Fidel Castro è morto – La rivoluzione cubana deve vivere!

Alle 22:29 di venerdì 25 novembre, Fidel Castro, il leader della rivoluzione cubana, è morto all’età di 90 anni. Verso mezzanotte, suo fratello Raul Castro ha reso pubblica la notizia, tramite un discorso televisivo, alla popolazione cubana e al mondo intero. La sua morte non era inaspettata visto che era malato da anni e aveva già rinunciato alle proprie responsabilità politiche ufficiali, ma è stato ugualmente uno shock, sia per gli amici che per i nemici.

Tutta la sua vita è strettamente legata alla rivoluzione cubana. Di fatto, valutare il suo ruolo significa valutare tale rivoluzione, la prima nell’emisfero occidentale ad aver abolito il capitalismo e che per oltre cinquant’anni ha resistito all’assalto dell’imperialismo statunitense, situato ad appena 90 miglia a nord.

Fidel, commentando la morte del presidente venezuelano e leader rivoluzionario Hugo Chavez, ha detto: “Vuoi sapere chi è stato Hugo Chavez? Guarda chi è in lutto e chi invece festeggia”. Lo stesso si può dire di Fidel Castro. La notizia della sua morte è stata accolta con gioia dagli esuli controrivoluzionari cubani da Miami, dall’opposizione reazionaria in Venezuela e dai commentatori dei media di tutto il mondo, sia di destra che “progressisti”.

Dall’altra parte, la morte di Fidel è stata un duro colpo per quei milioni di lavoratori e di giovani, di attivisti rivoluzionari e di sinistra dell’America Latina e del mondo intero, per i quali Fidel era un simbolo della rivoluzione cubana, della resistenza all’imperialismo, la garanzia di una sanità di qualità e dell’istruzione per tutti.

C’è un’ottima ragione per cui le classi dominanti di tutto il globo lo odiavano così tanto e perché l’imperialismo statunitense abbia organizzato più di 600 piani segreti per assassinarlo. La rivoluzione cubana era una minaccia visto che era un esempio per gli oppressi di tutto il mondo. La rivoluzione cubana, attraverso l’abolizione del capitalismo, ha potuto sradicare l’analfabetismo, dare un tetto a tutti i cittadini, ha creato un servizio sanitario di prima classe che ha ridotto la mortalità infantile e ha incrementato l’aspettativa di vita al livello dei paesi capitalisti avanzati e ha enormemente migliorato gli standard educativi della popolazione. Tutto questo in un paese che prima della rivoluzione era il bordello e il casinò degli Stati Uniti e nonostante decenni di minacce terroristiche e il criminale blocco commerciale e l’embargo che Washington ha imposto.

Per queste stesse ragioni, siamo per la difesa incondizionata della rivoluzione cubana. Questo è il punto di partenza. Se si vuole imparare qualcosa dalla rivoluzione cubana, bisogna valutare la figura di Fidel Castro e la rivoluzione stessa, in modo equilibrato e critico, ma è necessario iniziare riconoscendogli le conquiste storiche che sono state raggiunte espropriando i capitalisti, gli imperialisti e i proprietari terrieri.

Solo per dare alcuni esempi: la rivoluzione cubana ha abolito l’analfabetismo e ora anche la denutrizione infantile. La speranza di vita a Cuba è di 79.39 anni, superiore a quella statunitense (78.94 anni) e rispetto alla vicina Haiti è addirittura superiore di oltre 16 anni (62.75 anni quella di Haiti). A Cuba, il tasso di mortalità infantile (bimbi di meno di un anno morti ogni 1.000 nati) è del 4,5, mentre negli Stati Uniti è del 5,8 e ad Haiti del 48,2.

Fidel è nato nel 1926 a Birán, nella provincia di Holguín, nella parte orientale di Cuba, da una famiglia di proprietari terrieri. Ha frequentato le scuole religiose private prima di Santiago poi dell’Avana. Ha cominciato a interessarsi alla politica quando ha iniziato a studiare legge all’Università dell’Avana.

