Lampedusa: la tragedia e il grande imbroglio

L’ultima tragedia di Lampedusa, per le proporzioni e le modalità del disastro, ha provocato un generale senso di indignazione oltre alle parole ipocrite e ai piagnistei vergognosi della classe dirigente della politica italiana, vera complice e mandante di queste disgrazie.

Ma è purtroppo solo l’ultimo esito di una lunga scia di morti che si stima essere di 20mila vittime negli ultimi 25 anni, nel tratto di mare che separa le coste dell’Africa dall’Italia e dall’Europa. Il dato reale potrebbe però essere anche più consistente perché si basa unicamente su quanto emerge nella stampa internazionale.

L’invenzione della clandestinità

Nonostante le lacrime di coccodrillo abbondantemente versate dai rappresentanti del governo e dai parlamentari che lo sostengono, questi sono gli effetti di una lunga guerra iniziata proprio un ventennio fa e ingaggiata in modo bipartisan  dal centro-sinistra e dal centro-destra attraverso le varie leggi che hanno regolamentato l’immigrazione (Legge Martelli del 1990, L.Turco-Napolitano del 1998, L. Bossi-Fini del 2002, il “pacchetto sicurezza” del 2009 che ha introdotto il reato di immigrazione clandestina). In modo progressivamente sempre più aspro, pur essendo ispirati comunque alla stessa cultura e alla stessa logica di “respingimento” voluta dalle disposizioni dell’Unione Europea, questi provvedimenti legislativi hanno avuto l’effetto di creare un immenso esercito di migranti “irregolari”, “clandestini”, ovvero persone che proprio in virtù di queste leggi non posso dichiararsi sul territorio italiano. Si tratta di poco più di 300mila persone, nonostante la grancassa mediatica ci parli costantemente di invasione. Ma che ai fini dell’economia capitalista costituiscono una discreta risorsa di manodopera da impiegare nei campi del meridione e nelle piccole imprese del nord, in condizioni di vita e di lavoro schiavistiche e utilizzata come grimaldello per scardinare i diritti dei lavoratori, laddove, specie nell’agricoltura o nel tessile, il lavoro irregolare costituisce talvolta la norma e livella verso il basso le condizioni di tutti i lavoratori. Se, infatti, la classe dominante, attraverso i suoi giornali, tuona contro l’immigrazione clandestina, attraverso le sue leggi crea il fenomeno dell’immigrazione clandestina e attraverso l’immissione nel luoghi di lavoro di persone prive di diritti e quindi maggiormente “competitive”, perché meglio sfruttabili, realizza maggior profitto, scardina i diritti sindacali e prepara il terreno all’ideologia razzista, mettendo i lavoratori italiani contro i lavoratori migranti.

Naturalmente il reato di immigrazione clandestina e di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, serve ad arginare solo lievemente il fenomeno, a controllarlo cosi come si controlla un rubinetto d’acqua a seconda delle necessità del sistema, ma la sua funzione è innanzitutto ideologica perché serve a costruire il nemico, il colpevole, il capro espiatorio. Tra le cause dell’ultima tragedia di Lampedusa, oltre ovviamente alla negazione del diritto alla libera circolazione, vi è anche il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Pare infatti che diverse imbarcazioni abbiano evitato di avvicinarsi al “barcone” e prestarne i soccorsi per evitare l’accusa di reato.

Tutte le persone dell’ultima strage erano inoltre eritrei e somali, ovvero tutte persone con diritto a chiedere rifugio politico e protezione internazionale, in fuga da guerre, persecuzioni etniche, politiche, religiose, di genere. In Italia i rifugiati sono poco più di 60mila persone, la gran parte provenienti da soli 5 paesi: Afghanistan, Somalia, Iraq, Siria, Sudan; tutti teatri di guerre provocate direttamente o per procura dalle potenze imperialiste.

I respingimenti

La Legge Bossi-Fini incentra le politiche di contrasto dell’immigrazione “clandestina” sui respingimenti e gli accordi bilaterali, soprattutto con la Libia, utilizzati da tutti i governi siano di destra, di centro-sinistra o tecnici. Circa 1miliardo e 600 milioni di euro si calcola siano stati spesi a partire dal 2005 per le politiche di respingimento. A questi euro vanno aggiunti quelli serviti a costruire e mantenere le  carceri libiche, così come stabilito in base agli accordi stipulati tra il governo Berlusconi e il governo di Gheddafi nel 2009 e ribaditi lo scorso anno dal governo Monti con il nuovo governo libico di transizione. Accordi che all’indomani della tragedia di Lampedusa Alfano ha suggerito di riprendere e ristabilire, così come Napolitano, l’inventore assieme alla Turco della “clandestinità” dei migranti (stabilita dalla loro legge del 1998), ha proposto di potenziare Frontex, la missione militare di pattugliamento delle frontiere nell’ambito della quale sono avvenuti negli anni passati i respingimenti verso la Libia. Appaiono in tutta la loro ipocrisia le parole del Presidente della Repubblica che da buona dama di carità urla “mai più sciagure come queste” per poi tornare a proporre che centinaia di milioni di euro siano sistematicamente tagliati allo stato sociale per andare a finanziare luoghi di detenzione dove si praticano torture, stupri, omicidi.

