“Occupy Wall Street” scuote l’impero americano

Il movimento “Occupy Wall street” è entrato come un fiume in piena sulla scena della politica americana. Non dà segni di stanchezza: mercoledì scorso 15mila persone sono scese in piazza per le strade di New York. Non conosce confini, ispirandosi alle rivoluzioni arabe ed ai movimenti di massa in Grecia e Spagna. Costringe presidenti come Barack Obama a misurarsi con esso, quando ammette che tale movimento esprime la “frustrazione di tutti gli americani”. Una frustrazione che è aumentata durante il suo fallimentare mandato. “Occupy Wall Street” è  un movimento dalle potenzialità rivoluzionarie che mette in discussione lo stesso cuore geografico del sistema capitalista, volendo occupare la più importante piazza borsistica mondiale.

[Pubblichiamo su questo movimento la traduzione  dell’editoriale del numero in corso del mensile marxista “Socialist Appeal”]

“Ne abbiamo abbastanza! Siamo il 99%”. Questa è la convinzione espressa da questi giovani coraggiosi che stanno occupando Frredom plaza a New york, a pochi passi da Wall Street. É la stessa convinzione di milioni se non miliardi di persone in tutto il mondo. Basta con la disoccupazione! Basta con la guerra! Basta con la povertà! Basta con la discriminazione!

Viviamo nell’era più ricca e più produttiva della storia dell’umanità, ma a causa dei limiti assurdi, irrazionali ed inumani posti dal capitalismo non ci sono abbastanza posti di lavoro, case o cibo da mangiare. Se questo è stata sempre la triste realtà per molta gente per centinaia di milioni di persone attorno al pianeta, oggi è arrivata nell’epicentro mondiale della speculazione, della cupidigia e dell’indifferenza per le sofferenze umane: Wall Street.

E si diffonde. Le occupazioni si sono diffuse a numerose città in tutti gli Stati uniti, ispirate dalla reciproca eroica resistenza ai tagli e ai programmi di austerità che sono imposti sulle nostre teste. È l’inizio di un nuovo risveglio, di una nuova presa di coscienza, e ancora più importante di un desiderio di agire, di fare veramente qualcosa. Migliaia di giovani, un tempo definiti apatici e apolitici, hanno oggi aperto gli occhi e l’immaginazione a milioni di persone.

Nelle parole di Bob Masters del  “Communications workers of America”  “Occupy Wall Street ha catturato lo spirito del nostro tempo. Questa è Madison (la capitale del Wisconsin teatro di manifestazioni di massa all'inizio del 2011, ndt). Questo è Il Cairo.  Questa è la Tunisia”.

Era dal movimento antiglobalizzazione del 1999-2000 che non vedevamo una tale convergenza di lotte. L’11 settembre, il Patriot Act, un decennio di guerre e le illusioni nella presidenza democratica avevano condotto sottotraccia la rabbia e l’insoddisfazione. Oggi tutto ciò sta tornando con grande forza e a un livello superiore. Non è più la globalizzazione, in astratto,  il nemico. Oggi quest’ultimo è più chiaro che mai: il dominio delle multinazionali sull’economia e la politica. Sempre più gente sta cominciando a capire che la radice di tutte questi problemi è solo una: il capitalismo.

Il movimento #occupy deve ancora coagularsi intorno a un programma e una direzione chiara.  Data la mancanza di un intervento audace da parte dei sindacati e l’assenza di un partito operaio di massa in questo paese ciò non dovrebbe sorprendere. Ma gli avvenimenti e l’esperienza aiuteranno i settori più avanzati a trarre conclusioni rivoluzionarie. Fino ad ora il movimento non è riuscito ad attirare le fasce più larghe della classe operaia organizzata, ma è sempre così che cominciano sempre i movimenti rivoluzionari di massa. I giovani sono sempre il “barometro della società”, i primi a mobilitarsi. Ma i problemi che affronta la classe operaia non possono essere risolti attraverso semplici riforme o con un rimaneggiamento del sistema. Contro tutte le evidenze le masse speravano che la crisi sarebbe passata, ma è solo peggiorata. Prima o poi anche loro dovranno entrare in lotta e quando lo faranno, cambierà tutta la dinamica del conflitto.

Molti sindacati hanno già dichiarato la propria solidarietà con gli occupanti di Wall Street. Gli attestati di solidarietà sono importanti ma quello di cui più c’è bisogno è la mobilitazione attiva. I lavoratori sindacalizzati a New York sono un milione e duecentomila e potrebbero chiudere la borsa di Wall Street in un battito di ciglia, tagliando la luce e le linee telefoniche, cessando di raccogliere i rifiuti e di fare le pulizie, bloccando i trasporti e chiamando a raccolta decine di migliaia di lavoratori per occupare fisicamente Manhattan.