Cuba è stata l’ultimo paese latino-americano ad ottenere l’indipendenza formale, ma non appena si è liberata, con una lotta rivoluzionaria, dall’imperialismo spagnolo in declino, nel 1898 è finita nelle grinfie del nascente imperialismo statunitense. Il potente vicino del nord dominava quasi completamente l’economia cubana e attraverso questo dominio esercitava il controllo politico. Per tutto un periodo, l’emendamento Platt formalizzava questa umiliante dominazione sotto forma di una clausola nella Costituzione cubana che permetteva l’intervento militare statunitense nel paese. Nella prima metà del ventesimo secolo, un bruciante senso di ingiustizia e un profondo desiderio di sovranità nazionale hanno ispirato diverse ondate di lotta rivoluzionaria. Fidel aveva fatto la conoscenza ed era stato ispirato dalle più importanti figure della guerra per l’indipendenza di Cuba.

Contemporaneamente, l’isola disponeva di una grande classe operaia con tradizioni militanti sviluppate, a partire da una potente tendenza anarco-sindacalista e in seguito da una Partito Comunista combattivo, con una forte Opposizione di Sinistra e aveva visto uno sciopero generale insurrezionale nel 1933. La liberazione nazionale e quella sociale erano diventate strettamente interdipendenti, ad esempio nel pensiero di Julio Antonio Mella, il fondatore del Partito Comunista cubano o in quello di Antonio Guiteras, il fondatore del movimento Joven Cuba.

Nel 1945, nel periodo in cui Fidel frequentava l’università, la generazione di giovani della classe media che si stava interessando alla politica radicale non era affatto attratta dal Partito Comunista cubano (ufficialmente conosciuto come PSP), al contrario ne era disgustata. Seguendo la politica della “democrazia contro il fascismo” portata avanti dal Comintern stalinizzato, tra il 1940 e il 1944 il PSP aveva partecipato al governo del dittatore Fulgencio Batista.

Fidel era attratto dalle politiche antiimperialiste, che lo portarono nel 1947 a partecipare ad una spedizione militare, poi fallita, nella Repubblica Dominicana per rovesciare la dittatura di Trujillo. Nel 1948 fece parte di una delegazione al Congresso degli studenti latino-americani in Colombia, dove fu testimone della rivolta del Bogotazo scoppiata il 9 aprile in seguito all’assassinio del leader radicale Jorge Eliécer Gaitán.

Castro si legò anche al Partito Ortodoxo di Chibás, un senatore molto popolare che aveva denunciato la corruzione del Partito Auténtico, del quale aveva originariamente fatto parte e che si suicidò nel 1951.

Nel 1952, Fulgencio Batista portò avanti il suo secondo colpo di stato. Fidel e un gruppo di suoi compagni (tra i quali suo fratello Raúl, Abel Santamaría, la sorella Haydée e Melba Hernández) iniziarono a formare una organizzazione di combattenti, in gran parte provenienti dalle fila dei giovani del Partito Ortodoxo. Il 26 luglio del 1953, effettuarono un coraggioso assalto alla caserma militare Moncada a Santiago. Il loro scopo era quello di impossessarsi di un gran numero di armi e di fare appello alla rivolta nazionale contro la dittatura di Batista. Il tentativo fallì e quasi la metà dei 120 giovani uomini e donne che vi presero parte furono assassinati dopo la cattura.

Il discorso che Fidel usò dal banco degli imputati per spiegare il suo programma e che termina con la famosa frase “Condannatemi! La storia mi assolverà”, lo rese famoso. Il programma di quello che divenne in seguito noto come Movimento Rivoluzionario 26 luglio (M-26-7), si poteva riassumere in 5 punti rivoluzionari che avevano programmato di diffondere:

• Il ripristino della Costituzione cubana del 1940.

• La riforma agraria.

• Il diritto per i lavoratori del settore dell’industria di ricevere il 30% degli utili delle aziende.

• Il diritto per i lavoratori dello zucchero a ricevere il 55% degli utili degli zuccherifici.

• La confisca delle aziende le cui precedenti amministrazioni fossero colpevoli di frode.

Si trattava di un programma progressista di stampo democratico nazionale, contenente anche una serie di punti per migliorare le condizioni dei lavoratori. Certamente non andava oltre i limiti del sistema capitalista, né affrontava la questione della proprietà privata. Dopo un periodo in carcere, a Fidel venne data l’amnistia e riparò in Messico.

