Xi Jinping e il futuro della Cina

Xi-Jinping, poco conosciuto in Occidente, sarà il presidente della Cina per i prossimi dieci anni, o per lo meno lo sarà se riuscirà a tenere chiuso il coperchio della pentola ribollente di rabbia che è diventata la Cina di oggi. Il nuovo primo ministro è Li Keqiang, che era dato come successore più probabile, sponsorizzato dal Presidente uscente.

Xi Jinping è un “principino”: figlio di Xi Zhongi, un leader veterano della rivoluzione del 1949. È stato capo di partito nelle province di Zhejiang e Shangai, che sotto il suo mandato hanno continuato il loro rapido sviluppo del capitalismo. Quando ha guidato la provincia di Fujin, la sua politica di incoraggiamento degli investimenti da parte dei capitalisti di Taiwan era sotto gli occhi di tutti. É riconosciuto come una persona affidabile, e lungi dall'essere un piantagrane, a differenza di Bo Xilai, recentemente sollevato dalla sua carica di leader del Partito Comunista Cinese nella provincia di Chongqing.

Li Keqiang, il nuovo Primo Ministro, ha recentemente svolto un ruolo fondamentale, commissionando alla Banca Mondiale ed al Consiglio di Stato Cinese la stesura del rapporto dedicato a spiegare l'importanza delle privatizzazioni come strumento di crescita per la Cina. Entrambi i leader sono stati scelti dalla dirigenza politica uscente (e molto probabilmente dai vecchi leader, come Jiang Zemin). Non c'è assolutamente nulla che suggerisca che la nuova dirigenza abbia desiderio di portare avanti riforme democratiche, per non parlare di socialismo.

Non c'è dubbio che il futuro della Cina sia una questione chiave per il futuro del sistema capitalista. I media borghesi sono alla continua ricerca di indiscrezioni sul suo futuro politico, perché il suo potente apparato statale non è facilmente malleabile dagli interessi dell'imperialismo degli Stati Uniti. Vogliono “riforme democratico-liberali” e la fine del sistema costituito dalle formidabili imprese pubbliche cinesi, il cui peso economico temono sempre di più; desiderano un processo politico che il capitale possa interpretare e influenzare più facilmente, come accade in America.

Appaiono articoli delle testate occidentali che citano in continuazione i membri dell'intelligentzia liberale cinese, che usano le loro grandi conoscenze per informarci che  Xi potrebbe diventare un riformista liberale illuminato, dato che un paio di anni fa si era espresso in favore ad un certo tipo di aperture democratiche, ma anche in base al fatto che alcuni membri della sua famiglia erano stati perseguitati durante la rivoluzione culturale.

Il Financial Times, ad esempio, si abbandona ad un pio desiderio quando scrive che “alcune analisi hanno suggerito che Xi potrebbe diventare un leader molto più forte rispetto ad Hu perché è il primo a non essere stato permeato da spirito rivoluzionario”, Tuttavia la posizione di cui dispone ora gli è stata fornita dalla burocrazia per preservare lo status quo, e nient’altro.

Il Guardian dichiara che “gli ottimisti dicono che una nuova generazione di leaders è molto più disposta a ripensare la politica: hanno più esperienza del mondo esterno, hanno studiato materie nuove come la  giurisprudenza anziché l'ingegneria, e Xi ha la sicurezza di chi è nato in una famiglia comunista molto potente”.

Mentre il Financial Times pensa che lo spirito rivoluzionario intrappoli i politici cinesi e prevenga le riforme, il Guardian invece ci dice che l'essere associato a quelli che erano al centro della rivoluzione sia un segno dell'esatto opposto, un segno di dedizione alle riforme liberali. I liberali si stanno quindi aggrappando ad un filo molto sottile.

Per ciò che concerne il Primo Ministro Li Keqiang, il Financial Times ancora una volta pensa che il suo insediamento possa far presagire l'inizio di un era liberale in Cina, se si guarda in profondità nelle nebbie del suo passato, quando “nel 1980 [Li] vinse il posto di capo del comitato studentesco dell'Università di Pechino, e le cui idee politiche erano, per l'epoca, decisamente liberali. Se questo flirt iniziale con la democrazia abbia avuto una qualche influenza su Li, questo si saprà presto”.

Questo triste spettacolo che ritrae gli intellettuali moderati che sperano e pregano che l'élite “veda la luce” e accompagni pacificamente la Cina nella tanto attesa era del capitalismo liberale è un forte segno della debolezza della classe capitalista cinese, che non è indipendente dallo Stato, non è in conflitto  con lo status quo, non ha nessuna dedizione rispetto alle riforme democratiche e gioca un ruolo controrivoluzionario nella società cinese.

La migliore analogia per capire perché il nuovo capitalismo cinese non stia sostituendo, ma anzi stia rafforzando, l'apparato stalinista dello stato può essere letto nella stessa storia della Cina: cent'anni fa il paese è stato scosso dalla sua prima rivoluzione; la rivoluzione del 1911 ha posto fine a millenni di dominio imperiale dinastico, e sembrava inaugurare una fase di democrazia borghese. In realtà non è cambiato niente; l'imperatore Puyi, di sei anni, abdicò in favore di un nuovo dittatore, Yuan Shikai, e la situazione del paese non cambiò: i poveri rimasero poveri, i ricchi ricchi, e non ci fu nessun tipo di riforma democratica.

