Serbia: le proteste e la violenza dello stato rivelano la crisi del regime di Vučić

Una settimana dopo aver celegrato una schiacciante vittoria elettorale, il regime del presidente Aleksandar Vučić e del Partito progressista serbo si trovano ad affrontare un crescente scontento e disordini. Ci sono molte ragioni legittime per questi disordini. La maggior parte della popolazione è arrabbiata per la gestione della crisi del COVID-19, pessima e criminale, ed è profondamente preoccupata per l’imminente disastro economico. In autunno, quasi 300mila lavoratori potrebbero perdere il lavoro. Tuttavia, le proteste che scoppiano in tutto il paese sono per lo più amorfe, di dimensioni relativamente ridotte e senza chiare richieste. Ciò facilita i provocatori della destra e una campagna senza precedenti di brutalità poliziesca e repressione statale.


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La farsa elettorale

Il presidente serbo Aleksandar Vučić, leader del maggior partito nella coalizione al potere, il Partito progressista serbo (SNS), ha dichiarato una spettacolare vittoria nelle recenti elezioni generali del 21 giugno. L’SNS detiene ora una maggioranza assoluta in parlamento, mentre gli unici partiti non al governo sono all’opposizione solo formalmente: il Partito socialista serbo (SPS, ex partito di Milošević e stretto alleato dell’SNS), l’Alleanza patriottica serba (SPAS – ‘ SALVATION ‘, un partito populista di destra formatosi di recente) e i partiti delle minoranze nazionali. I partiti che si oppongono effettivamente al governo di Vučić hanno boicottato le elezioni o fallito miseramente nel raggiungere lo sbarramento elettorale del 3 perc ento.

Ci si potrebbe aspettare che un tale risultato abbia inaugurato un periodo di stabilità per il regime dell’SNS, ma in realtà nulla potrebbe essere più lontano dalla realtà. Le elezioni stesse sono state ovviamente una farsa dall’inizio alla fine, contrassegnate da numerose irregolarità (la Commissione elettorale della Repubblica ha ammesso irregolarità e ha dovuto ripetere le elezioni in 234 seggi elettorali in tutta la Serbia) e l’affluenza alle urne più bassa della storia serba, dall’inizio della restaurazione capitalista – circa il 48-49 percento. Le elezioni sono state organizzate nel bel mezzo della pandemia di COVID-19, con misure di quarantena che sono state completamente abbandonate per facilitare la campagna elettorale e l’affluenza alle urne. Per mantenersi al potere, Vučić era disposto a scrivere il suo nome negli annali dei ciarlatani, cercando di decretare la pandemia come una cosa lontana. Lo staff di crisi, un organismo composto da medici incaricato di determinare le misure per combattere la pandemia, si è piegato alla volontà del regime e non ha fatto quasi nulla per mettere in guardia contro lo svolgimento di elezioni in una situazione così pericolosa. Non solo, ma è arrivata una segnalazione dalla Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) secondo cui le cifre reali dei morti per COVID-19 sono state falsificate, che alle persone sono stati negati i test e che potremmo non conoscere mai l’esatto bilancio delle vittime della malattia in Serbia.

Tuttavia la cattiva gestione della crisi pandemica non è iniziata con le elezioni. Sin dall’inizio della pandemia, a marzo, il governo e i suoi esperti medici hanno rilasciato dichiarazioni contraddittorie sulla gravità della minaccia. Uno di loro ha anche detto alla gente che il SARS-COV-2 era “il virus più ridicolo della storia”, che esisteva solo sui social media, arrivando al punto di suggerire scherzosamente che la gente avrebbe dovuto andare a fare shopping a Milano, mentre l’Italia era travolta dal virus! Una volta finalmente riconosciuta la minaccia come reale, hanno introdotto la legge marziale, vietando agli anziani di lasciare le loro case e istituendo il coprifuoco notturno. Hanno persino ordinato all’esercito di pattugliare le strade. Tuttavia, non hanno attaccato i focolai reali della pandemia – luoghi come le fabbriche, in cui i lavoratori dovevano trascorrere giornalmente delle ore in reparti affollate, facendo i pendolari tra casa e lavoro su autobus ancora più affollati. La legge marziale non si applicava alle industrie di proprietà privata. Per loro, il governo ha semplicemente emesso “raccomandazioni”: proposte che non erano legalmente vincolanti in alcun modo. La legge marziale ha portato i lavoratori di alcune fabbriche a esercitare pressioni sui loro padroni e a chiedere misure di protezione attraverso brevi azioni di sciopero. La pressione popolare ha inoltre contribuito a far sì che alcune aziende abbiano tenuto a casa i loro lavoratori. Tuttavia, nessuna di queste cose era lontanamente sufficiente ed era solo una questione di tempo prima che il numero di malati mandasse in crisi il nostro sistema sanitario. Quel momento è arrivato ora.