Alla fine del ’56, basandosi sul programma del Moncada, organizzò la traversata verso Cuba sulla nave Granma. Anche in questo caso, pensava che il viaggio sarebbe coinciso con una rivolta nella parte orientale del paese, vicino a Santiago. Ancora una volta il piano fallì e nelle prime ore la maggior parte dei membri del corpo di spedizione vennero uccisi o catturati. Rimasero solo in 12, che si ritirarono sulle montagne della Sierra Maestra. Eppure nel giro di poco più di due anni, il primo gennaio del 1959, Batista sarebbe stato costretto a fuggire dal paese e la rivoluzione cubana avrebbe trionfato

La vittoria della guerra rivoluzionaria era dovuta a una serie di fattori: l’estrema degenerazione del regime, la guerriglia sulle montagna che usando la parola d’ordine rivoluzionaria della riforma agraria era riuscita ad attrarre i contadini e a demoralizzare i militari di leva, la diffusa opposizione tra le classi medie delle zone di pianura e la partecipazione importante (seppur meno conosciuta) del movimento operaio. Il colpo finale al regime arrivò con lo sciopero generale rivoluzionario convocato dal M-26-7 che all’Avana durò una settimana fino all’arrivo delle colonne dei guerriglieri.

Nei successivi due anni, ci fu un processo di rapida radicalizzazione della rivoluzione. L’attuazione del programma democratico nazionale del Moncada, in particolare la riforma agraria, provocò l’ira della classe dominante, l’allontanamento degli elementi più moderati dei primi governi rivoluzionari, l’entusiasmo delle masse operaie e contadine che spingevano per andare oltre, la contro-reazione dell’imperialismo statunitense e, in risposta a tutto questo, misure rivoluzionarie sempre più radicali contro le proprietà dell’imperialismo sull’isola.

L’attuazione di un programma democratico nazionale coerente aveva portato all’esproprio delle multinazionali statunitensi e dunque dei principali settori dell’economia, cosa che nel 1961 portò di fatto all’abolizione del capitalismo. Tempo fa chiesi ad un compagno cubano che aveva partecipato sin dal 1930 al movimento rivoluzionario e sindacale di Guantanamo, come avrebbe caratterizzato Fidel e la direzione del M-26-7 e lui mi rispose che erano “revolucionarios pequeño-burgueses guapos” (coraggiosi rivoluzionari piccolo borghesi). Qui “piccolo borghese” non è inteso come un insulto, ma è una descrizione delle origini di classe di molti di loro, così come una descrizione del programma per il quale avevano combattuto. Il fatto che abbiano attuato il loro programma con coraggio, li ha spinti molto più in là di quanto avessero previsto. Va dato credito a Fidel Castro di aver portato il processo fino in fondo.

A quel tempo l’esistenza dell’Unione Sovietica giocò un ruolo negli eventi che ebbero luogo dopo la vittoria rivoluzionaria. Questo non vuol dire che l’Unione Sovietica li incoraggiasse ad andare contro al capitalismo. Al contrario, da numerosi documenti storici risulta come Mosca li scoraggiasse consigliando di procedere con cautela e lentamente. Nonostante questo, il fatto che l’Unione Sovietica fosse in grado di riempire i vuoti lasciati dalla crescente aggressività statunitense (vendendo petrolio, acquistando canna da zucchero e rompendo l’embargo) fu un fattore importante.

Tuttavia, per una decina d’anni, il rapporto tra la rivoluzione cubana e l’Unione Sovietica non fu facile. Il PSP aveva aderito al movimento rivoluzionario solo nelle sue ultime fasi, la leadership cubana era orgogliosa della propria indipendenza e godeva di una propria base di appoggio. Il primo periodo della rivoluzione fu un periodo di discussioni e dibattiti ad ampio raggio che riguardavano svariati campi (la politica estera e quella economica, le arti e la cultura, il marxismo), in cui gli stalinisti cercarono, non sempre con successo, di imporre la loro linea.

