Danimarca – Controlli alle fronterie e tendopoli per i profughi, i sintomi di un sistema in crisi

L’Anno nuovo in genere si festeggia brindando con lo champagne, pieni di buoni propositi e speranze. Ma non c’è molta speranza e ottimismo nei media danesi. Il nuovo anno è iniziato con l’introduzione del controllo dei passaporti al confine tra Danimarca e Svezia. Era dal 1954 che non era necessario mostrare i documenti tra i due paesi scandinavi: per più di 60 anni si poteva viaggiare liberamente. Un segnale estremamente indicativo della situazione all’alba del 2016.

Mentre scrivo queste righe i profughi in Danimarca vengono condotti verso le tendopoli con i pullman mentre scende la neve. Non per mancanza di posti nei centri d’asilo, ma perché i politici danesi pensano che sia il segnale “giusto” da inviare: Un segnale per quegli uomini, donne e bambini che hanno rischiato la loro vita in fuga dalle guerre e dalla crisi che i politici danesi hanno contribuito a creare. Il governo di destra danese continua questa politica imperterrito e respinge ogni critica alla sua politica disumana di asilo, compreso l’ultima espressa dalla UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) secondo cui la politica del governo “mette i rifugiati in pericolo di vita.”
Il governo socialdemocratico-verde svedese ha introdotto una legge per la quale le aziende di trasporto pubblico sono responsabili del controllo dei documenti al confine tra la Danimarca e la Svezia. Concretamente, ciò significa che il treno che ormalmente va dalla Danimarca alla Svezia attraverso il ponte si ferma ora all’aeroporto di Copenaghen (vicino al ponte), dove tutti i passeggeri devono mostrare un documento valido prima di salire su un nuovo treno che li porterà in Svezia. La mancanza di documenti significa che devono rimanere in Danimarca, e quindi non possono chiedere asilo in Svezia. Non molto tempo fa, la Svezia è stata dipinta come il baluardo “umanitario” d’Europa. Il ministro del Partito dei Verdi ha versato lacrime di coccodrillo quando ha annunciato queste misure, ma sono lacrime che non aiutano i profughi per nulla, e non cambiano il fatto che le politiche del governo svedese siano ora utilizzate come prestesto per i governi di tutta Europa.

I controlli d’identità da parte della Svezia sono utilizzati dal governo danese come una scusa per introdurre il controllo alle frontiere sul confine danese – tedesco, e quindi le tessere del domino cominciano a cadere in un’Europa aperta e senza limiti. Schengen e l’intero progetto europeo si sta sgretolando. In realtà, il milione di profughi che sono arrivati nell’Unione europea equivalgono a meno di due profughi per mille cittadini europei. Che questi numeri possano mettere in ginocchio una delle aree più ricche del mondo rivela la profonda crisi del capitalismo europeo.

L’ipocrisia danese

Il controllo dei documenti da parte della Svezia è una misura conveniente per i governi di tutta Europa: “Oh, se la Svezia, così accogliente, può farlo, possiamo farlo anche noi” Il governo danese aveva però già cominciato a fare tutto il possibile per tenere i rifugiati lontano dalla Danimarca, molto tempo prima che la Svezia avesse chiuso il confine. Ancora nel mese di novembre, il governo ha fatto votare in soli 3 giorni un disegno di legge sui rifugiati in Parlamento. Questo disegno di legge includeva molte restrizioni rispetto ai diritti dei rifugiati. Per esempio, possono essere detenuti senza essere poter vedere un giudice (e devono sapere da soli che hanno questo diritto). La legge permette anche di richiudere i rifugiati nelle tendopoli, un punto che hanno applicato molto velocemente.

