L’incubo di un’invasione di terra di Gaza e le sue conseguenze

Mentre Israele prepara le sue forze per un’invasione di terra di Gaza, tutti i leader imperialisti occidentali, da Biden a Sunak, da Scholz a Macron, sono sempre più nervosi. Si chiedono preoccupati che aspetto avrà il loro mondo una volta che tutto questo sarà finito.

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Un ex ambasciatore britannico in Libano, Tom Fletcher, sul Financial Times  (22 ottobre 2023) ha riassunto la situazione dal punto di vista borghese: “In Medio Oriente si paga un prezzo sia se si interviene che se non si interviene o anche se ci si mantiene in bilico tra le due cose”. In altre parole, comunque agiranno, gli imperialisti commetteranno un errore.

Nonostante questo, gli imperialisti si trovano in una situazione dove sono costretti ad appoggiare Netanyahu, cercando al contempo di spingerlo nella direzione a loro gradita. Ma c’è un problema nei loro rapporti con il capo del governo israeliano. Netanyahu non ragiona a partire soltanto dagli interessi della classe dominante israeliana, ma anche in base alla propria sopravvivenza politica: ha scommesso tutta la sua reputazione sulla “distruzione di Hamas”.

Ci sono chiare divisioni in seno alla classe dominante israeliana su ciò che questo comporterebbe. Tuttavia, se a Netanyahu venisse lasciato campo libero, gli imperialisti sarebbero costretti a seguirlo, sostenendo l’invasione di terra di Gaza preparata da Israele, che finirebbe in un bagno di sangue ben peggiore rispetto a tutto quello che abbiamo visto sinora. Tutti i leader occidentali ne usciranno con le mani sporche di sangue e saranno odiati e detestati dai lavoratori e dai giovani, tanto in Medio Oriente quanto nei rispettivi paesi.

La stampa è piena di articoli che cercano di delineare ciò che l’esercito israeliano si troverà davanti una volta entrato a Gaza. Il Financial Times, il Washington Post, Foreign Policy, il Guardian e molti altri si sono messi a calcolare i costi in termini di vite umane e l’impatto sul Medio Oriente e sul mondo in generale. È opinione diffusa che sarà una campagna molto dura, che durerà molto più di come la sta presentando oggi l’esercito israeliano e che porterà a indicibili sofferenze al popolo palestinese di Gaza.

Il 19 ottobre il Financial Times  ha citato il generale statunitense David Petraeus, già comandante delle forze Nato in Iraq e Afghanistan, il quale ha detto su Gaza: “Sarà di una difficoltà tremenda… non posso nemmeno immaginare circostanze più difficili”. Lo stesso articolo delinea gli obiettivi bellici di Netanyahu: “… rovesciare il regime di Hamas e distruggere le sue capacità militari; rimuovere la minaccia di attacchi da Gaza; garantire il ritorno degli ostaggi trattenuti da Hamas; difendere i confini e i cittadini di Israele”.

La lezione di Mosul

Siamo davanti a un livello di morte e distruzione di proporzioni senza precedenti a Gaza. Il numero dei palestinesi uccisi ha già raggiunto quello dei morti per le operazioni militari tra il 2008 e il 2023, prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre! In neanche tre settimane si è superata la metà delle vittime civili di oltre un anno e mezzo di conflitto in Ucraina.

Per farsi un’idea della situazione in cui potrebbe trovarsi l’esercito israeliano – se Netanyahu riesce ad andare fino in fondo – sono state fatti dei confronti con le modalità in cui Mosul, in Iraq, venne sottratta alle forze dell’Isis nel 2016-17.

Mosul aveva una popolazione di circa due milioni di persone, simile a quella di Gaza oggi. L’Isis riuscì a nascondere 8 000 combattenti in città, in attesa dell’esercito iracheno, a guida Usa, che disponeva di 100 000 soldati.

