La vittoria di Evo, delle nazionalizzazioni e di un MAS differente

Evo Morales ha stravinto le elezioni nazionali del 12 ottobre in Bolivia. Il quotidiano inglese The Guardian, un tempo testata vicina ai laburisti oggi di orientamento Liberal Democratico, ha pubblicato un articolo dal titolo “Evo Morales dimostra che il socialismo non distrugge l’economia”. Pablo Iglesias di PODEMOS e altri dirigenti internazionali dichiarano di prendere Morales a modello, per essere riuscito a “disciplinare i capitali finanziari”.

Il dirigente contadino che ha catapultato la periferica Bolivia al centro del dibattito internazionale sembara mettere d’accordo tutti: ma è proprio così?

Come marxisti boliviani abbiamo votato e fatto appello al voto per Evo Morales e il MAS non per difendere un risultato largamente scontato, ma per concentrare le forze nella battaglia contro la collaborazione di classe fuori e dentro la arena del partito nato dalle lotte popolari ed oggi ancor di più aperto, in modo anche spregiudicato, agli avversari latifondisti e borghesi di quelle lotte. I risultati elettorali ci sembrano dar ragione agli obiettivi della nostra battaglia.

Elementi della vittoria

In due piccole località le elezioni saranno ripetute, ma la quantità di elettori che ne sarà coinvolta (circa 10.000) è ininfluente sul risultato finale. Il MAS conferma il controllo dei due terzi del parlamento, con 88 deputati su 130 e 25 senatori su 36. Dei 63 collegi uninominali che suddividono il territorio, il MAS ne conquista 49, estendendo la sua presenza praticamente in ognuna delle 9 regioni boliviane. Evo Morales ottiene 3.053.846 voti, 201.870 in più che nelle elezioni del 2009, e che servono ad eleggere i restanti 39 deputati e i 25 senatori (uno in meno rispetto al 2009) su liste bloccate collegate al voto al presidente.

I voti validi in queste elezioni sono stati l’82,34% dei poco meno di 6 milioni di aventi diritto. Un totale di 970.706 elettori iscritti al voto – che in Bolivia è obbligatorio – non si sono recati ai seggi o non hanno espresso nessuna preferenza tra i candidati a presidente. È una percentuale doppia rispetto al 2009. Inoltre all’incirca 854.000 elettori che hanno votato Evo Morales per la presidenza dello Stato, hanno lasciato in bianco la casella relativa all’elezione dei deputati. Anche se si tratta di circa il 15% dell’elettorato, è una cifra significativamente inferiore tanto al 2005, quando i voti “incrociati” furono 909.529, che al 2009, quando si sfiorarono 1,2 milioni di preferenze al Presidente non confermate nel voto al partito. Soprattutto nella stragrande maggioranza dei casi questi voti non confermati non impediscono al MAS di eleggere deputati. Un segnale chiaro di un partito molto più radicato e strutturato sul territorio, ma anche più diviso al suo interno.

Nonostante l’incremento dei voti assoluti in quasi tutte le regioni, il MAS arretra in termini percentuali a livello nazionale e, a livello regionale, avanza più o meno significativamente solo nelle regioni orientali un tempo feudo dell’opposizione: Santa Cruz (+8%), Pando (+7%) e Beni (+3%), l’unica dove la destra ha vinto. Questo si spiega per l’aumento di poco meno di ottocentomila nuovi elettori, principalmente giovani, ed anche per la perdita di 124.633 voti nelle tre regioni andine un tempo bastione del MAS: La Paz, Oruro e Potosí, regione quest’ultima dove i circa 20 mila voti persi permettono alla destra di eleggere per la prima volta in questi anni 2 deputati ed un senatore. In quest’ultimo caso, quello potosino, l’aver lasciato sul terreno il 9% delle preferenze (20.000 voti) si deve all’alleanza con la principale forza politica dell’opposizione regionale, all’elevato livello di astensionismo (21%, il più alto del paese), ed al ciclo di lotte regionali che hanno smosso la società locale senza incontrare nel MAS un canale di organizzazione.

Il “nuovo MAS” e il prossimo governo

Percentuali di astensionismo al di sopra del 30%, particolarmente per l’elezione di deputati, si sono registrate nelle principali aree rurali e nei distretti minerari del paese. Contrariamente a quanto è successo finora, la forza principale del MAS è rappresentata dal voto urbano. Prendendo a riferimento i voti uninominali si capisce che più di un terzo dell’elettorato Masista è concentrato nelle 4 principali città del paese, che sono, nell’ordine di grandezza, Santa Cruz, La Paz, El Alto e Cochabamba, dove oltretutto le percentuali di astensionismo sono invece molto al di sotto della media nazionale. Ma questa è solo la schiuma “pulita” sulla superficie di cambiamenti che agiscono ancora in larga misura in profondità.

Il gruppo di eletti del MAS vedrà per la prima volta la presenza di un nucleo di circa 8 tra deputati e senatori presi dalle fila del gruppo dirigente della Centrale Operaia Boliviana (COB), prodotto della “alleanza strategica” tra il MAS e la confederazione sindacale unica dei lavoratori boliviani. Dietro di loro una schiera di industriali, latifondisti vecchi e nuovi, e transformisti della politica, la cui presenza in qualche caso, quello potosino per esempio, è risultata negativamente decisiva, e che in generale spiega la riluttanza al voto uninominale della base operaia e contadina. Questa apertura del partito a somme che in generale sottraggono, in termini assoluti e percentuali sul territorio nazionale, rispondono a quello che sarà l’asse portante della politica del governo.