Fidel e gli altri erano profondamente sospettosi riguardo all’Unione Sovietica, in particolare dopo che nella crisi dei missili del 1962, Krusciov aveva raggiunto un accordo con gli Stati Uniti senza nemmeno consultarli. I sospetti reciproci aumentarono soprattutto quando, su insistenza di Che Guevara, Cuba tentò di espandere la rivoluzione ad altri paesi dell’America Latina e non solo, cosa che era in contrasto non solo con la politica di “coesistenza pacifica” portata avanti dall’Unione Sovietica ma anche con l’atteggiamento profondamente conservatore della maggior parte dei Partiti Comunisti latinoamericani.

Quei tentativi di esportare la rivoluzione non hanno avuto buon esito, in parte anche a causa del modo approssimativo con cui veniva generalizzata l’esperienza della Rivoluzione cubana. L’idea che un piccolo gruppo di uomini armati sulle montagne, avrebbe potuto in un breve periodo di tempo portare al rovesciamento di regimi reazionari (che di per sé era una semplificazione delle condizioni che hanno permesso la vittoria della rivoluzione cubana) è stata smentita dalla pratica. Forse l’esempio più estremo è quello della Bolivia, un paese che aveva sperimentato una parziale riforma agraria e che aveva anche un proletariato minerario combattivo e politicamente avanzato, fu anche il paese dove il tentativo di Che Guevara lo portò alla morte nel 1967 per mano dell’imperialismo statunitense (che nel frattempo aveva imparato alcune lezioni dalla rivoluzione cubana).

La rivoluzione cubana divenne progressivamente isolata e quindi sempre più dipendente dall’Unione sovietica. Il fallimento della “zafra” (raccolto della canna da zucchero, ndt) da 10 milioni di tonnellate, con tutti i problemi economici che ne conseguirono, aumentarono ulteriormente la dipendenza. I legami stretti con l’Unione sovietica hanno permesso alla Rivoluzione cubana di sopravvivere per tre decenni, ma hanno anche introdotto forti elementi di stalinismo. Il “Quinquenio gris” (“cinque anni grigi”, ndt) del 1971-75 videro l’utilizzo di misure repressive nel campo dell’arte, delle scienze sociali e in molti altri campi. Fu proprio in quell’epoca che l’omofobia e la discriminazione e la violenza sui gay (che già esisteva come eredità del precedente regime) diventò istituzionalizzata.

Il modo in cui la rivoluzione ha trionfato, attraverso la direzione di un esercito guerrigliero, ha avuto un ruolo nella natura burocratica dello Stato nella rivoluzione. Come ha spiegato lo stesso Fidel : “una guerra non si conduce attraverso metodi democratici e collettivi, ma si basa sulla responsabilità di comando”. Dopo la vittoria della rivoluzione la direzione della guerriglia ha goduto di una enorme autorità e un vasto sostegno. Centinaia di migliaia presero le armi nel 1961, con un preavviso quasi nullo, per sconfiggere l’assalto alla Baia dei Porci. Un milione di persone si radunarono in Piazza della Rivoluzione nel 1962 per ratificare la Seconda Dichiarazione dell’Avana.

Tuttavia, non esistevano meccanismi della democrazia rivoluzionaria attraverso cui le idee potevano essere dibattute e discusse e, soprattutto, attraverso i quali le masse di operai e contadini potevano esercitare il proprio potere e chiedere ai loro leader di rendere conto delle loro azioni.

Il Partito Comunista di Cuba, per esempio, risultato della fusione tra il PSP stalinista, il M-27-6 e il Direttorio rivoluzionario, è stato fondato nel 1965, ma non ha tenuto il suo primo congresso fino al 1975. E solo nel 1976 è stato approvato il suo primo statuto.
Un’economia pianificata ha bisogno della democrazia operaia come il corpo umano ha bisogno di ossigeno, in quanto questo è l’unico modo di mantenere il controllo e la gestione della produzione.

Questo processo di burocratizzazione ha avuto anche un impatto sulla politica estera della leadership della rivoluzione cubana. La rivoluzione cubana ha un primato che non è secondo a nessuno in termini di solidarietà internazionale e nell’invio di aiuti medici e di assistenza nel mondo. Ha inoltre svolto un ruolo cruciale nella sconfitta del regime sudafricano in Angola, una lotta in cui centinaia di migliaia di cubani hanno partecipato nel corso degli anni.