Morti, negazione e commedia

Al momento, la pandemia di COVID-19 sta causando il caos in Serbia. I sistemi sanitari di alcune città sono stati travolti e ci sono notizie di persone che muoiono nei corridoi degli ospedali. Una volta che è diventato chiaro che la pandemia non era mai finita e che ciò che stava accadendo nella Serbia post-elettorale non era una “seconda ondata”, ma la continuazione dell’ondata originale delle infezioni da coronavirus, Vučić e il governo serbo, sotto il suo controllo, hanno fatto l’unica cosa che sanno fare: si sono messi in posa e hanno recitato la loro scena.

La fredda brutalità del cinismo del regime è stato particolarmente evidente nella città di Novi Pazar, nel sud-ovest della Serbia, nella regione conosciuta come Sangiaccato, dove la situazione è diventata particolarmente catastrofica. A fine giugno, secondo le dichiarazioni della popolazione locale ai media, ogni persona di Novi Pazar ha tra la propria famiglia, i propri amici o i conoscenti, almeno 10 morti per COVID-19. Gli ospedali si erano riempiti oltre la loro capacità e, secondo quanto riferito, i respiratori non funzionavano correttamente e venivano spenti. Si diceva che la città fosse coperta di necrologi appena stampati. La risposta del governo è stata rapida. Il primo ministro Ana Brnabić e il ministro della salute Zlatibor Lončar hanno fatto una visita ufficiale all’ospedale di Novi Pazar, determinati a combattere questo problema – spiegando alle gente che le loro lamentele erano tutte bugie e notizie false. Il Primo Ministro è perfino arrivato a insinuare che le lamentele dei cittadini di Novi Pazar avevano motivazioni politiche e che il Sangiaccato era “un terreno eccezionalmente fertile per la politicizzazione”. Dietro questa vile contro-accusa si trova un tipo di sciovinismo sottilmente nascosto e particolarmente insidioso, poiché Novi Pazar è una città a maggioranza bosniaca / musulmana. A quanto si dice, all’arrivo del Primo ministro e del Ministro della sanità, i corridoi dell’ospedale sarebbero stati liberati dai letti aggiuntivi e dai pazienti. Ma il regime è stato ancora più meticoloso nella sua arte della manipolazione. I nuovi pazienti in condizioni critiche sono stati rimandati a casa e gli attivisti locali del regime hanno perlustrato la città in cerca di necrologi per COVID-19 e li hanno strappati! È molto probabile che Novi Pazar non faccia eccezione, ma sia solo l’esempio più lampante di ciò che stanno attraversando molte zone all’interno della Serbia.

Sta diventando chiaro a un numero sempre maggiore di persone e senza il minimo dubbio, che le morti dei lavoratori comuni preoccupano il regime solo come un problema di pubbliche relazioni da “risolvere”, cioè da far cadere nell’oblio, con spiegazioni che insultano l’intelligenza. Tuttavia, non c’è molto che possano nascondere con trucchi mediatici e dichiarazioni idiote. Per mantenere l’illusione che stanno prendendo sul serio la pandemia, Vučić e il governo, con l’aiuto del complice e fallimentare Gruppo di crisi, hanno fatto ancora più scena.

Tuttavia, le misure annunciate dal regime il 2 luglio, non solo erano inadeguate e raffazzonate, ma decisamente controproducenti e dannose. Gli studenti negli alloggi del campus di Belgrado, sono stati allontanati una prima volta all’inizio della pandemia, poi sono stati irresponsabilmente richiamati per mantenere le apparenze nel periodo delle elezioni, per poi essere nuovamente sfrattati e mandati nelle loro case in giro per la Serbia, presumibilmente per prevenire la diffusione dell’infezione attraverso i dormitori. In una situazione in cui vi è un numero crescente di giovani infetti e in cui gli ospedali sono affollati oltre la loro capacità, la brillante soluzione del governo è stata quella di rimandarli tutti a casa per diffondere questa infezione ai passeggeri degli autobus che hanno preso, presso le loro famiglie e le loro città e paesi.