La lotta di classe attuale

Superata la fase di lotta politica aspra per la propria affermazione e il consolidamento delle nazionalizzazioni, adesso il governo, forte di una crescita economica sostenuta alla quale contribuisce, è orientato piuttosto a garantire lo sviluppo garantendo e regolando i profitti privati. A marzo di quest’anno le principali organizzazioni sindacali contadine riunite in congresso approvarono un programma radicale che chiedeva “l’espropriazione definitiva del latifondo, la ripartizione di terre in proprietà collettiva alle comunità, la dichiarazione del latifondismo come reato penale, garanzie sindacali agli operai agricoli”. Negli stessi giorni invece il governo firmava decreti che, tra l’altro, stabilizzano i possedimenti attuali dei latifondisti, ma anche i futuri, incentivandoli.

Allo stesso tempo mentre si discutono leggi più dure contro i licenziamenti per motivi sindacali, la riduzione dei prezzi internazionali dei minerali provoca una prima ondata di licenziamenti in questo settore, dove le multinazionali la fanno da padrone, in un contesto nel quale diritti salariali e sindacali sono aggirati con un ricorso estremo alla precarietà, che coinvolge più della metà dei lavoratori delle industrie e imprese private. La “alleanza strategica” della COB con il MAS ha di fatto impedito alla classe operaia organizzata di giocare qualsiasi ruolo in tutto questo, tanto nella lotta della base contadina contro il consolidamento di cordate di potere locale basate sull’alleanza tra dirigenti di partito, latifondisti e borghesi, come più in generale sulla liquidazione della riforma agraria e la lotta per la stabilità lavorativa. Ed è questo che rivela il carattere corporativo di questa alleanza e quello strumentale della sua fraseologia radicale sulla “democrazia popolare”.

Il modello economico

La Bolivia è il paese con le percentuali di crescita economica più alte della regione, sostenute dall’aumento dei prezzi delle materie prime e lo sviluppo del mercato interno. Le leve dello Stato sono state in questo determinanti, non solo nella sfera della redistribuzione della richezza (oltretutto combinata con politiche monetarie che, per contenere l’inflazione, hanno favorito anche la speculazione finanziaria sui titoli del debito pubblico, moltiplicando come non mai i profitti delle banche) ma anche in quella della produzione. Quelli pubblici rappresentano i due terzi degli investimenti del paese, finanziati con la nazionalizzazione o l’aumento della tassazione nei settori strategici dell’economia boliviana. Questo spiega perchè oggi le nazionalizzazioni abbiano conquistato anche i ceti medi urbani dando un carattere avanzato alla lotta per la loro estensione sulla base dell’amministrazione di operai e contadini.

Ma lo sbandierato quanto poco esportabile modello boliviano, specie dove la crisi colpisce i conti pubblici, non si basa solo su questo. Dal punto di vista politico ciò che permette al governo di mettere tutti d’accordo è che la funzione redistributiva del reddito e degli investimenti garantisce al tempo stesso anche i profitti, anche quando li “disciplina”, per utilizzare le parole di Iglesias. Così per le banche è possibile accettare le leggi che impongono una riduzione dei tassi di interesse su prestiti e mutui e l’obbligo di destinare una parte dei profitti a prestiti sociali per la casa o la produzione, perchè comunque stanno guadagnando più di quanto guadagnassero prima dell’avvento del MAS. Stesso discorso per le multinazionali, persino quelle completamente espropriate e lautamente indennizzate.

Le prospettive

Per sradicare la povertà, garantire diritti sociali e un tenore di vita all’altezza delle possibilità che la scienza moderna permette, Bolivia avrebbe bisogno di tassi di crescita di almeno il 6% per qualche decennio. Lo strumento pubblico per favorire questa crescita è ovviamente limitato non solo dalla crisi internazionale del capitalismo ed i suoi effetti sulle brusche oscillazioni dei prezzi delle materie prime, ma anche e in primo luogo da contraddizioni proprie. Anche uno Stato che socializzi parte dei profitti, concentrandoli nello sforzo di modernizzare il tessuto produttivo, ha bisogno, in regime di mercato, di chi investa, di chi materialmente possa introdurre migliorie nella produzione agricola, di chi costruisca case e chi apra fabbriche, uffici ecc., così come di funzionari che diano esecuzione ai piani di spesa pubblica dai quali dipende la crescita economica. Ma un governo come quello del MAS ha bisogno, al contrario, del sostegno di chi ha lotta per avere terra da coltivare, stabilità lavorativa, alloggi ecc.

La destra, ed anche il grosso dei gruppi settari, sperano in fondo che una catastrofe economica rompa gli equilibri sociali e spinga il governo alle corde e allo stesso tempo apra gli occhi dei lavoratori, dei ceti medi e dei contadini. Ma il punto è che anche in una situazione delle più favorevoli, e con un governo con una disponibilità economica garantita dalla combinazione tra investimenti e l’austerità del pareggio di bilancio che gli permettono far fronte a effetti di breve durata sui prezzi delle materie prime, le aperture a latifondisti, oppositori e borghesi agiscono sul corpo del partito, ne modificano i referenti sviluppando tensioni e resistenze.

Per una sinistra anticapitalista quello boliviano, nonostante le sue profonde riforme sociali (nazionalizzazioni, diminuzione dell’età pensionabile ecc.) non può essere preso a modello assoluto, per le condizioni particolari che gli hanno permesso di brillare sullo scenario internazionale e le tendenze che oggi lo spingono alla ricostruzione in chiave moderna e nazionale del capitalismo. Per i marxisti in particolare in questa fase il compito non può che essere quello di lavorare per formare quadri e dotarli della prospettiva generale rivoluzionaria con la quale intervenire nei processi attuali e in quelli futuri.