Tuttavia, in rivoluzioni come quella del Nicaragua nel 1979-1989 e in Venezuela, più recentemente, mentre ha offerto un sostegno materiale e una solidarietà preziosa, allo stesso tempo il consiglio politico fornito dalla direzione cubana è stata quello di non seguire lo stesso percorso della rivoluzione cubana e di non abolire il capitalismo. Ciò ha avuto conseguenze disastrose in entrambi i paesi. In Nicaragua l’URSS applicò una pressione enorme nei confronti della leadership sandinista al fine di mantenere una “economia mista” – vale a dire capitalista – e in seguito per partecipare ai negoziati di pace che portarono all’accordo di Contadora, un accordo che ha finito per strangolare la rivoluzione. La leadership sandinista era molto vicina e aveva un sacco di rispetto per la rivoluzione cubana. I consigli di Fidel, tuttavia, erano gli stessi di quelli dell’Unione Sovietica: “non espropriate i capitalisti, quello che state facendo è il massimo di quanto si può fare in Nicaragua oggi”. Un consiglio che si rivelò fatale.

Anche in Venezuela, mentre la rivoluzione cubana ha fornito un appoggio prezioso (in particolare con il personale medico) e solidarietà, i consigli politici forniti sono stati ancora una volta quelli di non procedere sulla strada che la rivoluzione cubana aveva percorso 40 anni prima. Il risultato di lasciare una rivoluzione a metà lo possiamo vedere chiaramente oggi: una massiccia distruzione delle forze produttive e la rivolta del Capitale contro ogni tentativo di regolarlo. Questi consigli non hanno avuto solo un impatto negativo sulle rivoluzioni del Nicaragua e Venezuela, ma hanno anche aggravato il problema dell’isolamento della rivoluzione cubana in sé.

La resistenza eroica della rivoluzione cubana dopo il crollo dell’Urss è stata veramente impressionante. Mentre i leader del Partito “Comunista” in Unione Sovietica si dirigevano rapidamente e senza incontrare ostacoli verso la restaurazione del capitalismo, saccheggiando le proprietà dello Stato, Fidel e la leadership cubana difendevano le conquiste della rivoluzione. Il “periodo especial”, come è stato chiamato, era anche una testimonianza della vitalità della rivoluzione cubana. C’era una generazione ancora vivente, che si ricordava come era la vita prima della rivoluzione e poteva confrontare il proprio tenore di vita con quello dei paesi vicini sotto il capitalismo.

La direzione ha resistito, e il popolo cubano, in modo collettivo, ha trovato modi e mezzi per superare le difficoltà economiche. Completamente isolata a fronte del blocco degli Stati Uniti, Cuba ha dovuto fare concessioni importanti al capitalismo, pur mantenendo il grosso dell’economia nelle mani dello Stato. Il turismo è diventato una delle principali fonti di reddito, con tutte le storture che ne conseguono.

Lo sviluppo della rivoluzione venezuelana, in particolare dopo il colpo di stato fallito nel 2002, ha fornito l’opportunità di un’altra ancora di salvezza, dieci anni più tardi. Tale opportunità non è arrivata solo per lo scambio di medici cubani con il petrolio del Venezuela, ma soprattutto a causa del rinnovato entusiasmo delle masse cubane alla possibilità in America latina si sviluppasse di nuovo una rivoluzione. Le difficoltà economiche e l’esaurimento della rivoluzione in Venezuela – proprio perché non è andata fino in fondo e non ha espropriato le proprietà degli oligarchi e degli imperialisti, come era stato fatto a Cuba – significa che questa opportunità si sia ormai esaurita.

L’impasse in cui si trova la rivoluzione cubana ha spinto una parte importante della leadership nella direzione delle riforme del mercato in stile cinese o vietnamita e a fare concessioni al capitalismo. Molti passi sono già stati fatti in questa direzione, nella speranza che tali misure potranno almeno portare un po’ di crescita economica. Questa è un’illusione. Oggi il sistema capitalista mondiale è in crisi e non è certo quanto voglia investire a Cuba. Cuba non possiede le enormi riserve di manodopera a basso costo, che sono uno dei fattori chiave del “successo” economico cinese. Ma anche se tutto questo non fosse vero, la restaurazione del capitalismo in Cina è stato accompagnato da una massiccia polarizzazione della ricchezza, il brutale sfruttamento della classe operaia e la distruzione delle conquiste della rivoluzione cinese.