Alcuni dei 34 commi della legge saranno votati la prossima settimana al Parlamento danese (voto effettivamente avvenuto il 26 gennaio, ndt). Questa parte della legge sui profughi prevede la facoltà da parte della polizia di sequestrare gli oggetti di valore dei rifugiati, tra cui i gioielli. La discussione sui media ora è su quanto spingersi in là: se questo disegno di legge possa comprendere anche gli anelli nuziali o meno, e come la polizia possa valutare ciò che è prezioso, e ciò che ha invece valore affettivo. Inoltre, il nuovo disegno di legge ritarda il diritto al ricongiungimento familiare da 1 a 3 anni per i profughi di guerra (i rifugiati le cui famiglie hanno maggiormente bisogno di uscire dai propri paesi). Allo stesso tempo rende più severe le condizioni per poter richiedere la residenza permanente, riduce i sussidi per i rifugiati (che sono già ora molto bassi), e rende illegale per i rifugiati vivere al di fuori dei centri di detenzione. Il fatto che il governo danese introduca il controllo di frontiera al confine con la Germania è “solo” una piccola parte del loro brutale attacco nei confronti dei rifugiati.

Il ritmo con cui un attacco segue l’altro è mozzafiato. Che i politici, in tutta serietà, suggeriscano e molto probabilmente decidano di confiscare la proprietà privata dei rifugiati e di isolarli in campi di detenzione sarebbero potuti essere fino a poco tempo fa tasselli della trama di un romanzo distopico, non notizie dell’edizione della sera del telegiornale. Gli attacchi contro i rifugiati sono un avvertimento del futuro che ha di fronte tutta la classe operaia.

Soffiando sul fuoco

Il primo ministro danese Lars Løkke e il Ministro per l’integrazione Inger Stojberg hanno fornito come ragione per la necessità di controlli alle frontiere il fatto che non si dovrà vedere mai più il caos che si è verificato nel mese di settembre, con i rifugiati che camminavano a piedi sulle autostrade. Ahimè, che cosa terribile! Qualche centinaio di persone che camminato in autostrada, l’inizio del crollo della civiltà! I politici stessi non hanno fatto nulla per aiutare le migliaia di persone che avevano bisogno in quei momenti. Persone che erano in fuga dalla gierra, dove le bombe hanno distrutto molto di più di qualche autostrada: case, scuole, e intere città, per non parlare della perdita di centinaia di migliaia di vite. Il governo usa un classico capro espiatorio per distogliere l’attenzione dalla sua estrema impopolarità e dall’enorme insoddisfazione nei confronti della loro politica. Il governo di minoranza del partito liberale è stato eletto a giugno con meno del 20 per cento dei voti. Il Partito del popolo danese, populista di destra, ha ottenuto più voti dei liberali, ma non ha voluto entrare nel governo, perché tale decisione li avrebbe completamente screditati. Il governo è infatti incredibilmente debole, ma questo è esattamente il motivo per cui non si può fermare, ma deve spingersi sempre più in là negli attacchi.

La destra, con il Partito popolare danese a fare da battistrada, sta ovviamente soffiando sul fuoco. Ma i socialdemocratici non sono da meno. La discussione sul pacchetto in materia di asilo del governo si è interrotta prima di Natale, perché il Partito del popolo danese e socialdemocratici hanno chiesto la creazione di villaggi di rifugiati. In un articolo del 18 dicembre sul quotidiano danese Politiken, Henrik Larsen Sass, leader del gruppo parlamentare socialdemocratico, ha scritto:
Faremo tutto il possibile per limitare il numero di rifugiati non occidentali e di immigrati provenienti da questo paese. Abbiamo fatto molta strada, molta di più di quanto non potevamo mai immaginare.
Abbiamo fatto questo, perché non vogliamo sacrificare la società basata sul welfare, in nome dell’accoglienza umanitaria. Perchè la società basata sul welfare è… il progetto politico del Partito socialdemocratico. Si tratta di una società costruita sui principi di libertà, uguaglianza e solidarietà. Una immigrazione di massa metterebbe in pericolo economicamente e socialmente lo stato sociale, come abbiamo visto ad esempio in Svezia.