La città fu sottoposta a un massiccio bombardamento per spianare la strada alle truppe, bombardamento che lasciò tuttavia una scia di edifici distrutti e macerie che i combattenti dell’Isis potevano usare come copertura.

Un ufficiale delle forze speciali occidentali che si trovava tra l’esercito iracheno a Mosul ha spiegato  che: “Nelle città ci sono migliaia di nascondigli… se vuoi eliminare un nemico, devi liberare la zona casa per casa. Cosa che però ti mette in pericolo a 360 gradi. Non puoi passare e basta”. Alla fine ci vollero nove mesi per riconquistare Mosul, molti di più rispetto ai calcoli iniziali.

Ci sono varie stime riguardo la quantità di combattenti a disposizione di Hamas a Gaza, ma il numero potrebbe aggirarsi tra i 30000 e i 40000, con un nucleo di 10000 uomini ben addestrati. I calcoli danno alla Jihad islamica palestinese (PIJ nella sigla inglese) una forza di circa 15 000 combattenti. Ciò significa che le forze presenti a Gaza sono cinque volte superiori a quelle che l’Isis aveva a Mosul.

Tuttavia, la situazione a Gaza è a sua volta diversa, nel senso che i combattenti di Hamas opereranno su un territorio a loro familiare, in difesa della loro patria. Hamas può anche attingere a vaste riserve di volontari pronti a unirsi alla battaglia per fermare l’esercito israeliano.

Hamas inoltre ha avuto molto più tempo di preparare il terreno rispetto all’Isis a Mosul. Ha costruito una sofisticata rete di tunnel – prossimi ai 500 km secondo alcuni resoconti – nei quali i suoi combattenti possono rifugiarsi o dai quali possono lanciare attacchi a sorpresa. Sarà loro possibile attaccare le forze israeliane da direzioni impreviste. Sarà letteralmente una battaglia per la conquista di ogni angolo della città. Hamas ha anche accumulato armamenti più sofisticati rispetto al passato, tra mine, missili anticarro e droni armati.

Il modo in cui finì il conflitto nel 2008 e anche nel 2014 – quando le forze di terra israeliane entrarono a Gaza per poche settimane – dà un assaggio di ciò che avverrà. Nelle due operazioni furono uccisi in totale circa 3 500 palestinesi, mentre l’esercito israeliano perse 70 soldati. Oggi Israele si sta preparando su scala molto più estesa e questo inevitabilmente porterà a ingenti perdite da ambo le parti. Il grosso delle vittime saranno civili.

Gli esperti hanno spiegato che, per avere successo, un’invasione di terra di Gaza richiederebbe una forza di cinque soldati israeliani per ogni combattente di Hamas. Se la succitata stima di 50 000 combattenti a disposizione di Hamas è corretta, ciò comporterebbe che Netanyahu avrebbe bisogno di 250 000 soldati israeliani per raggiungere i propri scopi dichiarati. Israele ha mobilitato numeri ben più alti, ma a causa della minaccia delle forze di Hezbollah, ha dovuto dispiegare una certa parte di queste forze al confine settentrionale. Sulla carta gli israeliani hanno forze a sufficienza per radere al suolo Gaza se lo desiderano; sostenere i costi di una campagna di questo genere è, ovviamente, tutt’altro paio di maniche.

Ma torniamo per un istante all’esperienza di Mosul, in Iraq. Secondo un articolo pubblicato sull’Independent  (19 luglio 2017) dal noto giornalista Patrick Cockburn: “Più di 40 000 civili hanno perso la vita nella devastante battaglia per strappare Mosul all’Isis, secondo i rapporti dei servizi segreti…”.

