Kashmir: una valle in rivolta

Il Kashmir occupato dall’India è in rivolta dal’8 luglio, il giorno dell’omicidio di Burhani Wani, un comandante del gruppo Hizbul Mujahideen, da parte delle truppe indiane. L’omicidio ha scatenato un movimento di protesta di massa in tutta la valle del Kashmir. Lo stato indiano ha risposto in maniera brutale, imponendo un coprifuoco draconiano, uccidendo più di 80 persone e ferendone migliaia. Pubblichiamo un commento sulla situazione attuale di Yasser Irshad, un marxista della TMI nel Kashmir occupato dal Pakistan.

Ancora una volta in India e Pakistan stanno suonando i tamburi di guerra. Le classi dominanti di entrambi i paesi stanno cercando di distogliere l’attenzione delle masse dalle proteste e dagli scioperi e vogliono creare un’isteria di guerra e far montare il patriottismo. Gli arsenali nucleari e i grandi eserciti, costruiti con i milioni pagati attraverso le tasse dalla popolazione che vive in condizioni di povertà e miseria da entrambe le parti, avranno un grande impulso nei prossimi giorni.

Il motivo principale alla base di questo atteggiamento bellicoso è il movimento rivoluzionario di massa nel Kashmir occupato dall’India che è in corso da due mesi e mezzo e che, nonostante tutte le misure repressive, sta crescendo di intensità di giorno in giorno. Finora sono state uccise più di ottantasei persone, mentre centinaia sono stati i feriti da arma da fuoco e per le torture da parte delle forze armate indiane.

Un attacco terroristico ha cercato di sabotare questo meraviglioso movimento rivoluzionario per la libertà a Uri il 18 settembre nei pressi della Line of Control (la linea di demarcazione che divide il Kasmir occupato dall’India da quello occupato dal Pakistan, ndt). Venti soldati indiani sono stati uccisi e una trentina sono rimasti feriti nell’attacco. L’India accusa il Pakistan per questo attacco terroristico e ha fornito prove a riguardo, mentre il Pakistan nega queste accuse. In realtà, le classi dominanti da entrambe le parti stanno cercando di utilizzare questa situazione per promuovere i loro interessi imperialistici e per reprimere il dissenso interno delle masse impoverite.

Nel frattempo, le strade nel Kashmir occupato dall’India si sono trasformate in un campo di battaglia tra le barbariche forze statali dell’esercito indiano, armate fino ai denti con armi letali e i giovani disarmati ma risoluti del Kashmir. Questa nuova fase di intensa lotta di massa è stata innescata dall’uccisione di Burhan Wani l’8 luglio scorso. Questo incidente ha trasformato la rabbia accumulata e l’odio contro la povertà, la disoccupazione, la mancanza di servizi di base e, soprattutto, l’occupazione indiana del Kashmir in un movimento di massa.

(clicca qui per un video degli scontri)

Non appena si è diffusa la notizia dell’uccisione di Wani, decine di migliaia di persone si sono riversate nelle strade per protestare contro la brutalità delle forze dello stato. Le autorità hanno imposto il coprifuoco per frenare le proteste, ma più di quarantamila persone hanno partecipato ai funerali.

Nonostante il coprifuoco, le proteste di piazza quotidiane e gli scontri quotidiani con le forze di sicurezza sono continuati. Questo è il coprifuoco più lungo nella storia del Kashmir e sta entrando nell’ottantesimo giorno. Le persone disarmate che tiravano pietre si sono trovate di fronte al fuoco di proiettili di gomma e di quelli veri. Oltre alle ottantasei persone già uccise, più di cinquecento hanno subito lesioni a uno o a entrambi gli occhi e hanno perso la vista a causa dei proiettili di gomma. Più di cinquemila persone sono state ferite fino ad ora e altre migliaia sono stati arrestati e si trovano ad affrontare la tortura. Eppure la situazione sta peggiorando di giorno in giorno visto che ogni nuova uccisione aggiunge benzina sul fuoco.

Più di due mesi e mezzo di severe restrizioni e di coprifuoco, oltre che una brutale repressione e arresti di massa, non sono riusciti a sopprimere il movimento. L’intensità del movimento è tale che, per la prima volta nella storia del Kashmir, l’esercito indiano è stato costretto a fermare le preghiere dell’Eid, una cerimonia religiosa che si tiene il 13 settembre in cui migliaia di persone partecipano ogni anno. Le forze indiane temevano che questa cerimonia si sarebbe potuta trasformare in un evento politico e avrebbe condotto a proteste di massa. In questo movimento ogni raduno di giovani e masse si trasforma in agitazione politica. In alcune zone in cui le preghiere dell’Eid hanno effettivamente avuto luogo, praticamente si sono trasformate in protesta contro la brutalità dello stato. I disordini attuali non sono un incidente. Al contrario, si tratta dell’inevitabile risultato del processo in cui si sono accumulati rabbia e furore contro le forze occupanti.

