Pomigliano non si piega, Pomigliano resiste!

Il referendum che si è tenuto ieri alla Fiat di Pomigliano è per i lavoratori, la sinistra, il sindacalismo di classe di questo paese uno splendido risultato. Una sconfitta certo, ma che ha visto quasi il 40% dei lavoratori (circa la metà degli operai) dire NO al ricatto della Fiat. Marchionne voleva il plebiscito ma il plebiscito non c’è stato.

La vittoria di Pirro di Marchionne

Non sfugge a nessuno che ora la Fiat potrebbe rimettere in discussione i suoi investimenti a Pomigliano. Questo i lavoratori lo sapevano perfettamente ed è per questo che anche tra quel 60% che ha votato SI tantissimi sono inferociti con l’azienda, hanno votato SI per paura o per ragioni tattiche (intanto mettano le linee, poi una volta fatto l’investimento si vedrà) ma non sono mai stati conquistati dalla propaganda padronale.

Marchionne lo sapeva ed è per questo che all’ultimo momento ha inserito le due clausole di “esigibilità” che dessero “garanzie” sulla cosiddetta applicabilità dell’accordo. Non a caso non si è accontentato delle firme di Fim, Uilm, Fismic e Ugl, ma voleva la resa della Fiom, che nonostante le enormi pressioni non c’è stata.

Hanno così puntato sul referendum, e l’obiettivo era il 90% di SI’. Volevano vincere per KO, annichilire la Fiom e ridurre alla condizione di schiavi i lavoratori prima di portare la Panda a Pomigliano. Ma gli è andata male.

La classe operaia di Pomigliano ha resistito e la manifestazione di sabato scorso dei capi e dei loro famigliari è stata un fallimento totale, uno squallido tentativo di ripetere la marcia dei 40mila del 1980 (per la verità anche allora non c’erano più di 5mila persone a manifestare per le piazze di Torino).

Ma se quella manifestazione dell’80 segnava una sconfitta, che apriva un ciclo di arretramenti durato 30 anni, la lotta di Pomigliano oggi può rappresentare l’inizio di una riscossa che chiude quel ciclo per aprirne uno completamente nuovo.

La posta in gioco

Altro che modernità, come ha dichiarato quel pagliaccio di Sacconi, quello che volevano era tornare alle condizioni di lavoro dell’800.

Ma hanno avuto la loro risposta, non si tratta solo di dignità come molti a sinistra hanno osservato. Quello che abbiamo visto a Pomigliano è qualcosa di più, si tratta di coscienza di classe.

Sentire sulle proprie spalle la responsabilità di rappresentare gli interessi della propria classe, dare una risposta agli operai polacchi di Tichy (che recentemente gli avevano scritto una lettera che è circolata in rete) per dire che gli operai di Pomigliano non se ne infischiano di loro, come non sono insensibili al fatto che se la Fiat passa a Pomigliano, dal giorno dopo quell’accordo capestro sarebbe dilagato in tutto il gruppo e in tutte le fabbriche del paese, come già si sta tentando alla Indesit.

Poi c’è la fatica, che era già tanta con i ritmi attuali e che verrebbe intensificata proponendo delle metriche di lavoro, condannate persino dall’Ue e che vorremmo far provare a tanta bella gente come Sacconi, Veltroni e quei dirigenti del Pd che fanno appello al senso di responsabilità.

Per tutte queste ragioni i lavoratori si sono stretti attorno alla Fiom che non solo ha dovuto resistere alla pressione padronale e alla logica della competizione globale, ma ha dovuto contrastare anche le pressioni che venivano dall’interno dell’organizzazione, dai vertici della Cgil.

Uno degli aspetti peggiori di tutta questa vicenda non sono solo le dichiarazioni di Epifani (“penso che i lavoratori andranno a votare e voteranno Sì”), ma il fatto che ancor prima che si tenesse l’attivo con i lavoratori di Pomigliano, il segretario regionale della Cgil, Michele Gravano e quello provinciale, Peppe Errico si siano schierati per il SI’ al referendum.

L’azienda non ha mancato di fotocopiare il loro comunicato e distribuirlo a tutti i lavoratori per dirgli che anche la Cgil li invitava a votare a favore dell’accordo. Quest’oggi viene pubblicata sul Manifesto un’intervista a Michele Gravano nella quale accusa di “infantilismo politico” la Fiom e nella quale viene sostenuta la tesi che il referendum è “un atto di democrazia” che va valutato attentamente. Forse Gravano dovrebbe valutare attentamente qual è il contesto “democratico” in cui si è svolto il referendum.