Gli studenti non esitano

Non appena la sera del 2 luglio è stata annunciata la nuova misura di sfratto dai campus studenteschi, la rabbia e la paura hanno raggiunto un punto critico. In una dimostrazione spontanea di indignazione, gli studenti dei vari complessi dormitorio universitari di Belgrado sono scesi in strada a migliaia, in un corteo notturno verso l’Assemblea nazionale serba (ilparlamento, ndt), bloccando lungo il percorso il traffico nel centro della città. Ne avevano abbastanza di questa follia.

Coordinandosi attraverso la pagina Facebook “Fermiamo gli sfratti dai dormitori degli studenti” e quello della coalizione “Krov nad glavom” (“Un tetto sopra le nostre teste” è una coalizione che combatte i pignoramenti illegittimi, con la quale collabora anche la sezione jugoslava della TMI), gli studenti sono scesi in corteo, cantando slogan contro gli sfratti, fatto un live streaming dell’intero evento e guadagnato appoggio e simpatia da un vasto pubblico online in tutta la Serbia. In Serbia, le generazioni più anziane, formate al socialismo nell’ex Jugoslavia, hanno sempre avuto un debole speciale per i giovani, specialmente per gli studenti universitari. I giovani istruiti sono visti quasi automaticamente come pionieri del cambiamento e come una sorta di avanguardia – come persone che proiettano una nuova luce e offrono nuove visioni ed energia per risolvere i problemi che si accumulano. Non c’è da meravigliarsi che le pagine di Facebook sopra menzionate siano state inondate di innumerevoli commenti sulla falsariga di “Avanti, giovani!”, “Bravi, figli nostri!” e simili. Non c’è da meravigliarsi che, solo un paio d’ore dopo l’annuncio iniziale, il regime sia stato costretto a cedere e a cambiare la sua decisione riguardo agli sfratti.

Gli studenti avevano vinto, mentre molti di loro erano ancora in corteo per arrivare davanti al parlamento. Il regime ha ammiccato e così facendo ha messo in luce il lato nascosto della sua recente “schiacciante vittoria”. Era solo questione di tempo prima che qualcuno lo facesse cedere nuovamente.

Topo in trappola

Un’altra misura, annunciata la settimana successiva, è stata l’introduzione completamente arbitraria di un coprifuoco di tre giorni nel fine settimana, di nessun aiuto per fermare l’infezione, ma che sarebbe stato un grosso ostacolo per fare provviste e avrebbe ostacolato la vita quotidiana di milioni di persone comprese quelle che giornalmente si ammalano. Chi al mondo accederebbe tutto questo passivamente? Era chiaro che ci sarebbe stata un altro conflitto e che Vučić avrebbe dovuto cedere una seconda volta. Tuttavia, come dice il proverbio, un topo in trappola morderà il gatto. Consapevoli che molto probabilmente avrebbero dovuto cedere una seconda volta, Vučić e i suoi tirapiedi si preparavano a rendere quella vittoria molto costosa.

Come previsto, la fulminea vittoria degli studenti di Belgrado ha incoraggiato i giovani della città e la settimana successiva, il 7 luglio, si sono radunati per protestare contro l’introduzione del coprifuoco del fine settimana, fiduciosi che anche questa decisione potesse essere ribaltata. E poco dopo, lo è stata. Tuttavia, questa volta il regime era pronto. Vučić non avrebbe lasciato che le proteste sfuggissero di mano e suscitassero una resistenza più diffusa contro altre misure che avrebbe potuto prendere, legate al coronavirus o altro. E ci sono molte altre misure, che sicuramente causeranno grandi proteste.

Sarebbe ingenuo presumere che si tratti solo del COVID-19. Vučić è un topo in trappola da più parti. Il crescente bilancio delle vittime da coronavirus è solo la causa immediata della rabbia e angoscia tra la popolazione. C’è anche l’ascesa della crisi mondiale del capitalismo, che sta facendo conoscere i suoi effetti anche nell’economia serba. Sono già in atto licenziamenti nel settore privato e si parla di ulteriori misure che avrebbero un impatto anche sul settore pubblico, in particolare su Air Serbia, la compagnia aerea nazionale serba. Secondo Zoran Mihajlović della Confederazione dei sindacati autonomi della Serbia, tra 250.000 e 300.000 lavoratori perderanno il lavoro questo autunno.