Anche se il movimento è improvvisamente esploso l’8 luglio, è stato preceduto negli ultimi anni da uno sviluppo graduale e quantitativo. Durante questo periodo la rabbia contro i governanti e le forze di occupazione si stava accumulando assieme all’aumento dei problemi economici e sociali che derivano dal declino globale e dalla crisi del capitalismo. Come ha scritto il 31 luglio Badrul Duja in un articolo pubblicato sul sito web Youth Ki Awaz:


“Le inondazioni del 2014 sono il maggiore esempio in cui il Centro non ha fornito un appropriato pacchetto per l’assistenza finanziaria alla Valle. (…) Inoltre, dal totale dato dal Centro allo Stato, il Ministero della Difesa ha preso 500 crore (Crore è unità di misura utilizzata nel subcontinente indiana, pari a 10 milioni) dal State Disaster Relief Fund per il lavoro dell’esercito durante le piene. L’esercito chiede forse un tale rimborso per le inondazioni in Tamil Nadu o Uttarakhand? (…) Il piano del governo centrale più atteso era il Piano Speciale del Primo Ministro per le borse di studio per gli studenti del Kashmir che è stato introdotto durante il secondo mandato dell’UPA. Ora è nel caos. Migliaia di studenti del Kashmir sono stati costretti a lasciare i college e le università fuori dal Kashmir dato che il governo centrale non ha pagato le loro spese “.

Dal 1989 ci sono state ondate di proteste, ribellioni armate e movimenti politici contro l’occupazione indiana, con esplosioni di massa seguite da periodi di relativo riflusso della lotta, seguiti poi da nuove e più potenti rivolte. La determinazione delle masse del Kashmir, in particolare dei giovani, nella lotta per la libertà della loro patria ha raggiunto livelli talmente elevati che è difficile trovare un altro esempio del genere, a parte la lotta dei palestinesi. Mostra continuamente che per quanto sia grande la repressione, essa non può tenere soggiogate le masse e i giovani del Kashmir. I giovani del Kashmir si ribellano, nonostante “dalla ricerca intitolata ‘Strutture di violenza’ condotta dalla Coalizione della Società Civile del Jammu Kashmir, il Kashmir è la zona più militarizzata del mondo dove le forze armate nel territorio dello Stato contano tra le 656,638 e le 750,981 unità”.

Ci sono decine di motivi sociali ed economici che stanno dietro a queste esplosioni periodiche dei movimenti di protesta di massa nel Kashmir, ma è soprattutto a causa dell’occupazione da parte delle forze imperialiste indiane.

Negli ultimi 15 anni la militanza nel Kashmir è stata a livelli bassi e le masse kasmire avevano diminuito il loro appoggio nei confronti degli attivisti. Tuttavia, i giovani del Kashmir possono anche abbassare le armi ma non la loro lotta per la libertà. Le proteste pacifiche contro i posti di controllo militari hanno incontrato la repressione brutale. Le rivendicazioni di diritti basilari, come l’occupazione, migliori strutture per l’assistenza sanitaria e l’istruzione o la libertà di parola, sono state considerate come crimini contro lo stato e quindi trattate con pugno di ferro.

In tutta l’India, gli studenti kashmiri hanno dovuto affrontare discriminazioni per mano dei nazionalisti di destra e degli estremisti. Vengono umiliati e accusati di essere traditori e agenti del Pakistan, solamente perché stanno combattendo per la loro libertà. La maggior parte della “intellighenzia” indiana non solo crede veramente a questo scandaloso racconto della classe dominante oppressiva contro la lotta per la libertà del Kashmir, ma li supera sempre in tutti i momenti critici. Insieme a ciò, lo Stato pakistano ha sponsorizzato la Jihad (guerra santa) nel Kashmir occupato dall’India e centinaia di giovani provenienti dal Pakistan sono stati addestrati e inviati ad organizzare la lotta armata nel 1990. Questa lotta armata da una parte ha diviso la lotta per la libertà su linee religiose e dall’altro ha fornito allo stato indiano la scusa per aumentare la repressione, la tortura e gli omicidi. Alla fine questo metodo ha fallito e il Kashmir è rimasto occupato sia dal Pakistan che dall’India, mentre la maggior parte dei dirigenti del movimento della liberazione del Kashmir sono diventate pedine nelle mani di uno o dell’altro stato. L’attacco a Uri e le sue conseguenze mostra chiaramente che le classi dominanti di entrambe le parti vogliono ripetere il metodo utilizzato nel 1990 per far deragliare il movimento reale delle masse.