La repressione aziendale

La gestione della campagna referendaria da parte dell’azienda è stata di tipo militare. Da informazioni che sono filtrate da alcuni capi-reparto “progressisti” sono state fatte delle vere e proprie liste di proscrizione tese all’isolamento dei delegati e dei lavoratori più “riottosi”.

In fabbrica è stato orchestrato un clima di terrore, con minacce di rappresaglia individuale. I lavoratori hanno ricevuto a casa il dvd e lettere minatorie con i termini dell’accordo. Durante il voto c’erano i maxischermi che proiettavano gli interventi dei dirigenti Fiat sulla bontà del patto sottoscritto.

Le telefonate e gli sms ai dipendenti, i capi reparto che facevano continue pressioni verso chi si recava alle urne, minacciando la chiusura dello stabilimento in caso di voto negativo.

Ma nonostante tutto 1.673 operai hanno detto NO! Nonostante le minacce aziendali, la campagna mediatica, le prese di posizioni del Pd e della Cgil che si sono schierate per il SI (come per altro un pezzo rilevante dell’Italia dei Valori) e con lo spettro di perdere il posto di lavoro, hanno comunque votato NO.

Dalla parte della Fiom

Un NO così imponente apre un quadro che deve essere analizzato in tutti i suoi aspetti e che chiama in causa direttamente la Fiom che potrebbe presto trovarsi in un nuovo braccio di ferro con l’azienda, su un piano qualitativamente più alto.

La strategia della Fiom fino ad oggi è stata quella di “non pesarsi” sul voto in fabbrica, ha semplicemente dichiarato illegittimo il referendum; consigliando ai lavoratori di andare a votare per evitare rappresaglie ma senza dare un’indicazione precisa di voto.

Proprio per questo il risultato del referendum ha un carattere ancora più straordinario

Ma a questo punto Marchionne potrebbe avviare una nuova offensiva, ricattando la Fiom con la minaccia di andarsene da Pomigliano, che obbligherebbe il sindacato di Landini a dare un salto di qualità alla propria iniziativa sindacale e di mobilitazione, a partire dallo sciopero del 25 giugno.

Il 1° luglio è stata convocata a Pomigliano un’assemblea di tutti i lavoratori del gruppo Fiat ed è questo il contesto ideale all’interno del quale un piano audace di mobilitazione può trovare lo slancio adeguato.

Forse andrebbero evitate certe esitazioni che ci furono lo scorso anno quando dopo lo sciopero del comprensorio del 27 febbraio, che fu un successo straordinario si attesero ben 80 giorni per arrivare alla convocazione di una manifestazione di tutto il gruppo Fiat. Oggi la mobilitazione deve essere molto più serrata e soprattutto incisiva. Anche l’ambiente tra i lavoratori del gruppo è molto migliore.

Sono anni che la Fiom si lamenta, giustamente, dell’assenza di una sponda politica a sinistra e dunque si trova nella difficilissima condizione di condurre questa battaglia decisiva, contro tutto e contro tutti e senza una sinistra politica in grado di sostenerla.

È una grande responsabilità quella che grava sul sindacato di Landini, che può rendere comprensibili alcune incertezze, ma non le può affatto giustificare. Anche perché è molto probabile che ora i nodi vengano al pettine.

La Fiom si è opposta all’accordo e questo le consegna un’enorme autorità in tutto il movimento ma anche delle responsabilità. A Pomigliano assistiamo all’afflusso di nuovi militanti che lasciano i sindacati concertativi e chiedono la tessera della Fiom, a Melfi nelle elezioni della Rsu la Fiom torna ad essere il primo sindacato.

Questo è positivo, molto positivo, ma allo stesso tempo acutizzerà il conflitto con il gruppo dirigente della Cgil e soprattutto allarmerà ancor più il padronato che metterà in campo le proprie contromisure. Non a caso un capo di quelli che hanno organizzato la manifestazione a favore dell’azienda di sabato scorso ha dichiarato al Tg3 che erano preoccupati dell’ambiente di radicalizzazione che vedevano montare in fabbrica.

Marchionne potrebbe decidere nei prossimi giorni di giocarsi una partita per far venire allo scoperto la Fiom. Anche se decidesse di mantenere ugualmente la produzione a Pomigliano (cosa di cui chi scrive è assolutamente convinto) potrebbe non accontentarsi dell’esito positivo del referendum, considerare il 62% dei SI’ insufficiente e bluffare chiedendo alla Fiom che lo sottoscrivi per portare la Panda nello stabilimento.