Un ulteriore fattore è la recente pressione su Vučić da parte delle potenze imperialiste, riguardo alla questione del Kosovo. Da un lato, vi è una crescente insistenza delle potenze occidentali, in particolare Germania e Francia, per una soluzione permanente, il che significa chiaramente che si aspettano che Belgrado riconosca l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia. D’altra parte, sembra che vi sia una pressione significativa da parte della Russia e di alcune forze filo-russe all’interno della Serbia per non consentire il riconoscimento. Man mano che la crisi globale del capitalismo si diffonde, man mano che i mercati si contraggono e le potenze imperialiste diventano sempre più aggressive nei confronti dei loro interessi regionali, diventerà sempre più difficile per Vučić continuare a bilanciarsi per mantenere la Serbia come un co-dominio, aperta alla sfruttamento assortito da parte di tutti. È chiaro che la Serbia, ad un certo punto, prima o poi, dovrà ammettere la realtà, che il Kosovo non fa più parte del suo territorio. Anche in questa era di feticismo da autoidentificazione, sta diventando chiaro che fingere e insistere sul fatto che i confini serbi si estendono ancora fino ai Monti Šar non cambierà in alcun modo la realtà della separazione del Kosovo. Tuttavia, Vučić è pienamente consapevole del fatto che l’atto di riconoscimento del Kosovo potrebbe essere altamente traumatico per una parte significativa della popolazione serba. In questo non è minimamente da solo, in quanto era uno dei portavoce più rumorosi dell’estremo sciovinismo serbo e dell’isteria anti-albanese. Si potrebbe persino considerare ironico che un uomo che ha costruito la sua intera carriera politica sull’illusione della Grande Serbia e sulla mitomania nazionalista, potrebbe essere colui che approva il riconoscimento di un fatto che per due decenni ha negato.

Ma non fatevi illusioni , qui non c’è ironia. I partiti nazionalisti vengono sempre usati dall’imperialismo per rendere più appetibile la svendita dell’indipendenza del proprio paese agli interessi del capitale transnazionale, così come i partiti riformisti vengono usati per rendere più facili da ingoiare tagli e attacchi ai diritti dei lavoratori. Il problema con Vučić e il suo regime è che ha cercato di essere entrambi. La sua coalizione ha continuato a fare ciò che nessuno stato borghese sano o stabile dovrebbe mai rischiare: creare una scena politica unipolare, in cui la sinistra borghese e la destra governano apertamente insieme e chiariscono a tutti che non c’è differenza tra di loro. Tali tattiche potrebbero garantire che una certa cricca politica e il suo leader rimangano al potere per diversi mandati consecutivi, ma il fatto che anche la parvenza di differenza ideologica venga scartata a favore della palese dittatura di classe di magnati e multinazionali straniere prima o poi ritorna per prendersi la rivincita e minaccia di far saltare in aria l’intero sistema.

Questo problema è aggravato dall’assoluta mancanza di partiti di opposizione borghesi che ispirino una qualsiasi fiducia di massa nei loro confronti, dato che sono ampiamente considerati quasi la stessa cosa, o addirittura un’alternativa peggiore a Vučić. In tali condizioni, un movimento sociale di massa diretto contro particolari riforme del governo sarebbe imprevedibile per la borghesia e potrebbe andare in qualsiasi direzione. Una cosa è certa: se prendesse slancio, ovunque conducesse, porterebbe perlomeno alla fine della carriera politica di Vučić, ed è possibile che nemmeno gli accordi dietro le quinte con le forze di opposizione potrebbero fermare la spinta verso la ritorsione e la rivalsa. Per questo Vučić doveva agire.

Prove di guerra civile?

Ne è seguita una campagna di repressione della polizia come non si vedeva in questo paese da almeno 30 anni, se non di più. Persino un paio di commentatori dei media hanno detto che era qualcosa che non avevano mai visto prima in Serbia. Le proteste durante il periodo della guerra civile negli anni ’90, quando Slobodan Milošević era in carica, erano 10-20 volte più grandi di quelle attuali. Senza dubbio, hanno dovuto affrontare una repressione piuttosto dura da parte della polizia antisommossa e da teppisti che altro non erano che poliziotti in borghese. Tuttavia, la risposta di Milošević impallidisce rispetto a ciò è successo questa settimana.