È risaputo che la lotta per la libertà è per lo più limitata alla popolazione musulmana della valle, visto che l’area a maggioranza indù di Jammu e la zona buddista del Ladakh rimangono tranquille. Alcuni slogan religiosi cantati dai manifestanti del Kashmir sono comuni ai musulmani di tutti i paesi, quindi, né questi slogan né un paio di bandiere del Pakistan in un corteo di migliaia di persone possono dimostrare che tutti i kashmiri sono “traditori” o che la loro eroica lotta contro l’occupazione indiana è finanziata dal Pakistan. In realtà, è nell’interesse dello stato imperialista indiano che alcuni elementi possano essere incolpati di essere sponsorizzati dal Pakistan, in modo da scatenare una feroce repressione e di ottenere la simpatia delle masse indiane. Quindi, se non compaiono tali elementi, devono essere creati volutamente, o da soli o con l’aiuto segreto di qualcun altro, i soggetti interessati in questo conflitto.

Tuttavia, questo aumento di bandiere pakistane ha un’altra caratteristica significativa. I giovani del Kashmir si trovano ad affrontare una dura repressione per mano dello stato indiano e vogliono vendetta, anche a costo della propria vita. L’unico simbolo che possono utilizzare per mostrare il loro estremo odio e repulsione nei confronti delle forze armate indiane è sventolare la bandiera pakistana. Questo non significa che sono finanziati dal Pakistan o desiderano unirsi ad un altro stato altrettanto barbarico.

A quanto pare, i governanti pakistani sostengono ipocritamente la lotta per la libertà del Kashmir, però solo nella zona occupata dall’India, ma con questo sostegno aiutano in effetti l’India a schiacciare il movimento in molti modi diversi. Prima di tutto, il Pakistan ritrae ogni protesta in modo distorto per dimostrare la propria versione ufficiale di menzogne diplomatiche sulla questione. In una protesta di 40 o 50 mila persone nelle strade di Srinagar, se cinque o dieci persone sventolano le bandiere pakistane, i media pakistani ritraggono tutti i manifestanti come filopakistani che è proprio ciò di cui l’India ha bisogno per schiacciare il movimento e questo è quello che la classe dirigente pakistana sta fornendo al suo cosiddetto rivale in un momento di difficoltà.

I governanti pakistani stanno sopprimendo ogni voce di dissenso che si leva contro di loro nella propria parte controllata del Kashmir, nello stesso modo brutale dell’India. Non vi è alcuna differenza fondamentale nel ruolo aggressivo di entrambe le forze di occupazione. È solo il tempo e lo spazio che fa qualche differenza. Entrambi i paesi imperialisti puntano il dito uno contro l’altro, ma le masse di tutte le parti del Kashmir stanno soffrendo la povertà estrema, l’arretratezza, la disoccupazione e la brutalità dello stato. Anche le masse del Kashmir occupato dall’India, in particolare nella Valle, sono costretti a vivere questa vita miserabile sotto le baionette imperialiste. Questo è esattamente ciò che spiega la loro capacità di recupero, perché vivere in modo permanente all’ombra della morte ne fa terminare la paura. Lo stato indiano sta affrontando questo dilemma, che è incapace di comprendere, né è in grado di riaffermare questa paura nei giovani che hanno perso tutto. Nazir Masoodi del canale di news Indian NDTV scrive:

Il Governo spera che la situazione migliorerà perché, con il passare del tempo, la stanchezza si farà strada tra i manifestanti. Credono che la gente non possa vivere in una tale situazione per troppo tempo. Si comportano come se spetti al popolo di riportare la normalità. Dopo tutto chi è che soffre, perdendo la vita, venendo accecato e mutilato? A chi vengono chiuse le scuole e le imprese? Chi sta perdendo il lusso di vivere senza freni e umiliazioni? Questo sadico ottimismo è presumibilmente basato sulla percezione dei risultati dei disordini in Kashmir del 2008 e del 2010. Quello di cui il governo non si sta rendendo conto è che i ragazzi in strada oggi hanno imparato dalle proteste di piazza a partire dal 2008. Hanno ricominciato da dove avevano lasciato nel 2010. Operano in modo indipendente, guidati da emozioni pure e la morte non li spaventa. Dopo ogni morto e ferito, questi ragazzi sfidano le forze di sicurezza con le pietre in mano. Le immagini quotidiane di giovani uomini che si strappano la camicia di fronte ai soldati armati, sfidandoli a sparare ci dice come stanno andando le cose in Kashmir.

