La tangentopoli cilena rilancia le lotte studentesche e operaie

Il governo di Michelle Bachelet sta bruciando le opportunità concesse dai lavoratori e dagli studenti cileni. La crisi sta cominciando a farsi sentire con maggior forza troncando le speranze di riforma che la Nuova Maggioranza, dalla DC fino al Partito Comunista Cileno, aveva raccolto. Le mobilitazioni studentesche e operaie e la repressione riappaiono accompagnate da una polarizzazione crescente nella società cilena.

La tangentopoli cilena

La inchiesta sul gruppo PENTA, società che vanta un attivo di bilancio di circa 20 miliardi di dollari, ha svelato una vera e propria tangentopoli, con tanto di evasione fiscale, finanziamento illecito ai partiti, mazzette e corruzione. Ne sono coinvolti tutti i principali partiti cileni di maggioranza e opposizione, eccetto il PC. Da questo filone di indagine se ne sono sviluppati altri che coinvolgono anche esponenti di spicco della dittatura, come il genero di Pinochet. Parallelamente a questa, un’altra  inchiesta giudiziaria ha investito direttamente la famiglia di Bachelet, i cui figlio e nuora sono accusati di arrichirsi favorendo e speculando sul cambio d’uso dei terreni.

Il governo di Bachelet già affrontava molte critiche al suo programma di riforme. Gli scandali giudiziari non hanno fatto altro che buttare benzina su questo fuoco, rivelando la distanza sempre più profonda tra la piazza in lotta e il Palazzo. Bachelet ha reagito con un rimpasto di governo dal quale il suo esecutivo è uscito ancor più spostato a destra. Ha sostituito sei ministri, cambiato di dicastero a 3 e riconfermato i restanti 13. Il PS ha perso due ministeri, uno al PC (che ne ha ora due in totale) e uno alla DC. La destra della coalizione, DC e i social-liberisti del PPD, hanno la maggioranza del governo, tutti i dicasteri chiave e il controllo del comitato politico dell’esecutivo. Un riequilibrio interno alla maggioranza con obiettivi chiari: tranquillizzare la classe dominante cilena mentre si lega ancor di più la sinistra della coalizione alla stabilità del governo, in un contesto di mobilitazioni crescenti.

Questo spostamento dell’asse di governo è emerso con maggior chiarezza nel tradizionale e annuale messaggio al Parlamento del 21 maggio. Bachelet ha difeso le sue riforme senza il minimo accenno alle critiche di operai e studenti. Ha fatto appello a un “accordo politico ampio” per la riforma costituzionale e per ricostruire la legittimità istituzionale, lanciando un salvagente alla opposizione coinvolta negli scandali. Ha riconosciuto che “il processo di rallentamento della economia che era in incubazione dalla fine del 2012 è più profondo e prolungato di quanto sperassimo e può minacciare le nostre opportunità”, snocciolando poi una serie di misure rivolte a “rafforzare quei settori produttivi prioritari per il Cile... come il settore minerario, la pesca, l’agricoltura e il turismo”, tutti in mano di grandi monopoli privati, con la sola parziale eccezione della statale mineraria CODELCO.

In queste parole c’è la chiave di lettura della situazione attuale. Il modello di sviluppo basato sulla dipendenza dagli investimenti esteri è giunto al capolinea, lasciando il nervo scoperto di profonde disuguaglianze nel paese. Bachelet vorrebbe darsi un profilo riformista agli occhi delle masse mentre porta avanti i piani di austerità e pace sociale della borghesia cilena e il capitalismo finanziario mondiale. Ma le sue riforme hanno la crisi stampata addosso e risultano essere cavalli di Troia che combinano piccole concessioni alle lotte con la introduzione di peggioramenti per riportare la lotta di classe nei binari della legalità e in una zona di «comfort» per la classe dominante.

Le riforme di Bachelet

Il caso più eclatante e controverso è quello della riforma del lavoro. Il suo obiettivo dichiarato è quello di stabilire relazioni sindacali improntate sul dialogo, che vuol dire frenare il moltiplicarsi di scioperi “illegali” (in Cile lo sciopero deve essere autorizzato da organismi preposti alle dipendenze del Ministero del Lavoro). Così mentre si rafforza la contrattazione collettiva e si proibisce la assunzione di lavoratori in sostituzione degli scioperanti, la riforma impone che in tutti gli scioperi, in qualsiasi settore, i sindacati abbiano il dovere di “fornire il personale necessario per garantire i servizi minimi”. Il che vuol dire eliminare di fatto gli scioperi.

La tanto attesa riforma dell’istruzione continua a confrontarsi con i tentativi di un fronte ampio che va dalle opposizioni alla destra del governo, fino a settori del PS, che cerca con mille astuzie di far rientrare dalla finestra ciò che gli studenti cileni vorrebbero uscisse dalla porta: il profitto nell’istruzione. Gli stratagemmi che si introducono a questo fine sono i più vari, per esempio gli affitti che gli istituti e le università dovrebbero pagare alle fondazioni che li gestiscono. Tutto ciò ha solo spazientito il movimento studentesco cileno, in piedi senza tregua da anni in questa lotta.

