Mali - Le avventure pericolose di Hollande

Hollande ha deciso di mostrare i muscoli. Sulla base della “minaccia del terrorismo islamico” ha già dispiegato 1700 soldati in Mali, mentre altri ottocento sono attesi a giorni.

La "comunità internazionale" ha approvato in maniera unanime e generalizzata l’intervento.

Gli Usa, la Gran Bretagna e l’Italia hanno già dichiarato che forniranno appoggio logistico all’intervento francese: il ministro Terzi ha garantito il supporto aereo delle Forze armate italiane e l’uso illimitato delle basi sul territorio del Belpaese. Bersani, totalmente inserito nella parte di futuro premier, approva totalmente il coinvolgimento dell’Italia.

Naturalmente il presidente francese spiega che il suo paese “non ha interessi in Mali” e che l’azione è “esclusivamente al servizio della pace”. Ma è una foglia di fico molto piccola che copre in maniera piuttosto ridicola quello che è un intervento imperialista vero e proprio per difendere gli interessi d’Oltralpe, vecchia potenza coloniale.

Il Mali è devastato da oltre un anno da una guerra civile. La popolazione tuareg ha un movimento storico di liberazione nazionale, l’Mnla che da decenni lotta contro l’autorità centrale di Bamako. Alla fine del 2011 hanno stretto un’alleanza con tre gruppi fondamentalisti: Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), Ansar el Din e il Movimento per l’unicità e la Jihad nell’africa dell’Ovest (Mujao). A marzo e aprile hanno occupato il Nord del Mali e le sue principali città – Kidal, Gao, Niafunke e Timbuctu. Un accordo temporaneo tra le milizie tuareg e il governo centrale nella primavera scorsa aveva dato un po’ di respiro al regime, ma gli "uomini blu" sono stati presto sopraffatti dai jihadisti di al-Qaeda. La minaccia dei circa quattromila combattenti jihadisti, bene armati e molto più decisi e agguerriti dell’esercito maliano, rendeva la situazione troppo precaria e, per gli interessi francesi, insostenibile.

Così l’intervento militare delle forze dell’Ecowas (Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale), previsto per il prossimo settembre e sponsorizzato fortemente anche da Prodi, inviato speciale dell’Onu nel Sahel, è stato anticipato da Parigi con un atto d’imperio. Dopo un brevissimo momento di imbarazzo, le Nazioni Unite hanno applaudito al colpo di mano.

Il Mali è un paese chiave, al centro dell’Africa occidentale e insostituibile via di comunicazione per il Niger, paese dove si estrae praticamente tutto l’uranio che serve alle centrali nucleari francesi. Ci sono interessi ben precisi in gioco nell’area, e l’ascesa del fondamentalismo islamico non è che un pretesto.

La crisi dell’economia capitalista e la ricerca spasmodica di nuovi mercati e regioni da sfruttare portano le principali potenze a fronteggiarsi nei quattro lati del pianeta. La politica espansiva della Cina nel continente africano è stata notata con crescente preoccupazione dalle potenze coloniali vecchie (Francia e Inghilterra) e nuove (Usa) che se in difficoltà sul terreno degli investimenti nei confronti di Pechino, decidono di competere sul terreno a loro più favorevole, cioè quello militare.

Prima con Sarkozy e poi con il governo socialista, Parigi negli ultimi anni ha sviluppato una politica sempre più interventista nei confronti dei paesi della “Francafrique”. Ricordiamo a riguardo l’intervento dei reparti speciali francesi in Costa d’Avorio nell’aprile 2011, Quattro giorni di assalti con armi pesanti e missili al palazzo presidenziale, nel cuore di Abidjan, che portarono all'arresto di Gbagbo, l’ex presidente e alla risoluzione di un conflitto sanguinoso che lo contrapponeva a Ouattarà, ex direttore generale aggiunto del Fmi e protetto di Francia e Ue.

Ancora più noto è il ruolo svolto dalla Francia, insieme alle altre potenze europee, nella cacciata di Gheddafi. Dopo l’iniziale sorpresa e timore per lo scoppio delle rivoluzioni arabe, l’imperialismo francese e britannico ha cercato di volgere a proprio favore la situazione, almeno in Libia.

Con la fine del colonnello pareva cosa fatta: ma gli scontri e l’instabilità che regnano fra Tripoli e Bengasi hanno dimostrato che l’intervento occidentale, lungi dal pacificare il paese, lo hanno completamente destabilizzato. E gli effetti della destabilizzazione si sono fatti sentire anche nei paesi vicini. L’occidente ha sostenuto, finanziato e rifornito degli armamenti più moderni le milizie fondamentaliste in chiave anti Gheddafi. La loro vittoria è servita da esempio. Uno dei gruppi ribelli più importanti in Mali, al Qaeda nel Maghreb islamico, ha un’alleanza stretta con il gruppo dei combattenti islamici libici (che recentemente ha cambiato la denominazione in Movimento islamico libico) che annovera fra i suoi principali leader Abdelhakim Belhadj, capo del Consiglio militare di Tripoli dopo la sua “liberazione”.