Il movimento #occupy deve rivolgersi ai sindacati e cercare di diffondersi ad ogni posto di lavoro, scuola e quartiere. Da parte loro i sindacati devono prendere l’iniziativa e rivolgersi a loro volta al movimento per rafforzarlo con la forza numerica e organizzativa.

Tre anni fa molti di coloro che oggi sono in piazza avevano creduto alle promesse di cambiamento di Obama. Oggi stanno prendendo il destino nelle proprie mani. Le presidenziali sono fra soli 12 mesi e gli americani sono frustrati ed arrabbiati: il 90% di loro pensa che l’economia sia marcia, una cifra record, mentre il governo ha il tasso di popolarità più basso mai registrato. Solo il 15% degli americani credono infatti che l’operato del governo Obama sia corretto, mentre un anno fa la percentuale era del 25%. Nonostante ciò, chiedono a gran voce che quello stesso governo costruisca posti di lavoro, migliori la sanità e l’istruzione e ricostruisca le infrastrutture del paese, ormai a pezzi.

A prima vista sembrerebbe una contraddizione ben poco comprensibile, ma se si va più a fondo, dimostra che gli americani stanno ricercando una soluzione collettiva ai loro problemi,. Tuttavia non credono che sarà questo governo o queste istituzioni a risolverli, ed hanno ragione! Sia i repubblicani che i democratici sono al soldo delle grandi multinazionali, e sono queste entità non elette e che non devono rendere conto a nessuno che determinano le scelte economiche e del governo: decidono chi lavorerà, chi avrà una casa, chi può accedere ai servizi sanitari e all’istruzione, eccetera.

L’elettorato  vuole che “se ne vadano via tutti”. Ma chi li deve sostituire? Il governo o difende gli interessi dei lavoratori oppure difende quelli dei capitalisti. O usa il suo potere e le risorse per migliorare il tenore di vita della maggioranza o li utilizzerà per arrichire ancora di più i possidenti.

Non importa quali siano le “buone intenzioni” che un politico possa avere, è come agisce realmente che conta. Come dice un proverbio inglese, la prova del budino sta nel mangiarlo. Le amministrazioni democratici e repubblicane offrono solo variazioni delle identiche politiche procapitaliste. Anche se supponiamo che ci siamo “buoni democratici” o addirittura “buoni repubblicani” il fatto che non può essere oggetto di discussione sia questo: restando all’interno di questi due partiti non andranno da nessuna parte.

Finora il movimento operaio non ha offerto una vera guida, sia in piazza che in politica, ma questo può e dovrà cambiare. La pressione sta crescendo e l’ambiente a favore della creazione di un partito laburista sta prendendo piede  fra la base dei sindacati: infatti, malgrado il nuovo “piano per il lavoro” proposto da Obama è stato fatto proprio dai vertici sindacali, la base sa che non può bastare e che non potrà invertire la progressiva diminuzione di posti di lavoro a tempo indeterminato in aziende sindacalizzate. Negli ultimi dieci anni, il reddito dell’1% più ricco della società americana è cresciuto del 18% mentre quello degli operai indistriali maschi è crollato del 12%. Il cosiddetto “sogno americano” è crollato in mille pezzi.

Dopo la crisi del 2008 ci è stato detto che la ripresa economica era dietro l’angolo. La ripresa c’è stata, ma solo per i ricchi. In Grecia, Spagna, Tuinisia ed Egitto l’esplosione sociale è arrivata ben prima. Dato che condizioni simili portano a risultati simili e gli attacchi che i lavoratori e i giovani stanno subendo sono fondamentalmente gli stessi, la crisi del capitalismo ha portato la lotta di classe direttamente qui, nel “ventre della bestia”.

La Lega internazionale dei lavoratori (Workers International League, Wil) accoglie questo movimento a braccia aperte. Vi abbiamo partecipato fin dall’inizio in diverse città. Il movimento rappresenta l’inizio dell’inizio, dato che le masse dei lavoratori non sono ancora entrate sulla scena della storia e preso il destino nelle proprie mano, cosa che faranno certamente nel prossimo periodo. Noi della Wil siamo fiduciosi che questi piccoli semi cresceranno e si trasformeranno nella grande quercia della rivoluzione, che spazzerà via il capitalismo una volta per tutte. Il nostro compito è quello di collegare le idee del marxismo a questo movimento, che ha fra le sue fila molte delle avanguardie della futura rivoluzione socialista.

Contatta la Workers International League e unisciti a noi nella lotta per un mondo migliore!

Translation: FalceMartello (Italy)