La riforma tributaria che propone il governo eleva la carica impositiva sulle imprese dal 20 al 25 per cento e ridurrebbe quella sulle persone dal 40 al 35 per cento, esentando pero i redditi più alti dal pagamento di imposte. Oltretutto meccanismi di evasione tributaria come il FUT, che esenta dal pagamento delle tasse gli utili che restano a disposizione delle imprese, cesserebbero solo a partire del 2018. La stessa necessaria riforma del sistema elettorale, con la eliminazione del “binominale” che escludeva dal parlamento fino a un quarto dell’elettorato, è stata fatta per restituire il gioco parlamentare e la possibilità di nuove alleanze a partiti politici al più basso livello di consenso dalla fine della dittatura.

Crescendo di lotte: dagli studenti...

Dal 16 aprile centinaia di migliaia di studenti hanno rilanciato le mobilitazioni interrotte durante il primo anno di governo, per capire le intenzioni di Bachelet. Occupazioni, manifestazioni spontanee ed altre organizzate si susseguono in un crescendo continuo.

Il 14 di maggio una manifestazione nazionale ha riunito 150.000 tra studenti e professori nella sola Santiago. Nello stesso giorno la manifestazione a Valparaiso concludeva in una tragedia: due giovani Exequiel e Diego (quest’ultimo militante della gioventù comunista) sono assassinati dal propietario di una casa sulla quale attacchinavano dei manifesti. È un caso isolato, fatta eccezione per ciò che occorre nella zona indigena dei Mapuche, dove i latifondisti hanno lanciato una offensiva sulle comunità indigene. Ciononostante è la espressione della crescente e profonda polarizzazione nella società cilena.

Il 21 maggio, mentre Bachelet parlava in Parlamento, le manifestazioni studentesche in tutto il paese e particolarmente nei due principali centri di Santiago e Valparaiso sono state violentemente represse dai carabinieri. Di nuovo a Valparaiso un giovane studente universitario, Rodrigo, è scagliato a terra dal getto d’acqua di un corazzato dei carabinieri e lotta tra la vita e la morte. Il 28 centinaia di migliaia di studenti in tutto il paese sono scesi in strada a manifestare “per l’educazione e contro la repressione”. Le giornate di lotta che provocarono la sconfitta della destra dell’ex presidente Piñera sono tornate e a niente sembrano servire gli appelli del gruppo parlamentare di ex dirigenti universitari che chiedono a Bachelet di ascoltare gli studenti.

... ai lavoratori

Ma non sono solo gli studenti i protagonisti di questa fase. Gli scioperi generali convocati contro Piñera cominciarono a restituire al movimento operaio cileno la sicurezza e la dimensione della sua forza, una fiducia che la crisi e il dibattito sulla riforma elettorale ha rafforzato. Dalla metà di aprile ad oggi si conta una lista molto lunga di scioperi, dal carattere sempre più radicale. I doganieri sono in sciopero generale indefinito, qualcosa di poco comune in Cile. I professori lo saranno dal primo giugno, ma in qualche città questo sciopero è già iniziato da alcune settimane. Casi simili si registrano tra gli spazzini ed altri impiegati pubblici.

Questa combattività non si limita al pubblico impiego. Ci sono e ci sono stati scioperi di lavoratori della pesca, operai di fabbrica, minatori e portuari, questi ultimi settori decisivi per l’economia cilena. E sono significativi anche i molteplici scioperi in società di servizio: dalla multinazionale della ristorazione Starbucks, alla Brinks, Prosegur e via dicendo per vari supermercati. Significativi perchè si tratta di settori dove la precarietà si combina a pesanti condizioni lavorative e scarse tradizioni sindacali.

Quali prospettive

Ci sarebbe sufficiente materiale perchè la CUT convochi uno sciopero generale con l’obiettivo di unificare le lotte. Il gruppo dirigente della CUT segue invece la stessa strategia del PC: contenere le lotte all'interno di una logica di appoggio al governo, cercando di condizionarne le scelte. Tuttavia la pressione della base cresce e risulta sempre più chiaro che la missione di Bachelet è di salvare il regime in crisi con qualche tocco di cipria. In un determinato momento questo metterà il gruppo dirigente della CUT e del PC di fronte alle masse e alle loro mobilitazioni, aprendo alla crisi anche in queste organizzazioni.

Cresce nelle mobilitazioni l’idea di una Assemblea Costituente. La borghesia cilena è consapevole della necessità di concedere qualche cambiamento profondo per evirare che la situazione sfugga di mano, e sta già cercando di mettere il cappello sullo slogan della Costituente servendosi di portavoce come l’ex presidente e dirigente del PPD Ricardo Lagos. In questa fase l’obiettivo della Costituente potrebbe servire a unificare le lotte in una prospettiva comune, ma per evitare di fare barricate per conto della borghesia è necessario non solo rivendicarla ma riempirla di contenuti rivoluzionari che educhino i lavoratori e gli studenti alla lotta per i propri obiettivi. Una Costituente rivoluzionaria, convocata senza la mediazione dei partiti ma attraverso sindacati e organizzazioni studentesche e popolari e che serva a introdurre tutte quelle riforme democratiche ed economiche, come la rinazionalizzazione delle miniere, dei porti, delle risorse ittiche ecc., per far sì che siano i padroni ed i loro servi in parlamento a pagare la crisi.