L'integrazione forzata della Cina nel mercato capitalista e nel “mondo moderno” era iniziata con le guerre dell'oppio a metà del 19° secolo. Quale fu l'effetto dell'introduzione del capitalismo in Cina? Ha forse portato ad una modernizzazione illuminata dell'assetto politico del paese? In realtà ha avuto l’effetto opposto.

Attraverso l'imposizione dell'imperialismo occidentale, il capitalismo si è sviluppato in Cina con grandissime contraddizioni sociali. Non ha creato una Cina più forte: ha sicuramente fatto a pezzi le vecchie relazioni sociali, minato l'autorità del vecchio apparato sociale e distrutto il vecchio conservatorismo che lo giustificava, basato sul confucianesimo e sulla pietà filiale, ma non a messo nulla al suo posto. Ha liquidato le fondamenta di millenni di regime imperialista, ma ha paradossalmente mantenuto quel regime, aumentando l'oppressione sul popolo cinese.

Perché? Perché questo regime era diventato un mero schiavo dell'imperialismo occidentale. Appoggiandosi su una base economica molto più fragile, il vecchio regime non aveva possibilità di resistere all'imperialismo britannico, e non c'erano capitalisti cinesi abbastanza forti da lottare per l'interesse della Cina e pronti a costruire un paese moderno e democratico, in contrapposizione all'imperialismo occidentale.

La vecchia e dispotica classe dirigente, di gran lunga più forte a difendere i propri privilegi che a tutelare la Cina stessa, si è presto trasformata in un agente del capitalismo nel paese, e l'imperialismo a sua volta ha usato la sua forza militare per sostenere questo traballante sistema; la vecchia classe dominante cinese si è quindi adattata al capitalismo semplicemente vendendo il paese agli interessi del capitalismo straniero.

Ciò creò un grande fermento intellettuale. Gli aspiranti riformisti liberali e gli intellettuali liberali avevano una grandissima ammirazione della democrazia occidentale, ma dato che i capitalisti cinesi erano estremamente limitati nella loro indipendenza dal commercio con l'imperialismo e dallo Stato Cinese, questi intellettuali non avevano forze sociali su cui basarsi. La loro strategia politica si è ridotta a supplicare l'imperatore e l'imperatrice sulla superiorità razionale della democrazia liberale; fantasticavano di riformare lentamente la politica cinese, passo dopo passo, trasformandola in una moderna democrazia liberale. Si trattava di una totale astrazione dalle contraddizioni sociali e dall'equilibrio degli intrecciati e contrastanti interessi materiali della società.

Quando si è arrivati al dunque, e la vera rivoluzione è iniziata nel 1920, con il coinvolgimento delle masse, quei capitalisti “liberali” decisero di appoggiare la dittatura, perché così avrebbe assicurato “l'ordine”, in contrapposizione con gli “eccessi del movimento dei lavoratori”: questa era la ragione fondamentale per cui le riforme liberali in Cina non hanno mai preso piede, e il motivo per cui l'antico apparato statale ha mantenuto  il controllo della società molto tempo dopo che il sistema sociale da cui è sorto aveva cessato di esistere.

La storia non si ripete, ma fa rima, come si dice spesso. Ci sono una serie di corsi e ricorsi, ma a un livello più alto. Il capitalismo si è di nuovo sviluppato in Cina per le stesse ragioni di cento anni prima: l'immensa, schiacciante dominazione del mercato capitalista globale. Così come un sistema economico antico, dispotico e feudale non poteva sperare di mantenersi di fronte al capitalismo globale, così il 'socialismo di un paese solo', e soprattutto di un paese arretrato e rurale, non è possibile se circondato dalle più avanzate ed ostili economie capitalistiche.

L'impossibilità di costruire il 'socialismo in un solo paese' aveva due soli possibili esiti: da una parte attraverso una rivoluzione socialista mondiale, che avrebbe portato alla Cina tutti i vantaggi delle economie capitaliste più sviluppate, ma senza il meccanismo dello sfruttamento capitalista, dall'altra invece lo sviluppo di una burocrazia 'socialista' fine a se stessa, che avrebbe messo in moto la macchina dell'integrazione della Cina all'interno del mercato mondiale, su una base capitalistica e creando quindi profitto.

Ed è quello che è successo e, proprio come facevano i vecchi imperatori, è stata comunque mantenuta la vecchia struttura politica, con i suoi privilegi e i suoi metodi oppressivi; ma il desiderio di mantenere il potere nelle mani di un'élite marcia, corrotta e profondamente oppressiva porta all'esacerbazione delle contraddizioni politiche e sociali, alzando il livello del conflitto tra il vecchio sistema e la nuova realtà. Più rapidamente crescerà la Cina e più solidamente il capitalismo porterà a galla le ineguaglianze e le contraddizioni sociali del vecchio regime, screditandone i maggiori rappresentanti, ma per ora nulla si muove.

Quale soluzione per questo rompicapo?

Il regime, ed il capitalismo cinese in generale, vorrà o potrà apportare le necessarie riforme 'democratiche'?

Per rispondere a questa domanda è necessario capire la relazione che c'è tra il capitalismo cinese e lo stato: il capitalismo è diventato quello che è oggi tramite il doppio stimolo dell'apparato statale e del mercato mondiale. A differenza di paesi come la Francia e l'Inghilterra alcuni secoli fa, che  si sono sviluppati quasi dal nulla attraverso il conflitto con lo stato, il capitalismo cinese è stato sviluppato dall’apparato dello stato cosicchè potesse competere con l’occidente e, in questo processo, è stato corrotto dal capitalismo.