Cockburn continua spiegando alcuni dei motivi dietro questo livello di vittime civili:

“Gran parte della responsabilità per il livello catastrofico della distruzione causata nella parte occidentale di Mosul è stata attribuita ai raid aerei, ma sul campo è evidente che molto del danno è stato causato dall’artiglieria e dai missili. Lo conferma un rapporto di Amnesty International, uscito la scorsa settimana, dal titolo ‘A tutti i costi: la catastrofe civile a Mosul ovest, Iraq’, che dirige l’attenzione a un uso ben più vasto e indiscriminato della forza di fuoco da parte delle forze filogovernativenelle fasi finali dell’attacco su Mosul est, a partire da gennaio 2017, fino ai seguenti sei mesi durante l’attacco a Mosul ovest” (corsivo mio).

Questo indicherebbe che, man mano che i combattimenti strada per strada causavano ingenti perdite per il personale militare dell’esercito iracheno, inevitabilmente fu aumentata la tendenza a fare ricorso a bombardamenti sempre più estesi. Possiamo immaginare qualcosa di simile a Gaza. Appena l’esercito israeliano si troverà davanti a un terreno estremamente pericoloso, cercherà di minimizzare le perdite facendo sempre più ricorso ai bombardamenti, tenendosi a distanza, per facilitare le operazioni delle forze di terra una volta entrate in una determinata area.

Si profila uno scenario da incubo

Che significa questo per i civili di Gaza? Inevitabilmente significa decine di migliaia di morti. Le 40 000 vittime di Mosul sono la prova degli effetti di una simile invasione di terra. L’esercito israeliano ha ripetutamente ordinato ai civili palestinesi di lasciare il nord di Gaza e andare a sud, ma le condizioni trovate dalle persone nella regione meridionale hanno convinto molti a tornare a nord. Non solo manca tutto, dall’acqua ai medicinali di base, dal cibo alle abitazioni, ma alcuni sono stati addirittura bombardati una volta arrivati a sud, o persino mentre erano per strada.  Ciò significa che, benché vaste quantità di persone abbiano lasciato Gaza City, resteranno comunque molti civili.

Non sarà un’operazione rapida. L’esercito israeliano parla di 50 giorni di guerra, ma Mosul dimostra che questi calcoli non valgono nulla. C’è chi ipotizza che potrebbe durare molti mesi, forse anche più, prima che l’esercito israeliano possa raggiungere i suoi obiettivi. Gaza City sarebbe rasa al suolo.

Come ha detto Michael Lynk, ex “relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi”, citato dalla rivista Foreign Policy:  “Ci sarà uno sforzo determinato per decapitare Hamas. E l’unico modo per farcela è devastare ampie parti di Gaza e della sua popolazione civile” (corsivo mio).

Questo è lo scenario da incubo che si profila per il popolo palestinese a Gaza. Verrebbero uccisi anche molti soldati israeliani e molti dei 200 ostaggi di Hamas potrebbero perdere la vita a propria volta. Questo spiega anche il ritardo dell’esercito israeliano nel dare il via alla sua offensiva di terra. Sembrano esserci divisioni tra alcuni dei capi dell’esercito e l’attuale governo di Israele su come mandare avanti l’invasione pianificata.

Anche i leader borghesi occidentali stanno facendo pressione per ritardare l’invasione, insistendo affinché gli ostaggi vengano rilasciati da Hamas prima di procedere.

Gli stessi leader occidentali si stanno anche facendo sentire più di prima per ottenere che gli aiuti vengano fatti entrare a Gaza al fine di evitare l’orrendo disastro umanitario in cui è sprofondata la striscia. Per gli imperialisti questo è un fattore politico molto forte. In uno scenario ideale preferirebbero evitare un’invasione di terra. Ma tale scenario non esiste e gli imperialisti non avranno altra scelta che sostenere Israele, il loro unico alleato affidabile nella regione.

Ma per mantenere un minimo di sostegno pubblico per queste azioni – sostegno che, prevedono, non tarderà a svanire man mano che a Gaza si accumuleranno gli orrori – devono mostrarsi almeno un minimo attenti alle sofferenze del popolo palestinese a Gaza e alle preoccupazioni umanitarie.