La repressione è iniziata il 7 luglio, come la protesta, e continua ancora oggi. Il carattere spontaneo della protesta e la mancanza di direzione, organizzazione o richieste chiare, l’hanno resa vulnerabile a infiltrati ed elementi provocatori. Questa vulnerabilità è stata pienamente sfruttata dal regime. Mentre (secondo alcuni rapporti) si stavano radunando circa 10.000 persone, gruppi di delinquenti fascisti e teppisti hanno iniziato ad agire. Tra loro c’era un membro del parlamento serbo, oltre a una banda di cosiddette “pattuglie del popolo”, che molestano i rifugiati nelle ore notturne e se ne vantano su YouTube. Gridavano slogan e cantavano canzoni sul Kosovo e sui rifugiati, poi hanno guidato la carica all’edificio dell’Assemblea nazionale. Dopo aver fatto irruzione, sono stati scortati fuori dalla polizia incaricata della sicurezza del Parlamento. Tuttavia, le provocazioni non sono finite qui. Poco dopo, mentre la polizia antisommossa e la gendarmeria si avvicinavano (la Gendarmeria è un’unità speciale della polizia, pesantemente armata e corazzata, usata per combattere il terrorismo e reprimere i disordini di massa), questi criminali hanno iniziato a lanciare pietre e dispositivi pirotecnici contro di loro, trasformando il protesta in una zona di guerra. Ciò che è stato molto interessante è che questi gruppi di teppisti sembravano essere altamente coordinati, apparentemente senza alcun leader o centro di organizzazione. Ciò porta a trarre l’unica conclusione possibile: l’esistenza di un centro di comando non visibile, che organizzava e coordinava segretamente questi gruppi apparentemente scollegati. Questi atti di violenza casuale da parte dei teppisti hanno trasformarono la protesta in una rivolta, depoliticizzandola e dando ai loro colleghi dall’altra parte della barricata tutte le scuse di cui avevano bisogno per reprimere.

E lo hanno fatto! Mai prima d’ora in vita nostra la polizia aveva caricato una folla relativamente piccola di manifestanti (tenendo conto del fatto che Belgrado è una città di 1,5 milioni di abitanti) con tale forza bruta. Erano presenti poliziotti antisommossa, cani da attacco, cavalleria, persino veicoli corazzati leggeri con gas lacrimogeni e lancia-bombe. La manifestazione è stata interrotta abbastanza rapidamente, con un livello di brutalità senza precedenti. Un video mostra persino la polizia assalire un gruppo di giovani che stavano semplicemente riposando su una panchina nel parco. Nei giorni seguenti, mentre questo schema continuava, la polizia ha iniziato a praticare vari tipi di tattiche brutali, inclusa la famigerata pratica di inginocchiarsi sul collo di una persona e nascondere poliziotti in assetto anti-sommossa in un’ambulanza, pronti a saltare giù e assalire i manifestanti in fuga. Era una pura e semplice campagna di terrore. Secondo alcuni rapporti dei media, provenienti da fonti non ancora verificate e negate con veemenza dal regime, è stato ordinato l’intervento nelle strade della città di Niš (nel sud del paese) anche all’unità d’élite dell’Esercito serbo, la 63esima aviotrasportata, un ordine che avrebbero rifiutato di eseguire.

L’operazione sopra descritta è stata ripetuta in tutta la Serbia, con vari gradi di intensità. Perché il regime dovrebbe usare tecniche di repressione senza precedenti contro una protesta relativamente piccola? Sicuramente, questo è un comportamento irrazionale per un’élite al potere che ha appena proclamato una straordinaria vittoria elettorale e detiene di diritto una maggioranza dei due terzi e de facto una maggioranza del 100% nell’Assemblea Nazionale! La risposta ovvia è che Vučić e i suoi tirapiedi hanno molta meno fiducia nella loro popolarità e capacità di controllare le masse con mezzi regolari di quanto facciano vedere. Vučić sta fallendo in ogni campo: come governo borghese, nella gestione della crisi sanitaria, nella gestione dell’economia. Non ha mai avuto successo in qualcosa di diverso dal gettare fumo negli occhi, ma l’epidemia di coronavirus ha chiarito che il suo governo può addirittura uccidere. In aggiunta a ciò, le valvole di sicurezza sociale, come l’emigrazione dei lavoratori serbi nei paesi dell’eurozona, sono state chiuse a causa della pandemia. Ancora peggio, potrebbero non essere mai più aperti come in precedenza, una volta che la crisi ha colpito ed è in pieno svolgimento in paesi come Germania, Italia, Austria. I giovani serbi che “non vanno a votare” potrebbero presto affrontare gravi privazioni dei diritti. Con il calo del PIL serbo e l’aumento del debito estero, con gli attuali investitori stranieri che rivalutano la redditività della loro presenza nel paese e si preparano a licenziare centinaia e forse migliaia di lavoratori, la solita strategia di lavaggio del cervello da parte dei media (per la quale Vučić è diventato famoso a livello internazionale) non è più sufficiente. Imparando dall’esperienza dei suoi predecessori, Vučić non vuole correre rischi. Vuole essere preparato al peggio e vuole che la gente lo sappia. Trasformare le proteste in esercitazioni della polizia, quindi, ha un duplice scopo: repressione e prove generali per il futuro. Vučić sta facendo la conta del suo apparato repressivo. Deve sapere su quali forze può contare quando il momento diventerà critico. Ha bisogno di una prova per una situazione che potrebbe diventare di guerra civile.