Un recente articolo di McNally e Wright per il China Left Review, intitolato Sources of Social Support for China's Current Political Order: The ‘Thick Embeddedness’ of China's Private Capital Holders, (Le Origini del Sostegno Sociale per l'Ordine Politico attuale della Cina: “l’inglobazione pesante” dei Titolari di Capitale Privato in Cina), segnala che grazie a questo tardo sviluppo del capitalismo cinese dal 1978 ad oggi,

“i capitalisti cinesi sembrano non essere minimamente interessati in riforme politiche sistemiche, ma sembrano invece aver inglobato l’idea del partito-stato, portando avanti le regole del Partito Comunista Cinese”.

“...gli studiosi hanno scoperto una caratteristica che salta all'occhio: una generale riluttanza a "scuotere" politicamente la barca e spingere per un cambiamento politico sistemica. La maggior parte dei possessori di capitale privato guarda con notevole interesse alla collaborazione con il partito-stato e le sue istituzioni”

“Uno studio del 2002-2004 sui maggiori imprenditori delle zone rurali riporta che più del 70% di questi era coinvolto in associazioni appoggiate dal governo (Alpermann 2006, p. 46), e i proprietari di medie e grandi imprese non vedeva nessuna contraddizione nella doppia funzione di controllo statale e rappresentanza sociale di questi associazioni. Al contrario: più privatizzata e prosperosa era una zona, più l'imprenditore si sentiva un socio, e non un avversario, del partito-stato.

"Nella provincia fortemente “capitalista” di Wenzhou, per esempio, praticamente tutti i candidati alle elezioni provinciali sono esclusivamente ricchi imprenditori privati.

"In effetti, uno studio a livello nazionale condotto nel 2000 ha rilevato che il 20% di tutti gli imprenditori privati era membro del PCC (Li 2001, p. 26), e che nel 2003 il numero di tesserati era salito a quasi il 34% (Tsai 2005, p. 1140). L'iscrizione al partito era particolarmente diffusa tra i proprietari di medie e grandi imprese: negli anni '90 il 40% era iscritto al partito, e il 25% dei restanti era stato contattato dal partito e desiderava comunque unirsi. A titolo di confronto, dal 2007 in poi, solo il 5,5% di tutta la popolazione era membro del PCC (Xinhua, 2007).”

“Sembra quindi che la categoria degli imprenditori privati racchiuda la più alta percentuale di membri del PCC rispetto a  tutti gli altri settori sociali.”

“Secondo una ricerca dell'Accademia di Scienze Sociali della Cina e dell'Ufficio Ricerche del Consiglio di Stato, nel 2003 in Cina c'erano cinque milioni di persone che possedevano beni per dieci milioni di yuan (circa 1.2 milioni di euro), e di questi il 90% proveniva da ricche famiglie delle alte sfere del PCC; solo il 4.5%  era costituito da persone che avevano raggiunto la ricchezza sulla base di sforzi personali (Liu 2003, p. 75). Allo stesso modo un sondaggio condotto dall'Ufficio Ricerche del Consiglio di Stato, la Scuola Centrale del Partito e l'Accademia Cinese di Scienze Sociali riporta che delle 3.220 persone con un patrimonio superiore a 100 milioni di yuan in Cina, 2932 hanno legami di sangue con importanti dirigenti del PCC. Inoltre, tra l'85% e il 90% dei principali leader aziendali della finanza, del commercio estero, del mercato immobiliare, e delle imprese di costruzione cinesi fanno parte delle famiglie più in vista della piramide gerarchica del PCC.”

Il rapporto cita le parole di un capitalista cinese: "non temiamo il governo; è il nostro socio in affari, in particolare nella gestione del parco tecnologico (che è di gestione e proprietà del governo)."

Di certo alcuni capitalisti cinesi si preoccupano della mancanza del cosiddetto 'Stato di diritto', condividono le inquietudini dei leaders del PCC in merito alla corruzione, in parte perché rappresenta un ostacolo per quei capitalisti non abbastanza ricchi o potenti da poterla mettere in atto, ma soprattutto perché sanno che è uno dei bersagli della rabbia della classe lavoratrice.

È per questo che i discorsi dei leader del Pcc sono infarciti di grandi proclami sulla lotta alla corruzione: i media occidentali si crogiolano nel raccontare le degenerazioni della struttura cinese, confrontandole con quella 'molto più pulita' dell'occidente. Da qui l'inchiesta del New York Times a proposito delle vergognose ricchezze di Wen Jiabao, primo ministro uscente conosciuto come 'uomo del popolo'. Secondo questo studio il patrimonio di Wen Jiabao e della sua famiglia ammonta a circa 2.7 miliardi di dollari, e questa cifra esorbitante è solo la punta dell'iceberg: si è recentemente scoperto che “l'anno scorso i 70 delegati più ricchi al Congresso del Pcc avevano accumulato un livello di ricchezza superiore al totale dei beni dei 535 membri del Parlamento Americano, del Presidente e del suo governo, e dei nove membri della Corte Suprema.”

