ridotti ulteriormente. Gli enormi deficit  escludono la possibilità' di grandi opere pubbliche.

Il cosiddetto quantitative easing (alleggerimento quantitativo, indica la creazione di moneta da parte della banca centrale e la sua iniezione nel sistema finanziario) e' una misura disperata, che rischia di far esplodere l'inflazione in un futuro non molto lontano. D'altro canto, i tentativi di ridurre il deficit tagliando la spesa pubblica riducono la domanda e possono farci precipitare di nuovo in una recessione. In altre parole, “tutte le strade portano alla rovina”.

Il collasso dell'euro può' innescare una crisi finanziaria generale che porrà fine all'attuale e debole “ripresa”, facendoci precipitare in una nuova e più' profonda recessione a livello mondiale. Questa e' una possibilità'. Ma anche nella migliore delle ipotesi, l'Europa dovrà' affrontare un lungo periodo di stagnazione, come per il Giappone in questi ultimi vent'anni, con una bassa crescita, alta disoccupazione e calo del tenore di vita.

È un luogo comune che la storia si ripeta. La causa più' immediata della rivoluzione inglese nel diciassettesimo secolo e della rivoluzione francese nel diciottesimo secolo fu l'enorme deficit dei conti pubblici. In entrambi i casi il finale era lo stesso: chi pagherà'? Ovunque la classe dominante cerca di accollare tutto il peso del suo fallimento sulle spalle della classe lavoratrice, della classe media e dei settori più' poveri e vulnerabili della società': disoccupati, ammalati, vecchi e disabili.

Gli scioperi generali e le manifestazioni in Francia, Grecia, Spagna e negli altri paesi sono i primi segni della rinascita del movimento operaio europeo. Questo e' solo l'inizio dell'inizio di un grande dramma storico. Gli scioperi e le manifestazioni sono importanti perché' mettono in movimento le masse e le permettono di far sentire la loro forza. Ma questo di per se' non risolverà' niente. I capitalisti stanno attaccando i lavoratori non per scelta, o per cattiveria, ma perché' non hanno alternative. La maschera sorridente del “capitalismo dal volto umano” e' caduta, rivelando la vera faccia della borghesia.

Dovunque ci si interroga sempre più' spesso sul capitalismo e cresce l'interesse verso le idee del socialismo ed il marxismo. Ieri, durante una manifestazione nel centro di Londra e' apparsa la parola Revolution sulla colonna di Nelson in Trafalgar square. E' solo una parola, ma dimostra come i tempi stiano cambiando.

Siamo in un momento del tutto nuovo, che sarà' più' simile al 1970 o al periodo fra le due guerre mondiali piuttosto che agli ultimi tre decenni. L'unica cosa che permette ancora all'ormai decrepito e malato sistema capitalista e' l'inerzia temporanea delle masse. Sono necessari grandi eventi per smuovere questa inerzia. Ma i grandi eventi sono all'ordine del giorno.

2 dicembre 2010

Translation: FalceMartello (Italy)