Henrik Larsen Sass non è il solo socialdemocratico che usa il welfare state come un ariete contro i profughi. In un articolo dal titolo: “No, noi socialdemocratici non siamo la versione light del Partito del popolo danese“, gli autori, Peter Hummelgaard, deputato al parlamento, Kasper Fogh Hansen, ex consigliere comunale, e Thomas Gyldal Petersen, sindaco di Herlev dimostrano esattamente il contrario di quanto sostiene il titolo. Proprio come il Partito del popolo danese, danno la responsabilità per l’austerità ai rifugiati. Non solo, nel modo più disgustoso, proprio come il Partito del popolo, ritraggono i profughi, che sono lavoratori provenienti da altre parti del mondo, come un nemico e un problema per i lavoratori danesi.

Noi non abbiamo costruiito da un secolo una società armoniosa caratterizzata da un’elevata uguaglianza per distruggerla attraverso un’immigrazione incontrollata. Non sarà chi sta ai vertici della società a pagarne il prezzo, anzi probabilmente sono solo felici davanti alla prospettiva di un costo del lavoro ancora più conveniente. La conseguenza dell’entrata nel paese dei rifugiati significherà molto rapidamente tagli nel welfare municipale. A pagarne il prezzo saranno i più svantaggiati.

Sostengono che sono diversi dal Partito popolare danese, perché vogliono aiutare i profughi, ma tra le altre cose propongono di “organizzare centri di accoglienza per i rifugiati ai confini dell’Europa. Forse anche città enormi di ifugiati, con ospedali, scuole, università, campi da coltivare, industrie, e così via, che può diventare la casa di molti di coloro che hanno lasciato i loro paesi d’origine. Fino a che non possono fare ritorno in patria. “

Per i vertici socialdemocratici, il principio di libertà, uguaglianza, solidarietà si applica unicamente ai lavoratori danesi e la solidarietà internazionale caratteristica delle origini del movimento dei lavoratori è da tempo stata gettata nel cestino, in concomitanza con la scelta compiuta dai socialdemocratici di diventare il pilastro più importante del capitalismo. Difendono un sistema che è in un vicolo cieco: la crisi del capitalismo significa una crisi del riformismo. L’unica difesa che i socialdemocratici hanno deciso di proporre di ciò che è rimasto dello stato sociale, dopo i pesanti tagli che hanno portato avanti quando erano al governo, è quella di erigere muri altissimi attorno al paese. La concorrenza internazionale condanna questa strategia a morte, ma non rimane loro niente altro. I lavoratori danesi, attraverso la lotta, hanno conquistato lo stato sociale, che era progressista e significava poter condurre per tutto un periodo una vita semi-civilizzata. Ma tutto ciò è finito e i socialdemocratici usano la presunta difesa dello stato sociale come pretesto per difendere politiche razziste e reazionarie.

Soffiano sul fuoco dell’odio contro i rifugiati e gli immigrati per spostare l’attenzione lontano dai problemi del capitalismo e dalle loro politiche fallimentari. Tutto ciò ha una sua logica interna. Il passo successivo sono infatti i raids e gli attacchi, come abbiamo già visto in paesi come Svezia, Germania e Francia, dove i centri per i richiedenti asilo sono stati bruciati, le moschee fatte oggetto di atti vandalici, ecc. I mass media aiutano a instillare l’odio, ad esempio dopo gli attacchi terroristici a Parigi e per tutti i mesi conclusivi del 2015. Dopo le molestie sessuali a Colonia a Capodanno, i media si sono concentrati sulle origini degli autori, almeno tanto quanto hanno fatto sulle violenze e sulle molestie: i politici in Europa sono stati molto veloci a prendere la palla al balzo e collegare i fatti ai rifugiati. Questa retorica odiosa da parte dell’establishment incita la destra più radicalizzata a passare dalle parole ai fatti. Dobbiamo dire le cose come stanno: la retorica attuale è simile a quella che nel corso della storia ha fatto da preludio ai pogrom.