Questi 70 'compagni' hanno un patrimonio netto di 89.8 miliardi di dollari! Non c'è da stupirsi se il Financial Times racconta che la maggior parte degli imprenditori accoglie la corruzione dello stato cinese a braccia aperte, e sottolinea che il il fatto che i leader del Pcc abbiano tratto profitto dal boom della Cina  abbia contribuito a garantire il sostegno politico per l'economia di mercato!

Come marxisti, però, non possiamo semplicemente lamentarci delle ingiustizie del capitalismo: dobbiamo anche comprenderle. La corruzione del PCC e dello stato cinese da parte del capitalismo è parte del necessario processo di adeguamento di questo apparato statale, costruito per un'economia pianificata, allo strumento di oppressione borghese.

Lo stato cinese è bonapartista: uno stato che ha raggiunto un altissimo livello di potere e di indipendenza di tutte le classi della società. Come può la classe capitalista controllare un apparato statale che la ha preceduto e generato? In paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, la borghesia ha costruito l'impianto statale sui propri interessi, fondando diversi partiti che rappresentano le diverse ali della borghesia. Qui invece abbiamo una corruzione legalizzata, dove i capitalisti possono comprare legalmente politici e partiti, e questi partiti spingono per ottenere l'approvazione dei baroni dei media e dei finanzieri, e per attuare le loro politiche.

La borghesia cinese ha ereditato uno stato che non era stato progettato per questo scopo, quindi ha dovuto accettare tutti i suoi meccanismi, compresa la corruzione.  Nel frattempo personaggi come Wen Jiabao hanno sfruttato la loro posizione e si sono trasformati in leaders capitalisti. La famiglia di Wen ha sviluppato aziende che hanno ricevuto grandi commesse dallo stato, e che hanno beneficiato immensamente delle privatizzazioni e del controllo della regolamentazione delle industrie più importanti. La corruzione è il modo più semplice per il capitalismo di trasformare un apparato statale stalinista in uno che difende i propri interessi.

È per questo che sarebbe folle aspettarsi che i capi di stato o i grandi industriali spingano per smantellare l'attuale struttura statale in favore di un regime liberale e democratico; oggi come cento anni fa i piccoli capitalisti cinesi si sono perfettamente adattati all'imperialismo ed all'ancien régime, e non hanno nessuna intenzione di vedere distrutta questa struttura, anzi fanno di tutto per mantenere lo status quo.

Tuttavia, questa è solo una parte del problema: il mantenimento dello status quo è sarebbe il migliore dei mondi possibili per chi governa la Cina, ma è davvero possibile? I giornali non fanno che parlare dei problemi dell'economia cinese, di come la Cina, man mano che è diventata capitalista, ha dovuto sottostare alle leggi del capitalismo, e non può di certo sfuggire alla crisi, dato che è uno dei paesi che esporta di più al mondo.

Questo  significa che la crisi economica è vicina, e tutti ne hanno una paura mortale.

Come per tutte le economie capitaliste, la crescita ha luogo in maniera anarchica e non pianificata, soprattutto per quei paesi che, come la Cina, vivono una crescita accelerata. I capitali vengono investiti in gran quantità, senza pensare a quanto il mercato globale li possa riassorbire in seguito, e il credito cresce a vista d'occhio.

Dal momento che un aspetto fondamentale della crescita della Cina sono stati gli investimenti di capitale in produzione orientata all'esportazione, non sorprende che la crisi globale sia un serio problema per la Cina. L'Europa è di certo l'area di mercato maggiore per la Cina, e la crisi globale sta iniziando a creare un grande problema di sovrapproduzione, che è ben spiegato nell'inchiesta del Financial Times:

La domanda , nel grande bazar cinese dove si può comprare qualsiasi cosa, dall'elettronica alle decorazioni natalizie, è scesa in ottobre del 10%, indebolendo le esportazioni per il paese. Gli affari hanno iniziato ad andare così male che vendere era diventato una sorta di corsa a premi. “Tre anni fa ricevevamo dall'Europa comande per 3000-5000 pezzi,” racconta una venditrice della Wenzhou Yangyang Garments, “oggi ne riceviamo per 300-500”. L’azienda, che produce giacche di finta pelle, esporta ogni anno l'equivalente di circa 30 milioni di dollari in Europa, e di 20 milioni in America Latina.”

Secondo un recente rapporto della KPMG sull'industria automobilistica cinese, vi è la capacità di circa 6 milioni di unità che non è utilizzata al momento. Questo significa che la Cina potrebbe produrre 6 milioni di automobili e motociclette in più, ma non lo fa perché rimarrebbero invendute. Si calcola che entro il 2016 questa cifra salirà a 9 milioni, rappresentando una capacità produttiva del 35% maggiore rispetto a quanto il mercato possa realmente assorbire. L'indice di inventario, ovvero il numero di veicoli invenduti diviso per le vendite annuali, è pari a 1.98, dove 1.5 è considerato pericolosamente alto.

La Cina produce acciaio per circa sei volte di più del suo diretto concorrente, ed acquista circa il 60% di tutto il ferro grezzo del mondo, quindi le avverse condizioni economiche che interessano il settore della siderurgia si riversano in maniera particolarmente forte sul paese. D'altra parte è in atto una crisi mondiale di sovrapproduzione dell'acciaio proprio a causa della crisi economica. Circa un terzo delle miniere di ferro della Cina sono inutilizzate, e l'industria siderurgica della Cina, che è cresciuta enormemente durante il boom economico,  ha accumulato circa 400 miliardi di dollari di debito.