A quel punto la Fiom non potrà limitarsi a parlare di illegittimità del referendum, dovrà organizzare la mobilitazione, il conflitto a un livello più alto puntando alla sua generalizzazione. La Cgil non la sosterrà, è inutile dirlo, e quindi si porrebbero anche problemi di disciplina sindacale.

Per quanto riguarda il versante politico non ne parliamo neanche. Basta dire che un gruppo di parlamentari del Pd ha addirittura inviato una lettera a Zavoli con l’incredibile accusa “che i media in questa vicenda di Pomigliano avrebbero dato troppo spazio alla Fiom e non agli altri sindacati”.

La Fiom si troverebbe così tra l’incudine e il martello, accusata da una parte di mandare via la Fiat da Pomigliano o costretta a firmare un accordo che cancella il contratto nazionale e il diritto di sciopero.

A quel punto l’unica forza su cui potrebbe basarsi è quella che gli viene dallo stesso movimento, sfruttando quell’enorme autorità che si è conquistata in questi anni e che forse ha utilizzato in passato con eccessiva cautela. La nostra non è una critica a Rinaldini o a Landini, di cui siamo i più sinceri ed entusiasti sostenitori della Fiom, come lo sono la grandissima maggioranza dei militanti di base del nostro partito.

In questo momento pensiamo sinceramente che osare è possibile, si respira un ambiente di entusiasmo a sinistra e nel sindacalismo di classe. La rabbia e la frustrazione che si è andata accumulando può essere organizzata ed è così che la nostra debolezza può essere ribaltata in un punto di forza non cercando punti di appoggio al vertice ma guardando verso il basso nella forza che il movimento è in grado di sprigionare se solo gli si offre un canale di espressione.

Da questo punto di vista ci pare che nella conferenza stampa tenuta da Landini, il giorno dopo il referendum, il segretario generale della Fiom sia rimasto troppo sulla difensiva insistendo sulla disponibilità alla trattativa con la Fiat e sul fatto che togliendo le parti anticostituzionali proposti nell’accordo esistono grandi margini di produttività (leggasi sfruttamento) nel resto della proposta che la Fiom è totalmente disposta ad accettare.

La lotta contro i 18 turni, la riduzione delle pause, la metrica, ecc. sembra essere andata totalmente in secondo piano e tutta la battaglia si concentra esclusivamente sulla clausola di esigibilità.

Il dibattito a sinistra

Sia chiaro che chi scrive non solo ha una grande stima nel gruppo dirigente della Fiom, ma in tutti questi mesi nel dibattito interno a Rifondazione Comunista ha sostenuto le scelte della Fiom contro l’aggressione sistematica che veniva portata avanti dal settore del partito facente capo a Lavoro Società. È una delle ragioni principali che ci ha portato a contrastare la Federazione della Sinistra che vedeva in Lavoro e Solidarietà (l’associazione politica a cui Lavoro Società ha dato vita) una delle organizzazioni costituenti.

Continuiamo a pensare che questa scelta abbia vincolato il Prc ai settori sindacali meno dinamici e più burocratizzati alienandoci molte simpatie in Fiom e nel sindacalismo di base.

Il ruolo giocato da Lavoro e Società nella vicenda di Pomigliano è emblematico. A questo proposito vorrei citare una presa di posizione del compagno Bruno Manganaro del CC della Fiom, che a me pare significativo proprio perché viene da un compagno che in passato apparteneva a quella componente sindacale. Nel suo comunicato Chi li ha visti? Manganaro dice testualmente:

“…Noto un pesante e fastidioso silenzio: quello di Lavoro Società; presunta area organizzata in Cgil, quella che rivendica il proprio passato di sinistra sindacale, quella che oggi è rappresentata in segreteria nazionale della confederazione. E’ un silenzio sembra di appagamento per aver raggiunto un ruolo di maggioranza in Cgil che non può essere rovinato dal prendere posizione su piccole vicende quotidiane legate alla Fiat di Pomigliano. Come si fa a non dire nulla, si pensa così di non avere nessuna responsabilità? Ci si dichiara area programmatica e sulla più importante vicenda sindacale degli ultimi anni non si ha una idea, una posizione? O forse l’idea che si ha è troppo vergognosa rispetto al proprio passato? Il silenzio è complicità oltre che disinteresse e su Pomigliano d’Arco stare con la Fiom e con le sue battaglie è un dovere per qualsiasi sindacalista di classe.”