La disperazione dei rifugiati, un grosso affare per la borghesia

Sulla pelle di questa gente che arriva a pagare anche 15.000 dollari, vendendo tutto ciò che ha, per attraversare il deserto, giungere in Libia e conoscere la violenza della tortura e del carcere, rischiare la vita nel Mediterraneo, lo Stato Italiano è stato inoltre in grado di lucrare per consentire a diverse imprese di poter realizzare grossi profitti. E’ accaduto con la cosiddetta Emergenza Nord Africa seguita nel 2011 allo scoppio della guerra contro la Libia, quando Gheddafi svuotò le carceri costruite con i soldi italiani e organizzò la deportazione collettiva verso la Penisola di circa 60mila migranti. Di questi, molti partirono dall’Italia verso altri paesi europei, mentre 20mila si fermarono e l’allora Ministro dell’Interno, il leghista Maroni, decise di affidare alla Protezione Civile il coordinamento di un’accoglienza appaltata e privatizzata che, in assenza di procedure e controlli, attribuiva ad ogni impresa, cooperativa, struttura alberghiera che manifestava il proprio interesse, circa 1.400 euro al mese per ogni rifugiato ospitato. In moltissime occasioni, documentate da varie denunce e report giornalistici, i rifugiati venivano stipati in baracche ed appartamenti fatiscenti, privi di assistenza sanitaria, servizi di mediazione, interventi di integrazione.

L’Emergenza Nord Africa è terminata lo scorso febbraio  lasciando molti di questi rifugiati esattamente come al punto di partenza e vari imprenditori con le tasche gonfie di denaro pubblico: un affare di 1miliardo e mezzo di euro a carico dello stato sociale e sulla pelle di persone che avrebbero avuto diritto ad una politica di protezione e di integrazione sociale. Naturalmente, mentre il loro ministro aveva garantito laute rendite a vari amici imprenditori, le sezioni locali della Lega nord, durante i mesi del governo Monti, non si sono fatte scrupolo di far partire una schifosa e menzognera campagna diretta contro i profughi a cui lo Stato avrebbe garantito un buono di 46 euro al giorno. Anche in questo caso, l’ideologia razzista, ribaltando i termini dell’accaduto, è servita ad occultare  le responsabilità e i crimini della classe dominante.

Una politica anti-razzista è una politica di classe

La popolarità che il discorso razzista è riuscito a conquistarsi fra le masse popolari in questi anni di lunga guerra contro l’immigrazione, ha quindi sistematicamente rovesciato la realtà. Non è l’immigrato un “concorrente” del lavoratore italiano nei posti di lavoro, ma sono le esigenze di sfruttamento del sistema capitalista che creano la figura del “clandestino” ricattabile e ricattatore. Non è l’immigrato che si accaparra le risorse pubbliche di uno stato sociale sempre più residuale, ma la borghesia che taglia istruzione, sanità e servizi anche sfruttando le “emergenze” migratorie (spesso provocate dalle guerre volute dalla stessa borghesia) e facendone grossi guadagni.

Solo una politica di classe condotta con audacia da un partito che si ponga l’obiettivo di ricostruire la sinistra a partire dai lavoratori, può sconfiggere il razzismo e farla finita con l’immane tragedia delle morti nel Mediterraneo (e nel Sahara). Per questo sono del tutto velleitarie le soluzioni avanzate a sinistra in questi giorni. Non serve a nulla chiedere una riforma della Bossi-Fini che preveda magari la cancellazione del reato di clandestinità: una misura cosmetica che lascerebbe tutto come prima, peraltro dando legittimità ad una delle leggi più odiose e ingiuste della destra italiana. Né tanto meno può essere sufficiente chiedere l’apertura di un canale umanitario per i rifugiati perché, per quanto questo sia necessario, è estremamente parziale giacché non cambierebbero di una virgola le condizioni di sfruttamento e di marginalità dell’immigrato in Italia. 

E’ invece necessaria una politica che partendo dalla rivendicazione dall’abolizione di tutte le leggi sull’immigrazione e dal diritto alla libera circolazione giunga a porre anche il tema della nazionalizzazione sotto controllo operaio delle aziende che chiudono, licenziano o sfruttano il lavoro nero, come elemento di riunificazione della classe lavoratrice. Un percorso che pone le sue difficoltà, ma che come mostrano i successi delle lotte dei lavoratori immigrati della logistica, è un percorso possibile, in grado di vincere ed estendere i diritti. Occorre però generalizzare queste lotte e farle diventare la politica di una sinistra di classe. 

By FalceMartello: Lampedusa: la tragedia e il grande imbroglio