Il piano di rilancio del 2008, considerato da Goldman Sachs il più grande stimolo fiscale nella storia del mondo, ha incoraggiato l'esplosione della speculazione finanziaria e della bolla immobiliare. Questo perché la crisi economica mondiale ha posto un limite al mercato delle esportazioni della Cina, che a sua volta limita l'incentivo a investire nella produzione. Così le Imprese Statali Cinesi (SOE), beneficiarie di prestiti a tassi molto bassi, hanno utilizzato questi soldi per investire in nell'immobiliare con il risultato che, secondo una stima, il 30% delle case in Cina è vuoto.

Tutto questo provoca un'enorme concatenazione di debiti latenti, portando i leader cinesi a far di tutto per ottenere tassi di crescita di oltre l'8%. Qualsiasi rallentamento serio dell’economia trasformerà molti di questi prestiti in cattivi crediti, e una serie di default minaccia di inghiottire le autorità locali, che hanno approfittato dei piani di rilancio.

Cominciano ad apparire i primi segnali di questo crescita senza controllo del debito: i prestiti dal mese di luglio sono rimasti al tasso più basso per oltre 10 mesi, e i crediti scaduti della Bank of China sono aumentati del 17% nel primo semestre del 2012 (Financial Times). "Praticamente tutte le principali istituzioni hanno registrato una piccola crescita dei cattivi crediti, ma un aumento molto più grande di quelli scaduti. Le banche di medie dimensioni, che sono quelle più esposte alla lotta per la sopravvivenza nelle regioni costiere, sono quelle che se la vedono peggio. La banca Ping An ha registrato un picco di crediti in sofferenza del 51% ".

In questo momento, nel suo complesso, la classe capitalista cinese è contenta di procedere con lo status quo. Non vedono alternativa, e sono terrorizzati all’idea che si sollevi il coperchio che tiene soffocata la rabbia della classe lavoratrice; di conseguenza ricercano la stabilità a tutti i costi.

L’allontanamento di Bo Xilai, non una minaccia socialista ma un mina vagante della politica, dimostra abbastanza la loro paura che comnpaia una qualunque divisione o una qualsiasi legittimazione di un’alternativa di sinistra. Ma, come suggeriscono questi dati, il capitalismo non può garantire stabilità per sempre. Ma cosa succederebbe allora, se dovesse scoppiare una crisi economica e un’ondata di fallimenti dovesse sommergere il sistema, divorando le finanze dello stato?

Nonostante ciò potrebbe generare un ritorno alla lotta di classe (e di questo parleremo tra poco), una crisi di questo genere porterebbe inoltre allo scoperto tutte le spaccature che ci sono all’interno della classe dirigente Cinese e dello stato. Coloro i quali sono attratti dalla prospettiva di potersi staccare dalle imprese monopolistiche di proprietà dello Stato cercheranno di cogliere tale opportunità.

A Wenzhou il governo sta già sperimentando la liberalizzazione del sistema bancario. Il Financial Times riporta inoltre che:

“la Cina darà agli investitori stranieri maggiore accesso ai propri titoli e ai mercati obbligazionari, nel quadro di una prudente riforma che la spinge ad aprire il proprio sistema finanziario al mondo.

Guo Shuqing, a capo dell’autorità che emette i titoli di stato, ha detto che la Cina aumenterà le quote che sono destinate le istituzioni estere per investire nei propri mercati strettamente controllati..

Al Congresso del Partito Comunista Cinese, che si è riunito a Pechino nella settimana dall’8 al 14 novembre 2012 e nel quale si sono decisi i nomi dei dirigenti politici del paese per il prossimo decennio, Guo ha comunicato che il governo ha voluto accelerare l’apertura del sistema finanziario del paese.”

Il dipartimento di Li Keqiang, come detto poco fa, ha già pubblicato una relazione congiunta con la Banca Mondiale nella quale si concludeva che le banche e altri monopoli dovrebbero essere sciolti. Se questi monopoli, che sono in buona sostanza imprese capitaliste sussidiate dallo Stato, non vengono più supportati dello Stato stesso, molti di essi fallirebbero. Per tale ragione, la situazione è analoga alla crisi dell’economia britannica negli anni ’70, quando il Keynesismo ha fatto il suo corso. Le compagnie dello Stato non redditizie furono privatizzate, mentre ad altre furono tolti i sussidi statali. Il risultato furono licenziamenti di massa, un peggioramento nelle condizioni e nei contratti di lavoro, e puro sciacallaggio a causa del quale la classe lavoratrice britannica sta ancora oggi soffrendo.

Questi liberali pretenziosi che fanno capo a  giornali come “The Economist” e “The Guardian”, che non vedono l’ora che questi monopoli si disintegrino per poter annunciare l’inizio di una gloriosa era democratica in Cina, sono degli illusi. Anche se, di fronte alla crisi economica e all’ondata di scioperi, una sezione della dirigenza cinese possa fingersi riformista e democratica nella speranza placare questa rabbia crescente della classe operaia (sia da parte dei politici cinesi che degli intellettuali liberali, si parla spesso di riforme democratiche come qualcosa di necessario, proprio perché queste possono aiutare ad allontanare la rivoluzione), questo atteggiamento sarà sempre una copertura per portare avanti privatizzazioni a piena scala. Una politica di questo genere non rappresenta la soluzione per i problemi della classe lavoratrice cinese. Andrà ad aumentare la disoccupazione, ad incrementare le disuguaglianze e ad accelerare lo sviluppo del capitalismo. Le sole persone che beneficeranno a tutti gli effetti di ciò saranno le burocrazie che comandano le SOE. Come marxisti siamo totalmente contrari alle privatizzazioni, in qualunque forma, anche quando viene nascosta dietro la maschera della riforma democratica.