Le tecniche che sta portando avanti sono utili per studiare, riconoscere e denunciare a livello globale. Ciò è particolarmente vero perché la provocazione nelle proteste è sempre duplice. Non si tratta solo di iniziare una rivolta e dare alla polizia in assetto antisommossa una scusa per intervenire. Prima dell’inizio della rivolta, ci sono sforzi concertati per depoliticizzare la protesta, per deviarla dalle questioni sociali più stringenti, come i posti di lavoro e la crisi del COVID-19 e concentrare il tutto verso il riconoscimento del Kosovo. Deviare la rabbia popolare dalla classe dominante nazionale verso un nemico straniero – anche se quel nemico è l’imperialismo o quelli percepiti come strumenti imperialisti – tutela sia la classe dominante sia quel nemico straniero. Svuota la protesta di ogni rivendicazione praticabile e la trasforma in ululati alla luna. Richieste astratte, nazionalistiche e basate sull’identità sono la morte di qualsiasi movimento sociale, indipendentemente da quanto legittime possano essere le sue rimostranze. Non esiste una lotta antimperialista che possa vincere senza internazionalismo proletario. Quelli che vogliono limitare la loro lotta in termini di nazione ed etnia sono utili idioti della borghesia, circondati e autorizzati dai provocatori.

Secondo gli ultimi resoconti, il numero di manifestanti è diminuito in modo significativo, passando dalle 5-10.mila della prima notte a circa 1.100 l’11 luglio. La maggior parte delle persone che hanno deciso di non partecipare alla protesta hanno dichiarato come la ragione per cui è stato “dirottato dalla destra”. L’entusiasmo per queste proteste potrebbe calare, ma le contraddizioni sociali che le hanno provocate peggioreranno.

L’azione dei marxisti

Inizialmente, quando sono scoppiate le proteste, la sezione jugoslava della TMI – l’Organizzazione marxista ‘Crveni’ (Rossa) – ha deciso di non partecipare, dopo un’attenta valutazione. Ci sono state molte ragioni per questa decisione.

In primo luogo, il crescente numero di persone con infezione da coronavirus ha reso la partecipazione a una protesta un affare altamente rischioso, che avrebbe impedito la partecipazione di massa. In secondo luogo, la composizione di classe della protesta, che consisteva principalmente di giovani universitari, borghesi della classe media urbana ed elementi sottoproletari, con la rilevante assenza di lavoratori sindacalizzati, ha chiarito che i vantaggi derivanti dalla partecipazione alle proteste erano opinabili nella migliore delle ipotesi. Ciò si è riflesso nel fatto che la protesta non ha avanzato rivendicazioni chiare. In terzo luogo, ci è diventato chiaro che questa protesta, sebbene entusiasta ed energica, è tuttavia sterile. Un modo di agire molto migliore, in queste circostanze concrete, è stato quello di invocare forme di lotta che sono sia epidemiologicamente più sicure e potenzialmente più dannose per il sistema capitalista. La principale forma di lotta che proponiamo è uno sciopero generale nei settori non essenziali, per evitare l’infezione sui posti di lavoro e sui trasporti pubblici. Chiediamo inoltre ai sindacati degli operatori sanitari di formare un proprio “Gruppo di crisi”, indipendente e senza compromessi, per coordinare la lotta contro il COVID-19 senza interferenze e sabotaggi da parte del governo. Ciò eviterebbe di esporre i settori più avanzati che entrano nella lotta a una inutile duplice repressione, da parte della polizia e dei loro infiltrati fascisti. Entrambi questi passaggi hanno il potenziale per indebolire o addirittura rovesciare il regime di Vučić molto più di quanto possa mai accadere con qualsiasi esplosione spontanea, in particolare una come questa, che è su scala relativamente piccola quasi senza alcun coinvolgimento della classe lavoratrice.

Ciò non significa che non siamo coscienti del carattere fluido dei movimenti amorfi e spontanei. Indipendentemente dalla loro sterilità iniziale, o addirittura complessiva, tali movimenti hanno un certo impatto sociale e politico e a un certo grado possono sempre attrarre i settori più combattivi della classe lavoratrice. I comunisti devono essere pronti per un tale cambiamento nella situazione ed essere pronti a rispondere di conseguenza, per stare al fianco dei lavoratori se decidessero di entrare in scena.