L’altra faccia della medaglia

Ma non tutto è a tinte scure e intriso di pessimismo, dopo tutto, in questo inizio del 2016. il numero complessivo di profughi, ai suoi massimi storici nel mondo è l’espressione del fatto che il capitalismo si trova in un vicolo cieco. Il fatto che l’anno sia iniziato con le autorità cinesi che hanno sospeso la Borsa per ben due volte a causa del crollo dei prezzi delle azioni è solo un altro sintomo della turbolenza estrema che esiste in tutto il mondo. Gli strateghi del capitale non hanno alcuna idea di cosa fare. Non hanno una soluzione alla crisi, ma sono prigionieri di una prospettiva a breve termine e non sanno che pesci pigliare. C’è una divisione crescente all’interno della borghesia sulla strada da scegliere, ma nessuna di queste strade porta a una soluzione su basi capitaliste.

D’altro canto, vediamo che la crisi del capitalismo ha risvegliato la coscienza delle masse che cominciano a comprendere come ci sia qualcosa di fondamentalmente sbagliato nel sistema e aumenta la consapevolezza che i politici non hanno alcuna risposta. I vecchi partiti politici tradizionali vengono abbandonati, un processo che vediamo in tutta Europa, anche in Danimarca. La fiducia generale nel sistema politico è a livelli storicamente bassi. L’ultima indagine dalla newsletter settimanale “A4”del 22 dicembre ha mostrato che la fiducia dell’opinione pubblica danese nei politici in Parlamento non è mai stata così bassa come negli ultimi tempi. Nella ricerca, sei intervistati su dieci dichiarano che hanno “molta poca” o “poca” fiducia nei politici in generale. E la percentuale di chi ha risposto di avere “molta poca” fiducia nei politici è decisamente elevata, quasi uno su quattro elettori, che significa un aumento da uno su dieci elettori nel 2011, e uno su sei di un anno fa.

Quando i politici nel mese di settembre erano terrorizzati dai profughi che invadevano l’autostrada, la popolazione danese si è organizzata autonomamente ed ha aiutato i profughi con tutto quello che potevano con cibo, vestiti e trasporti. Cittadini danesi comuni hanno guidato fino al confine e hanno dato un passaggio ai rifugiati, anche se rischiavano di essere accusati di “traffico di esseri umani”. In agosto e settembre ci sono stati due grandi manifestazioni contro le politiche del governo sull’immigrazione. È pericoloso per la borghesia quando le masse raggiungono la conclusione che le istituzioni non sono parte della soluzione, ma parte del problema.

Le manifestazioni di massa in autunno contro la politica di immigrazione del governo hanno interrotto diversi anni di riflusso, e hanno operato una pressione sui politici. Ma, una volta che il movimento è finito, i politici hanno continuato i loro attacchi contro i profughi con maggiore brutalità. Tuttavia, ciò non deve indurci a concludere che le mobilitazioni non siano servite a nulla; non siamo tornati allo status quo precedente. La situazione di stallo si è spezzata. Le mobilitazioni hanno avuto in particolare un effetto su tanti giovani che non avevano mai partecipato in precedenza a una manifestazione. Molti pensavano prima che fossero gli unici al mondo che erano insoddisfatti del mondo che li circondava. Il loro isolamento sta cominciando a finire. La prossima conclusione che trarranno è che non è sufficiente scendere in piazza, ma che è necessario organizzarsi ed avere un programma politico.

Un sistema in crisi crea polarizzazione, sia a destra che a sinistra. Il fatto che la destra può crescere con successo in Danimarca, per esempio, dove le loro politiche xenofobe guadagnano terreno lontano nel movimento operaio, è dovuto alla totale assenza di risposte e di un’alternativa a sinistra. In paesi come la Spagna, la Grecia, e il Regno Unito, dove sono emerse alternative a sinistra, la destra populista ha ricevuto ben poco appoggio. Ma, come abbiamo visto in Grecia, il riformismo di sinistra difeso da Tsipras ha anche molti limiti. Le promesse non bastano a fermare l’austerità e privatizzazioni. L’unica cosa che può fermare la crisi del capitalismo e la barbarie a cui assistiamo oggi è una rottura con il capitalismo, e la trasformazione rivoluzionaria della società su basi socialiste.

15 gennaio 2016