È in questo contesto che Obama ha tentato un cambiamento di tattica da parte degli Stati Uniti. La strategia rimane la stessa: la restaurazione del capitalismo a Cuba e la distruzione delle conquiste della rivoluzione, ma invece di continuare con la tattica fallita dello scontro diretto, del finanziamento di gruppi contro-rivoluzionari e terroristici, ecc, ha ora concluso che potrebbe essere più saggio di distruggere la rivoluzione dall’interno, utilizzando il dominio del mercato mondiale nei confronti di una piccola isola con poche risorse e un livello molto basso di produttività del lavoro.

Chiaramente, gli imperialisti hanno visto Fidel, anche dopo il suo ritiro ufficiale dalla vita politica, come un ostacolo a questo processo. Fidel ha denunciato pubblicamente il burocratismo e la crescente disuguaglianza e ha avvertito del pericolo che la rivoluzione potesse essere sabotata dall’interno. In un famoso discorso presso l’Università di L’Avana nel novembre 2005, perlò dei “nostri difetti, dei nostri errori, delle nostre disuguaglianze, la nostra ingiustizia”, e avvertì che la rivoluzione non è irreversibile e potrebbe finire come l’Unione Sovietica. “Questo paese può autodistruggersi; questa Rivoluzione può distruggersi, ma non potranno mai distruggerci; noi possiamo distruggere noi stessi, e sarebbe colpa nostra “, ha detto Fidel, e ha aggiunto,” O noi sconfiggiamo tutte queste deviazioni e rafforziamo la nostra rivoluzione, o si muore “.

Il burocratismo tuttavia, non è solo una deviazione, o un problema causato da alcuni individui. Si tratta di un problema che deriva dalla mancanza di democrazia operaia nella gestione dell’economia e dello stato ed è rafforzata dalla isolamento della rivoluzione. Detto questo, era chiaro che gli strateghi del capitalismo erano convinti che fintanto che Fidel era vivo, si sarebbero fatti pochi progressi sulla strada verso il capitalismo a Cuba.

Con la sua scomparsa, sperano che il processo possa ora accelerare. Già esistono grandi contraddizioni ed è iniziato un crescente processo di differenziazione sociale all’interno del paese. I principali fattori di questo processo sono: la stagnazione dell’economia burocratica pianificata e la situazione estremamente diseguale di Cuba nell’ambito dell’economia mondiale, che a sua volta è causata dall’isolamento della rivoluzione. È stato dimostrato ancora una volta che il “Socialismo in un solo paese” è impossibile.

Da ciò ne consegue che l’unica via da seguire per la rivoluzione cubana passa attraverso la lotta per il controllo democratico dei lavoratori a Cuba e per la rivoluzione socialista in tutto il mondo. Questo è l’unico modo per difendere le conquiste della rivoluzione cubana.

Oggi, gli imperialisti in tutto il mondo insistono sulla mancanza di “diritti umani” a Cuba. Queste sono le stesse persone che chiudono un occhio nei confronti del regime saudita e mettono la loro bandiera a mezz’asta quando muore il dittatore di questo regime marcio e semifeudale. Queste sono le stesse persone che non avevano alcun problema nell’installare e sostenere i regimi più brutali in Cile, Argentina, Paraguay, Uruguay, Bolivia, Venezuela, Guatemala, Repubblica Dominicana, Messico, Nicaragua, Guatemala, El Salvador, Honduras … La lista sarebbe infinita .

Non stiamo parlando di un passato lontano e distante. Non molto tempo fa, gli Stati Uniti hanno sponsorizzato tentativi di colpi di stato in Venezuela, Honduras, Ecuador e Bolivia. No, quando Obama e Clinton parlano di “diritti umani”, si riferiscono al diritto dei capitalisti di sfruttare il lavoro, il diritto dei proprietari di sfrattare gli inquilini, il diritto dei turisti ricchi di comprare donne e bambini.

Oggi più che mai diciamo: difendere la rivoluzione cubana, no alla restaurazione capitalista, combattiamo il capitalismo in tutto il mondo!