Gli esperti dell’Onu già avvertono che, se non verrà permesso ai rifornimenti essenziali di entrare presto a Gaza, in quantità sufficienti, la popolazione civile di Gaza corre un “inevitabile rischio di morte per fame”. C’è anche un crescente pericolo di diffusione di malattie veicolate attraverso l’acqua, come il colera, a causa del deterioramento delle condizioni igieniche e della mancanza di acqua pulita.

Israele ha tagliato i rifornimenti d’acqua, insieme alle forniture di carburante ed elettricità. Senza corrente elettrica quel poco di acqua che rimane non può essere pompato e i depuratori non funzionano. Molte persone sono già costrette a dormire per strada o in sistemazioni di fortuna. Altri vivono stretti in appartamenti dove abitano 30-40 persone, talvolta addirittura 100. E una volta che comincerà l’invasione di terra, tutto questo peggiorerà in maniera esponenziale.

Appena l’esercito israeliano entrerà a Gaza, le immagini sugli schermi televisivi sconvolgeranno milioni di persone in tutto il mondo, ma questo avrà un impatto particolarmente drammatico sui popoli del Medio Oriente. Abbiamo già visto enormi proteste, cortei e manifestazioni di massa in tutta la regione. Questo movimento è destinato a crescere molto.

Così si spiega il “Summit del Cairo per la pace” dello scorso sabato, in cui i rappresentanti di Giordania, Qatar, Egitto, Sud Africa, Francia, Germania, Russia, Cina e Regno Unito, insieme a esponenti dell’Ue e dell’Onu, e Stati Uniti, tra gli altri – anche se non c’era nessun alto esponente degli Usa –, hanno discusso come “fermare l’escalation”.

È chiaro che questi leader sono estremamente preoccupati dal fatto che, una volta che le forze israeliane entreranno a Gaza, ciò avrà un effetto destabilizzante nei loro paesi. Il problema, naturalmente, è al summit non c’era nessun rappresentante di Israele, e sono i generali israeliani e il primo ministro israeliano Netanyahu, insieme al suo gabinetto di guerra, gli unici con il potere di “fermare l’escalation”. Tutte le parole e i bei discorsi dello scorso sabato sono aria fritta e basta.

A questo punto l’esercito israeliano sta continuando i suoi preparativi per entrare a Gaza. Una volta che l’invasione avrà inizio vedremo uno spargimento di sangue di immense proporzioni. Le tensioni in tutta la regione si acuiranno ancor più. Abbiamo già visto razzi partiti dallo Yemen abbattuti da una nave da guerra statunitense la scorsa settimana. Sono stati attaccati i soldati statunitensi di stanza in Iraq e in Siria; l’Iran, in maniera diretta e anche tramite il suo alleato Hezbollah in Libano, ha sottolineato il pericolo corso dalle unità Usa in tutta la regione.

Cresce la solidarietà con la Palestina

Sabato c’è stata una manifestazione di circa 300.000 persone a Londra in solidarietà con il popolo palestinese. In Francia le autorità avevano proibito ogni manifestazione del genere, ma lo scorso giovedì sono state costrette ad annullare il divieto grazie a un’immensa pressione. Di conseguenza almeno 30.000 persone domenica hanno manifestato per le strade di Parigi sventolando bandiere palestinesi e gridando “Gaza, Parigi è con te”. È stata la più grande manifestazione di questo tipo in Francia finora. Molte altre se ne sono viste in tutto il mondo.

Questo movimento è destinato a crescere man mano che a Gaza si consumerà il macello. I media stanno cercando disperatamente di spostare l’opinione pubblica a favore di Israele. Ma si sta dimostrando un compito molto difficile e lo sarà ancora di più una volta che l’effetto pieno di un’invasione si chiarirà a tutti.

Molti sono già in grado di vedere oltre la propaganda, le menzogne e le illazioni. Capiscono che i bombardamenti in corso e una futura invasione non sono una risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre. Sono solo la continuazione, su un livello molto più alto, di decenni di oppressione del popolo palestinese, che è privato di una patria da 75 anni.