È  inoltre totalmente falso, come invece sostengono i liberali, che la corruzione sia dovuta al carattere statale della maggior parte dell’economia cinese. Come già spiegato, la corruzione rappresenta l’indebolimento operato dal capitalismo nei confronti del vecchio apparato statale. Giustamente, la maggior parte della rabbia del popolo cinese, oggi, è diretta nei confronti della corruzione originata dalle privatizzazioni. Le aziende vengono svendute a prezzi ridicoli a membri dell’apparato o burocrati affermati, che diventano poi grandi capitalisti. La privatizzazione coinvolge ed incoraggia la corruzione; non ne è la soluzione.

La crescente crisi economica minaccia di trasformare la latente lotta di classe cinese in un’esplosione totale. Il rallentamento dell’economia ha portato, di recente, alla crescita del numero di fatture non pagate tra le imprese. Un'altra espressione della scarsità di denaro contante è stato, secondo il China Labour Bullettin, l’improvviso ed intenso incremento degli ritardo nel pagamento dei salari. Ciò ha portato ad un immediato aumento degli scioperi e delle proteste tra i lavoratori che, ad ottobre, ha raggiunto il livello più elevato negli ultimi due anni.

C’è stata inoltre un’ondata di scioperi a settembre, specialmente nel settore dei servizi. La famigerata Foxconn, che dà lavoro addirittura ad un milione di lavoratori in Cina, è stata particolarmente soggetta a scioperi e sembra rappresentare l’avanguardia della lotta di classe in Cina. Richiama la leggendaria Putilov di Pietrogrado. Per due volte, la produzione dell’iPhone 5 è stata interrotta a causa degli scioperi avvenuti ad ottobre per due settimane. La Apple, i cui margini di profitto sono intorno al 30%, in confronto a quelli della Foxconn che sono dell’1,5%, è ben conosciuta per aver fatto richieste estreme alla Foxconn affinchè mettesse insopportabili pressioni ai suoi lavoratori in modo tale da mantenere anche un minimo margine di profitto.

“Ogni lavoro è temporizzato, vengono messi obiettivi sul numero di azioni che devono essere completate nell’arco di un’ora” afferma Xie Xiaogang, 22 anni, che ha lavorato all’impianto Foxconn di Shenzhen ed è stato trasferito a Taiyuan nel giugno di quest’anno. “Non hai molto tempo per rilassarti. In quest’ambiente, molte persone non possono permetterselo.” (Citato da Bloomberg).

La pressione è così intensa che frequentemente avvengono delle rivolte. La più recente di queste ha avuto luogo allo stabilimento Foxconn di Taiyuan, nella provincia dello Shanxi. Questo stabilimento dà impiego a 79.000 persone e i disordini hanno coinvolto qualcosa come tra i 2.000 e i 10.000 operai. Le cause immmediate della rivolta sono sembrate essere i continui atti di violenza del personale di sicurezza, che, a quanto pare, avrebbe pugnalato una lavoratrice. In un altro incidente, quattro o cinque guardie hanno quasi picchiato a morte un lavoratore. Questi atti di violenza sono una caratteristica generale della Foxconn e sono il risultato diretto della spinta ugualmente brutale verso il profitto. La pressione è così intensa che in questo stabilimento si licenziano o vengono licenziati 400-500 lavoratori al giorno. Alcuni di essi, come ampiamente riportato, hanno lasciato l’azienda togliendosi la vita.

“E alcuni lavoratori di altri stabilimenti della Foxconn, ad Henan, a Shandong e a Shenzhen hanno esposto comunicati elogiando i lavoratori di Taiyuan per il coraggio dimostrato per avere iniziato la sommossa... i lavoratori non intendevano provocare una rivolta, semplicemente non hanno avuto altro modo per denunciare le ingiustizie. Per esempio, quando hanno chiamato la linea di assistenza telefonica per protestare in merito agli abusi delle guardie di sicurezza, gli è stato risposto che non potevano occuparsi del loro reclamo… Anche se parecchi lavoratori hanno fatto domanda per iscriversi ai sindacati maggiormente rappresentativi, sembra essere improbabile poter ricevere supporto dai sindacati locali ufficiali”. (China Labour Bulletin)

Questo è solo un esempio delle contraddizioni di classe estreme in Cina, e aiuta a chiarire perchè la classe dominante cinese non possa tollerare alcuna autentica riforma democratica, specialmente la concessione di vere libertà sindacali.

Ottobre è stato inoltre testimone di uno sciopero ben riuscito alla Xinfei Electronics Co., nella provincia dell’Henan. Durante una consultazione pubblica riguardante le revisioni alla Legge sul Contratto dei Lavoratori, mezzo milione di persone ha presentato modifiche, provocando un ritardo nella stesura della bozza di questa legge. Non c’è dubbio che questa pressione riflette l’ardente desiderio di ottenere i diritti basilari da parte dei dei lavoratori. Queste sono le tensioni della classe che minacciano di esplodere e che Xi Jinping ha il compito di contenere, a tutti i costi.