La terza sera della protesta, il 9 luglio, è emersa una situazione che ha fornito un barlume di speranza che potesse accadere proprio una cosa del genere. Una parte della gioventù coinvolta nella protesta ha sviluppato una tattica per identificare e allontanare i provocatori di destra. Ogni volta che qualcuno tentava di iniziare una qualche forma di violenza, la folla si sedeva per esporre i provocatori e poi i gruppi si alzavano e li spingevano fisicamente fuori dalla protesta. A parte questo, c’era un piccolo numero di operatori sanitari sindacalizzati provenienti dagli ospedali COVID-19, che erano venuti alla manifestazione per condividere le loro esperienze e rimostranze. Per questi motivi abbiamo deciso di intervenire nella protesta la notte seguente, con una versione leggermente modificata della nostra dichiarazione di aprile. Questa dichiarazione includeva una serie di rivendicazioni per combattere la pandemia e le sue conseguenze economiche. I lettori possono trovare il documento originale qui (in serbo-croato). Tuttavia, il giorno successivo, il 10 luglio, la dimensione della folla in piazza era significativamente più piccola, facendo risaltare più facilmente i provocatori di destra. L’11 luglio, le cose sono diventate ancora più surreali, con solo circa 1.000 persone presenti e la protesta dominata da fondamentalisti ortodossi che ostentavano icone e un prete pazzo e delirante al microfono. A questo punto, è molto probabile che la protesta sia in calando e che siano necessarie diverse forme di lotta per resistere efficacemente al regime di Vučić.

In quel momento c’erano un certo numero di gruppi di sinistra presenti, che si ritenevano in grado di prendere il controllo della protesta e portarla su contenuti di classe semplicemente irrompendo nella folla con striscioni e megafoni. Tuttavia, tutto ciò che sono riusciti a fare è stato di apparire come un oggetto estraneo in una folla già in preda al panico e spaventata dalle infiltrazioni e dalla possibilità di uno scontro con i fascisti. Certo, non c’è niente di sbagliato nello scontrarsi con i fascisti di per sé. Tuttavia, c’è molto di sbagliato nel lasciare che uno scontro a base di urla tra due gruppi nasconda il punto fondamentale del proprio intervento e impedisca la comunicazione con la maggior parte dei manifestanti.

Intervenire nelle proteste non è solo organizzare uno spezzone o sventolare le proprie bandiere. Mentre i simboli e l’iconografia hanno il loro posto negli interventi di protesta e molto spesso possono servire come strumenti di reclutamento altamente efficienti in manifestazioni operaie o studentesche, possono essere controproducenti in raduni spontanei in cui le persone sono stanche o diffidenti nei confronti dei partiti e delle organizzazioni politiche. I comunisti devono sempre usare tattiche flessibili e tenere presente che non esistono approcci meccanici validi in ogni occasione. È indispensabile valutare sempre l’ambiente della platea, le circostanze concrete che la riguardano e poter cambiare rapidamente l’approccio se si vedono cambiamenti improvvisi sul campo.

Ciò che ha fatto in queste circostanze la sezione jugoslava della TMI – l’Organizzazione marxista ‘Rossa’ –è stato di mettere prima le idee concrete e per ultima l’iconografia. Il nostro principio per questo tipo di protesta è stato: individui invisibili – idee visibili. I nostri compagni non formavano un blocco separato, poiché non eravamo lì per evitare i manifestanti e attirare la polizia. Invece, i nostri compagni hanno distribuito copie del nostro volantino, con informazioni sulla nostra organizzazione e sulle modalità con cui le persone possono raggiungerci se sono d’accordo con ciò che stanno leggendo. Certo, ci sono state una serie di reazioni negative e rifiuti di leggere qualsiasi cosa fosse comunista. Ma ci sono state molte altre risposte molto positive e curiose e in breve un certo numero di giovani hanno cercato i nostri compagni tra la folla e gli hanno chiesto una copia del nostro materiale. Alcuni di loro hanno anche discusso con noi e hanno detto che avrebbero consultato il nostro sito web per saperne di più.

Cosa succederà?