Al fine di contrastare l’ondata di sostegno per il popolo palestinese, i media hanno lanciato accuse di antisemitismo o appoggio al terrorismo contro chiunque esprima pubblicamente l’opposizione alla guerra di Israele contro Gaza. Questo spiega perché i media mainstream – con la BBC tra i casi peggiori – abbiano amplificato la copertura dei fatti del 7 ottobre nel sud di Israele, enfatizzando i dettagli più raccapriccianti delle azioni di Hamas.

Normalmente queste scene non vengono mostrate, in quanto considerate troppo sensibili, ma ora i video vengono trasmessi e messi in evidenza. L’obiettivo è chiaro: preparare l’“opinione pubblica” e giustificare il macello dei civili innocenti a Gaza. È evidente che nessuna persona normale possa giustificare l’omicidio dei civili, su entrambi i lati di questo conflitto. Ma la gente vede cosa si sta preparando ed è convintamente contraria.

Ogni politico occidentale che si sporcherà le mani sostenendo la barbarie a cui stiamo assistendo presto o tardi affronterà l’ira del suo popolo in patria. Sunak, incontrando di recente Netanyahu in Israele e stringendogli la mano, ha detto: “Vogliamo che vinciate voi”. Ciò significa che appoggia i piani di Netanyahu descritti in questo articolo. Cioè che appoggia il massacro indiscriminato di donne e bambini.

Secondo il ministero della Salute di Gaza, il numero complessivo delle persone uccise a Gaza finora (martedì 24 ottobre) è 5 791. Fra queste, 2 360 sono bambini, 1 421 donne e 295 anziani. Ci sono poi 16 297 feriti e altri 1 550 sono dispersi, dei quali 870 sono bambini.

Ecco cosa appoggia Sunak. Proprio come non è amico dei lavoratori britannici, non lo è nemmeno del martoriato popolo palestinese. Lo stesso vale per Macron, Scholz, Meloni e tutti gli altri leader europei, compresi i vari Starmer e soci, i quali, come obbedienti cagnolini, fanno tutto quello che le rispettive classi dominanti dicono loro di fare.

È in momenti come questo che i veri comunisti, i veri marxisti rivoluzionari, si distinguono in modo netto con il loro sostegno per gli oppressi e la loro opposizione a tutti coloro che governano a favore di un sistema che permette che una simile carneficina abbia luogo. Noi diciamo la verità ai lavoratori e ai giovani, indipendentemente dalle bugie che la macchina della propaganda dei ricchi e dei potenti continua a diffondere.

Pochi giorni fa Petraeus, insieme allo storico britannico Andrew Roberts, ha pubblicato un libro: Conflict – The Evolution of Warfare from 1945 to Ukraine, nel quale spiegano che, dopo la Seconda guerra mondiale, “sorse un sogno: che vi sarebbe potuta essere pace sulla terra”, grazie alla “nascita delle Nazioni Unite, la cui Carta fondativa dichiarava la speranza di ‘sottrarre le future generazioni dal flagello della guerra’”.

Ma poi spiegano cinicamente quanto segue:

“Il filosofo e teorico militare prussiano Carl von Clausewitz definì la guerra come politica con altri mezzi. Proprio come la politica non ebbe fine nel 1945, così non ebbe fine la guerra. Anzi, il conflitto è continuato almeno in qualche parte del mondo ogni anno dalla fine della Seconda guerra mondiale”.

La “politica” a cui Petraeus fa riferimento – e che chiaramente difende – è la politica dello sfruttamento di classe, della rapina dei popoli del mondo da parte di una minoranza di sanguisughe parassite: la classe capitalista e tutti i loro seguaci. Gli eventi a Gaza lo stanno evidenziando con chiarezza. E questo è quanto sta cominciando a penetrare nella coscienza di miliardi di persone che vivono su questo pianeta, a partire dai giovani.

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