“Anche i leader separatisti dell’Hurriyat Conference (un’alleanza di 26 partiti nata nel 1993 che difende la causa dell’indipendenza del Kashmir, ndt) stanno lottando per ottenere il controllo del movimento. Sono come sorpresi dal drammatico cambiamento della situazione, come il governo di Srinagar. I loro calendari di proteste e scioperi sono stati sfidati apertamente”.

L’attuale insurrezione non è altro che la continuazione dei movimenti del 2008, 2010 e 2013, ma con alcune differenze molto radicali e a un livello più alto. Nell’estate del 2010, una potente rivolta ha scosso lo Stato di Delhi, perché è stato il primo movimento politico a non avere legami con i militanti. L’altro aspetto pericoloso di questo movimento, dal punto di vista dei governanti, è che era senza leader. Tutti i vecchi dirigenti affermati e i partiti politici erano stati respinti da una gioventù ribelle e tutto il movimento è stato organizzato quasi collettivamente da giovani insolenti. Quindi era quasi impossibile per le autorità di sopprimerla. Lo stesso avviene ora: dove nessuno è leader del movimento nessuno può parlare a nome dei manifestanti. I giovani manifestanti che combattono la brutale macchina statale dell’imperialismo indiano non si fidavano di nessun partito politico o un leader e di fatto non c’è nessuno degno di tale fiducia.

La Conferenza Nazionale di Jammu & Kashmir (JKNC), che aveva governato qui per un lungo periodo di tempo, è stata estromessa nelle ultime elezioni, mentre il governo del PDP ha formato una coalizione con la destra fondamentalista del BJP e ha così perso la sua credibilità tra le masse, nel caso ne se avesse mai avuta una. Con l’annuncio delle dimissioni di uno dei membri del PDP del Lok Sabha (il Parlamento indiano) di Srinagar, la crisi del partito è diventato più evidente. I leader della Hurriyat Conference [un’alleanza locale di 26 organizzazioni politiche, sociali e religiose che affermano di combattere per l’indipendenza del Kashmir] si sono fatti largo tra India e Pakistan e si sono ritirati dalle loro posizioni così tante volte che nessuno gli crede più. Ora in molti stanno cercando di riempire il vuoto e l’establishment sosterrà tali sforzi, contribuendo ancora una volta a contenere e a tradire il movimento, imponendo ad esso un qualche tipo di leadership.

I giovani del Kashmir sono anche stanchi della farsa dei colloqui di pace tra India e Pakistan. Dopo un decennio di questo spettacolo comico di insignificanti “colloqui di pace solo per fare colloqui” (in cui entrambi i paesi cercano di convincere l’altro che si devono avviare colloqui seri) tra i governanti dei due paesi, è ancora da decidere se devono avviare colloqui seri o no. Dall’altra parte le forze militari e paramilitari indiane hanno utilizzato il AFSPA (legge sul potere delle forze militare speciali) per peggiorare sempre più la vita delle persone nella Valle. Nella rivolta di massa del 2010, una delle principali richieste dei manifestanti era di rimuovere i posti di controllo dell’esercito dalla città di Srinagar. Queste sono le condizioni che forniscono di volta in volta la spinta per i disordini di massa nel Kashmir.

Un altro dilemma di questa complessa equazione è il ruolo dei partiti stalinisti indiani. La loro posizione sulla questione dell’autodeterminazione non ha alcuna somiglianza con quella leninista e marxista sulla questione nazionale. Non appoggiano il diritto all’autodeterminazione del Kashmir o di qualsiasi altra nazionalità oppressa dall’India. La tragedia di questi stalinisti è di un tipo strano: si chiamano “comunisti” ma non credono nella rivoluzione socialista e quindi finiscono per sostenere la cosiddetta “borghesia progressista” e lo Stato indiano. Questi cosiddetti comunisti sono più patriottici che lo stesso Stato indiano. È per questo che non condannano il ruolo imperialista dello Stato indiano. Invece difendono a gran voce il suo ruolo. Se non lottano per rovesciare il capitalismo in India, allora come possono sostenere il diritto di ogni nazione all’autodeterminazione contro i loro governanti borghesi alleati? Questa è la teoria criminale delle due fasi in cui la prima è quella “democratica” cioè la fase borghese – che è il baluardo principale di tutti i partiti stalinisti.