Come in ogni grande protesta, possiamo vedere che, in un modo o nell’altro, un elemento sociale e di classe è sempre presente. Sebbene solo timido e latente tra alcuni settori della gioventù di Belgrado, è invece venuto allo scoperto a Novi Sad. Questa era l’unica città in cui le richieste della protesta avevano una chiara connotazione di classe, chiedendo, tra l’altro, la fine dei licenziamenti e la riassunzione dei lavoratori che hanno perso il lavoro a causa della crisi del COVID-19. Tuttavia, queste rivendicazioni sono state avanzate da intellettuali di sinistra, che le hanno annacquate con la sterile richiesta per le dimissioni di un certo numero di funzionari governativi, che non servono a nulla. Peggio ancora, le rivendicazioni sono state rese meno attrattive dall’utilizzo di tattiche avventurose e teatrali da parte della direzione di sinistra della protesta (al momento l’unica direzione di sinistra della protesta nel paese), che ha tollerato ogni provocazione e ha costantemente calcato la mano, suggerendo tattiche stravaganti, come bloccare un’autostrada. Tale approccio riflette il circolo vizioso della sinistra piccolo-borghese: le sue tattiche sono stravaganti e bizzarre perché non vi è partecipazione da parte del movimento operaio per concentrarsi sulle tattiche giuste, e il movimento operaio non si unisce a loro perché tattiche stravaganti e bizzarre sono rischiose e possono mettere a rischio il posto di lavoro dei lavoratori, minacciando la sicurezza delle loro famiglie.

Sta diventando molto chiaro che il modello di “protesta civile”, che è stato feticizzato e utilizzato come approccio predefinito sin dalla caduta del regime di Milošević, non è un modo per rovesciare con successo un regime, e tanto meno cambiare l’intero sistema. Quando le persone analizzano le proteste degli anni ’90 e le “rivoluzioni colorate” nei primi anni 2000, spesso dimenticano che queste “proteste civili” spesso erano solo un sostegno per un cambio di regime tattico, sotto al quale l’imperialismo occidentale orchestrava una serie di accordi dietro le quinte, defezioni e sabotaggi. Di per sé, le “proteste civili” sono baracconi che non mordono, anche con le richieste più giustificate, e servono sempre gli interessi delle forze che detengono maggior potere.

Questa forza non deve essere sempre l’imperialismo, però. Dobbiamo stare attenti alle varie “teorie sulla cospirazione di Soros”, ecc. La classe operaia ha anche il potere e la capacità di mettersi in prima linea in caso di disordini civili più ampi. Lo ha dimostrato in numerose occasioni nel corso della storia e lo dimostrerà di nuovo abbastanza presto. Per fare ciò, tuttavia, sono necessari scrupolosi sforzi organizzativi. In ogni luogo di lavoro, in ogni categoria e confederazione sindacale, è necessaria un’articolazione politica delle rivendicazioni di classe, in questa situazione più che mai. Questo non accadrà all’improvviso. Può essere fatto solo con il coinvolgimento dei comunisti. È qui che si trova oggi il nostro obiettivo principale. Mentre non siamo affatto sordi a cambiamenti improvvisi, anche minori, nella composizione di classe delle proteste civili, il nostro obiettivo principale in questo periodo è quello di dare il nostro sostegno alle principali lotte sociali che ci saranno nei luoghi di lavoro e nelle scuole, per aiutare a collegarle e a lottare per una soluzione duratura e globale che colpisca alla radice della nostra crisi: il sistema capitalista.

Abbiamo ricevuto la notizia che tre membri della coalizione Un tetto sopra la testa sono stati arrestati e sommariamente condannati a 30 giorni di reclusione. I loro nomi sono Igor Šljapić, Mario Marković e Vladimir Mentus. Igor Šljapić stava protestando pacificamente, con in mano uno striscione che diceva “Cosa farai quando finirai i gas lacrimogeni?” ed è stato condannato in un processo farsa per “aver insultato un funzionario in servizio”. Mario Marković non stava nemmeno partecipando alla protesta, ma è stato prelevato mentre stava guidando la sua moto per un lavoro di consegna di cibo e condannato con accuse altrettanto false. Vladimir Mentus, dottore associato presso l’Istituto di Scienze Sociali, non ha preso parte alle rivolte, ma è stato comunque arrestato, brutalmente picchiato dalla polizia e condannato con la stessa falsa accusa. Nei tre processi sommari, nessuno degli imputati aveva diritto a un avvocato e gli unici testimoni ammessi dalla corte erano i poliziotti che li hanno arrestati. Vorremmo estendere il nostro supporto a questi tre attivisti. L’organizzazione marxista ‘Rossa’, la sezione jugoslava della TMI, sarà solidale con loro e chiederà il loro rilascio immediato.

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