Ulteriore prova della latente lotta di classe è stato il famoso sssedio di Wukan, durato da settembre a dicembre del 2011 In questo villaggio della Cina meridionale, di circa 15.000 abitanti, sono scoppiate proteste che hanno coinvolto diverse migliaia di persone; la lotta ha preso slancio e combattività dopo che la polizia ha condotto la popolazione con l’inganno ad eleggere i propri capi, cinque dei quali sono stati poi sequestrati dalla polizia stessa e uno di essi, Xue Jinbo, ucciso. Sebbene la polizia abbia affermato, ridendo, che Xue è morto per un improvviso attacco di cuore causato dalle sue precarie condizioni cardiache, i familiari, che hanno infine ottenuto il permesso ad accedere al suo corpo (ma non per l’autopsia), hanno riportato che Xue era coperto da grossi ematomi, tagli, sangue secco e che i suoi pollici erano stati slogati e piegati all’indietro. In settemila hanno preso parte ai funerali di Xue.

Ciò che ha causato tale movimento è molto formativo, sia per quanto riguarda la crisi sociale causata dallo sviluppo del capitalismo in Cina, sia per quanto riguarda la relazione esistente tra l’incombente crisi economica e la lotta di classe. Nel corso degli ultimi trent’anni circa, i contadini cinesi hanno fatto esperienza di provvedimenti simili alle infami Leggi sulle recinzioni delle terre demaniali (Enclosure of the Commons) che posero le basi per la rivoluzione industriale in Gran Bretagna. A centinaia di milioni di contadini è stata rubata la terra dalle autorità “comuniste” locali, in combutta con i rapaci proprietari terrieri. Questi contadini senza terra hanno dato origine a ciò che è stata la più grande rivoluzione industriale mai verificatasi, riversandosi nelle città dove sono stati e sono tuttora sfruttati spietatamente.

Sebbene la solvibilità delle autorità locali sia stata oggi così pesantemente indebolita dal loro  stesso coinvolgimento nelle politiche di incentivi fiscali, per cui il governo centrale gli ha recentemente concesso di iniziare a vendere obbligazioni (trascinandoli dunque nell’inevitabile trappola dei debiti), fino a poco tempo fa essi facevano totale affidamento sulle svendite di terreni comuni (coltivati da contadini) per alzare le rendite. Un rapporto ha stimato che, nel 2010, il 74% del reddito delle autorità locali proveniva dalla vendita illegale di terreni comuni. "Secondo l'Accademia Cinese delle Scienze, alla fine del 2011 un totale di 50 milioni di contadini sono sfollati in Cina (comprensivo di tutti gli anni precedenti), e una media di 3 milioni di agricoltori all’anno vengono dislocati in tutto il territorio cinese."

Questo processo si è accelerato notevolmente a partire dal 2008, poichè le autorità locali erano il mezzo principale con cui lanciare questo grande incentivo, il cui fine ultimo era quello di prevenire la crisi economica. Tutto il peso dei debiti di questo miope incentivo era (ed è) a carico delle autorità locali che, a fronte di dubbie garanzie sul luogo, sono state pesantemente costrette a prendere in prestito i terreni comuni per finanziare progetti di infrastrutture. Così, per riuscire a tenere in piedi il gioco, tali autorità hanno dovuto derubare i contadini della propria terra, che è stata ceduta a speculatori e imprenditori malfamati i quali, a quanto pare, la acquistano per un valore medio di 40 volte superiore a quello che l'autorità paga ai contadini (quando effettivamente paga qualcosa)! Bel lavoro se te lo puoi permettere!

Questo è un altro esempio di come l’economia cinese assomigli all’autobus del film Hollywoodiano Speed. Il boom si è basato su fondamenta così instabili, alimentato da così tante truffe e debiti accumulati nell’illusione che il mercato sarebbe cresciuto sempre di più, che non faranno nulla fermarlo, così che la realtà corrotta non verrà mai alla superficie.

Così, le autorità locali di Wukan hanno serenamente portato avanti questa truffa alle spalle della propria popolazione. Il capo villaggio del PCC, che ha coperto quella posizione per 42 anni, era troppo contento di poter finalmente svendere quelle terre, senza dover avere il permesso da parte dei contadini, agli imprenditori locali, i quali si sono già messi all’opera per costruire nei prossimi anni in quelle aree osceni nightclubs, villaggi turistici, e sontuose sedi centrali per il PCC locale. Questo dimostra inoltre perché la corruzione in Cina non è una qualche sorta di errore dal quale i suoi politici possano chiamarsi fuori. Non è una questione di “cattiva morale”. I leader locali del PCC stanno semplicemente portando avanti le richieste crudeli causate dell’improvviso ingresso del capitalismo in Cina, afferrando nel processo, una fetta di torta per sè stessi.

Due giorni prima della morte di Xue, avvenuta il 12 dicembre, avevano iniziato a verificarsi tutta una serie di giornate di proteste contro questi furti di terra, e il 14, quando venne reso noto che Xue era stato ucciso dalla polizia, una massa incontrollabile di persine hanno cacciato le autorità locali. Tutta la polizia e gli ufficiali del PCC sono stati letteralmente espulsi dal vilaggio, che è oggi amministrato dalla popolazione del villaggio.