Grazie all’intervento della Nato, la Libia si è dunque tramutata una delle basi principali per il fondamentalismo. Ma questo alle multinazionali del petrolio (compresa l’Eni) finora non interessa molto, perchè i loro affari non sono mai andati così bene.

Ma in Mali, sostiene Hollande, l’intervento militare serve a “difendere la democrazia”. Peccato che nel marzo del 2012 ci sia stato un colpo di stato. A Bamako chi controlla la situazione è una giunta militare guidata dal capitano Amadou Haya Sanogo, che ha sospeso la costituzione e i principali diritti democratici e nomina e rimuove i presidenti della repubblica a piacimento.

Sanogo è stato addestrato negli Stati uniti, e quindi gli era stato concesso un margine di fiducia, che però non ha saputo ricambiare, non riuscendo a fermare l’avanzata dei ribelli. Da qui l’aiuto “disinteressato”della Francia democratica.

L’azione del governo Hollande ha gettato in grande difficoltà il Front de Gauche. Nel dibattito parlamentare tenutosi il 16 gennaio, Francois Asensi, deputato del FdG, ha sottolineato la gravità della crisi e “la necessità di un intervento militare internazionale per risolverla”. E inoltre, "Abbandonare il popolo del Mali alla barbarie dei fanatici sarebbe stato un errore politico e una colpa morale." L’unica critica che ha rivolto al governo è stata l’assenza di un dibattito parlamentare prima di prendere una decisione. L’Humanitè (quotidiano del Pcf) ha pubblicato articoli che vanno nella stessa linea.

Ci troviamo ancora una volta davanti all’inganno della “guerra umanitaria” per giustificare un’aggressione che non risolverà alcuno dei problemi. Una guerra a cui ci si deve opporre, senza se e senza ma. C’è chi a sinistra anche in Italia chiede una forza panafricana per dirimere il conflitto maliano. Il problema non è tanto la nazionalità delle truppe impiegate, ma quali interessi difendano.

Un intervento sotto la guida dell’Ecowas e l’egida Onu sarebbe una guerra per procura. È una soluzione che piacerebbe molto anche agli Usa che potrebbero indicare le truppe nigeriane (forza economica dominante nella regione) a capo del contingente, ma non porterebbe nulla di buono per le masse del Mali.

A una settimana dall’arrivo delle truppe di Parigi, quella che sembrava una passeggiata si sta rivelando molto più complicata. I ribelli non cedono e gli annunci di riconquista delle principali città da parte dei Francesi si rivelano spesso infondati.

Il sequestro di centinaia di ostaggi da parte di un gruppo fondamentalista nel Sahara algerino è solo un assaggio di quello che accadrà in futuro. I mass media occidentali si stupiscono della ferocia dei terroristi, ma le loro azioni non sono altro che l’altra faccia della brutalità utilizzata dalle truppe occidentali, nei quotidiani raid aerei che sconvolgono le città occupate dai ribelli.

Il sequestro trascina direttamente nel conflitto l’Algeria, la cui classe dominante avrebbe preferito, per la stabilità interna del paese, prendere più tempo per l’azione militare. Tuttavia, dimostrando la propria totale sudditanza alla vecchia potenza coloniale, ha prontamente concesso il  transito del proprio spazio aereo ai jet francesi.

L’intervento francese aggraverà dunque la situazione in tutta la regione e aumenterà il risentimento da parte della popolazione maliana nei confronti dell’Occidente. L’imperialismo, nella sua fase senile, è come un elefante in una cristalleria: distrugge tutto quello che incontra. Che se ne stiano avvantaggiando soprattutto le forze fondamentaliste è una tragedia, che tuttavia ha le sue ragioni profonde nel fallimento della sinistra europea (ed africana) nel realizzare un'alternativa alla barbarie inflitta dal capitalismo alle masse africane.

Il sogno che aveva contraddistinto tutte le leadership africane emerse dalle rivoluzioni coloniali degli anni sessanta, quello di un cammino felice verso il progresso, si è rivelato un incubo. Un’illusione cullata dalle teorie staliniane che parlavano della possibilità di un lungo sviluppo della democrazia capitalista sulla base dell’alleanza con le “borghesie progressiste” post coloniali.

Non c’è un solo paese dove questo si sia avverato, col tempo tutte le direzioni dei movimenti di liberazione o sono state annientate o si sono convertite a lacchè dell’imperialismo. Oggi l’unica alternativa alla guerra e alla miseria generalizzata è un programma anticapitalista che, collegando le mobilitazioni antimperialiste alle rivoluzione arabe e alle lotte della classe operaia nei paesi industriali chiave del continente come la Nigeria e il Sudafrica, delinei all’ordine del giorno una nuova prospettiva, quella socialista.

Source: Falce Martello (Italy)