Non abbiamo niente da aggiungere. Chissà che il compagno Ferrero non inizi a prendere atto della impossibilità di “riunificare” la cosiddetta sinistra sindacale a fronte di contraddizioni talmente macroscopiche che si sono aperte in Cgil e che hanno prodotto uno scontro aperto e dichiarato nell’ultimo attivo congiunto che si è tenuto la settimana scorsa a Pomigliano dove i dirigenti e gli iscritti della Fiom hanno duramente contestato Michele Gravano e si sono dichiarati per una linea di aperta opposizione all’interno della Confederazione.

Se Lavoro Società non rompe con Epifani (e non romperà) allora è Ferrero che deve rompere con questo settore della Cgil (iscritti al partito e alla Federazione) per abbracciare chiaramente e senza ambiguità la battaglia della Fiom e della Cgil che vogliamo, l’area programmatica, che verrà proclamata il prossimo 6 luglio, e che sarà guidata con ogni probabilità da Gianni Rinaldini.

Al riguardo noi non abbiamo alcun dubbio, e come noi sicuramente non hanno alcun dubbio i compagni del circolo di Rifondazione della Fiat di Pomigliano, che in tutta questa vertenza hanno giocato un ruolo straordinario. Su questo sito pubblichiamo un appello che i compagni rivolgono ai militanti del partito e al movimento nel suo insieme, per continuare la lotta e per costruire attorno ad essa la solidarietà dell’intero movimento operaio.

Questa solidarietà è andata crescendo nelle ultime settimane, con le mobilitazioni che si sono viste a Mirafiori, a Val di Sangro, alla Piaggio di Pontedera, alla Ferrari e in altre fabbriche del paese. Alle centinaia di appelli di solidarietà che sono stati approvati dalle Rsu, negli attivi sindacali, agli oltre 10mila aderenti nella pagina di Facebook Pomigliano non si piega dove se solo si dà un’occhiata ci si rende conto del clima di fiducia che si sta generando in tutto il paese attorno alla lotta di Pomigliano.

I compagni del circolo della Fiat, hanno giocato un ruolo fondamentale in tutto questo e non possiamo che essere orgogliosi per il lavoro che hanno svolto negli ultimi due anni in condizioni difficilissime per far avanzare un punto di vista alternativo all’interno della fabbrica.

Si apre una fase nuova

Tutti gli scettici che sostenevano che a Pomigliano ci sarebbe stato il plebiscito per Marchionne sono stati smentiti.

Persino alcuni compagni si domandavano: “Possono i lavoratori di Pomigliano mettersi sulle proprie spalle l'intero peso del conflitto di classe in Italia?”. Era un dubbio più che legittimo.

Non a caso lo stesso Ferrero la mattina del referendum postava una nota nel suo profilo su facebook che diceva: OGGI PLEBISCITO ALL'ALFA DI POMIGLIANO SUL RICATTO MAFIOSO FATTO DALLA FIAT AI LAVORATORI. IL GOVERNO PROPONE MODIFICA ARTICOLO 41 COSTITUZIONE, LA FIAT ESEGUE E DRAGHI APPOGGIA. POI DICONO CHE NON CI SONO I POTERI FORTI!

Ebbene alla fine i lavoratori a Pomigliano si sono messi sulle loro spalle l’intero peso del conflitto di classe. Nonostante tutto e nonostante tutti lo hanno fatto.

Sta alla Fiom ora e a noi tutti militanti di sinistra dare loro il massimo d’appoggio. Non solo risponderemo con entusiasmo all’appello dei nostri compagni di Pomigliano ma impegneremo tutte le nostre forze e le nostre energie per andare ai cancelli delle fabbriche e fare controinformazione, raccogliere fondi e promuovere conflittualità e appelli di solidarietà alla lotta.

A Pomigliano si giocano le sorti del conflitto di classe nel nostro paese. La lotta di Pomigliano è la nostra lotta. Ed è che con piacere che proprio mentre scrivo queste righe vedo che il compagno Ferrero ha aggiunto un nuovo post sulla sua bacheca in Facebook che dice: IL DIAVOLO FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI. NONOSTANTE IL CLIMA MAFIOSO DI INTIMIDAZIONE I LAVORATORI DELLA FIAT DI POMIGLIANO HANNO TENUTO LA SCHIENA DRITTA. GRAZIE A NOME DI TUTTI I LAVORATORI ITALIANI.

La battaglia vera comincia ora… e comunque vada niente sarà più uguale a prima. Dobbiamo crederci fino in fondo. Chissà che non sia la volta buona.

Source: FalceMartello (Italy)