Un migliaio di poliziotti hanno preso d’assalto il paese, ma non sono riusciti a riprendere il possesso di Wukan. L’unità e la combattività dell’intera popolazione del villaggio, la loro determinazione nel respingere le impressionanti forze dello stato cinese, mostrano, a livello pratico, l’esperienza condivisa dello sfruttamento e dell’ingiustizia tra le masse cinesi e l’immenso potenziale cha hanno dimostrato, di poter gestire la società da soli se si è uniti..

Il 21 dicembre il movimento si è concluso con la vittoria. Il Pcc provinciale di Guangdong è intervenuto, terrorizzato dalla determinazione irrefrenabile rappresentata da questo piccolo numero di contadini. Hanno accettato le richieste di rendere pubbliche le finanze del villaggio di Wukan e di redistribuire tutte le terre recentemente sottratte. Si sono poi tenute le elezioni in cui le autorità del PCC non hanno avuto molta scelta, se non quella di permettere alle persone di eleggere i propri capi e, prevedibilmente, sono stati i leader riconosciuti del movimento a prendere il posto. Tuttavia, essendo uno stato con un partito unico, essi sono stati ovviamente eletti come funzionari del PCC.

Le rivendicazioni e il carattere politico di questo movimento sono utili come cartina al tornasole dello stato di coscienza delle masse in Cina. Sebbene da un lato siano stati scacciati tutti gli ufficiali del PCC e tutte le forze dello stato, gli abitanti hanno esposto striscioni si sostegno al Pcc, nel suo insieme. Da un lato questo è stato fatto per proteggere sé stessi dalle rappresaglie del governo, dall’altro per facilitare la sezione provinciale ad assecondare le loro richieste, salvandosi comunque la faccia. Ma ciò rappresenta anche la contraddizione al centro della rivoluzione cinese in arrivo.

Esiste sicuramente un’opposizione combattiva all’apparato del PCC , che è realmente parte dello stato ed è correttamente vista come assolutamente corrotta. I lavoratori e i contadini, giustamente vogliono veder destituiti, da tutte le posizioni di influenza, tutti questi arrivisti che se ne sono approfittati del lavoro di centinaia di milioni di persone in Cina. In questo senso, la rivoluzione cinese, avrà delle somiglianze con la rivoluzione tunisina, in cui la popolazione tunisina ha cercato di scacciare l’intero apparato del potere. L’odiato e corrotto partito del dittatore Ben Ali, è stato espulso dai politici tunisini, esattamente come la direzione locale del PCC a Wukan è stata scacciata dal villaggio. Le rivendicazioni consistevano nel confiscare le ricchezze di questo intero strato sociale, che aveva col tempo allineato le proprie tasche a spese della popolazione tunisina.

Questa sarebbe un’ottima rivendicazione per tutti quei funzionari corrotti nello stato cinese, specialmente quelli che si trovano ai vertici come Wen Jiabao. Tutte le ricchezze acquistate in Cina attraverso il saccheggio dell’ex-economica pianificata, dovrebbero essere rimesse nelle mani della popolazione.

Vi è quindi una grande consapevolezza in merito al fatto che coloro che gestiscono il PCC siano in realtà finti comunisti. C'è un forte desiderio di estromettere questi individui e costruire un vero Partito Comunista, che per milioni di cinesi è la vera tradizione della Cina. Tuttavia, non appena si andrà avanti con la lotta, i Cinesi scopriranno che non si tratta semplicemente di alcuni funzionari corrotti o di “compagni di strada” posti ai vertici. Una gran parte del Pcc è stato infatti trasformato, per metà in una parte dell'apparato statale, come rete di spionaggio, e per l'altra metà in uno strumento per fare carriera o in un “circolo per anziani”. Ciò significa che il PCC, nel suo complesso, non è conquistabile agli interessi della classe operaia.

Tuttavia, il partito ha circa 80 milioni di iscritti, ed è il partito della rivoluzione del 1949, della guerra contro il Giappone e della fine degli anacronismi feudali. E 'impossibile immaginare che, in Cina, un movimento abbastanza potente da poter trasformare la società, che sarebbe poi una rivoluzione condotta dai lavoratori e che coinvolgerebbe centinaia di milioni di lavoratori stessi, non andrà ad esprimersi in qualche modo all'interno del PCC, che è poi l'unico partito in Cina. Non tutti gli 8 milioni di membri del gruppo sono arrivisti e truffatori!

Pertanto, nel caso in cui si verifichi una nuova rivoluzione cinese, possiamo anticipare la scissione del PCC, e la formazione di un PCC dei lavoratori. Coloro che rappresentano il capitalismo, come Xi Jinpgin andranno incontro ad un destino simile a quello di Ben Ali, Mubarak e Gheddafi. I dieci anni di potere di Xi non assomiglieranno affatto a quelli di Hu Jintao. Saranno interessate da rivolte sociali e, forse, anche dalla rivoluzione.

  • Per un Partito Comunista dei lavoratori!
  • No alla privatizzazione delle aziende di Stato! Sì al controllo delle aziende statali da parte dei lavoratori per prevenire la corruzione e la privatizzazione insidiosa!
  • Ri-nazionalizzare le aziende di Stato privatizzate! Nazionalizzare tutte le grandi aziende private!
  • Confisca della proprietà di tutti coloro che hanno accumulato ricchezza attraverso la corruzione e le privatizzazionei!
  • Completa libertà sindacale per tutti i lavoratori!
  • Stop alla trasformazione capitalista della Cina! Per una economia pianificata e controllata democraticamente!

Novembre 2012