Se uno solo dei principali gruppi di questi partiti comunisti avesse adottato una posizione marxista corretta sulla rivoluzione proletaria e avesse esteso la sua solidarietà alle masse e ai giovani del Kashmir e di altre nazionalità oppresse dell’India, l’intera situazione si sarebbe capovolta con una rapidità mai vista. Lo scorso 2 settembre, il proletariato indiano ha mostrato ancora una volta la sua forza numerica, la sua unità intatta e la sua volontà di lottare contro il capitalismo, con uno sciopero generale a cui hanno aderito 180 milioni di lavoratori in tutto il paese. In realtà, è stato il più grande sciopero della storia umana. Cosa si può chiedere di più ai lavoratori indiani e di cos’altro hanno bisogno questi stalinisti per passare alla lotta per la rivoluzione socialista in India? E’ un’ironia della storia che i lavoratori indiani abbiano dovuto combattere lotte feroci per superare queste barriere erette dalle false idee degli stalinisti.

Nel frattempo, le masse e i giovani del Kashmir hanno anche dovuto imparare molte lezioni amare ad un costo inutile in termini di sangue e sofferenza. Solo le idee giuste del marxismo rivoluzionario, con la posizione leninista sulla questione nazionale, possono guidare le masse del Kashmir verso la vittoria finale. I marxisti sostengono il diritto all’autodeterminazione non solo per i kashmiri ma per ogni nazione oppressa del mondo. Insieme a questo si battono per l’unità di classe dei lavoratori di tutte le nazioni e affermano con chiarezza che sfruttamento, oppressione e sottomissione finiranno solo attraverso la rivoluzione socialista.

Con queste idee, nel settembre 2014, gli studenti e i giovani aderenti alla TMI hanno marciato da Muzaffarabad, nel Kashmir occupato dal Pakistan, verso la linea di controllo. Sono stati gridati slogan come “Il nostro obiettivo è la Libertà, il nostro obiettivo è il socialismo”. Se questo trova un’eco tra i giovani nel Kashmir occupato dall’India la libertà del Kashmir non sarà così lontana.

In questo momento è importante, non solo per i marxisti ma per ogni forza progressista, prendere una posizione coraggiosa e chiara contro la repressione dello stato imperialista e la brutalità delle forze indiane nel Kashmir. Condanniamo incondizionatamente ogni azione degli stati dell’India e del Pakistan contro le masse e la gioventù del Kashmir. L’occupazione imperialista e la presenza di forze armate indiane e pakistane nel Kashmir è ingiustificata e illegale per sua stessa natura, quindi tutte le azioni derivanti da questa occupazione imperialista sono coercitive e brutali. Chiediamo la fine urgente dello stato di repressione; l’abrogazione della AFSPA e di tutte le altre leggi repressive; la rimozione di tutti i posti di controllo militari dalle città e dai paesi e la smilitarizzazione di tutto il Kashmir; oltre a questo chiediamo immediatamente tutte le libertà democratiche e i diritti fondamentali, compreso il diritto di riunione, la libertà di parola e di una stampa libera. Poter decidere sul proprio futuro in piena libertà è un diritto fondamentale delle masse del Kashmir.

Tuttavia, in questa lotta i marxisti non appoggiano gli atti di terrorismo individuale. Se questo terrorismo è poi finanziato da uno stato imperialista nella regione dovrebbe essere severamente condannato e deve essere combattuto incessantemente. Il terrorismo individuale riduce sempre il ruolo dell’azione collettiva di massa e crea illusioni in “salvatori” esterni, liberatori ed eroi. La gente comincia a credere che qualche grande comandante militante, un eroico combattente per la libertà o il leader otterrà la libertà per il popolo. In tali circostanze, si presuppone che la popolazione dovrebbe fare una sola cosa: attendere un eroe. Come ha detto un grande rivoluzionario del XX secolo, Ernesto Che Guevara: “Io non sono un liberatore. Non esistono liberatori. La gente si libera da sola“.

Ogni azione di questi gruppi armati prevede, da un lato, la scusa per la brutale repressione da parte dello stato, il divieto di tutte le attività e le libertà politiche, e dall’altro isola questi stessi gruppi separandoli dalle masse lavoratrici. L’azione politica delle masse viene reso più difficile sotto queste circostanze quindi, in ultima analisi, il terrorismo individuale si rivela controproducente. Ogni lotta per la libertà è una questione molto seria che deve basarsi su un serio fondamento teorico. Senza la guida di idee corrette e scientifiche, le tattiche e i metodi impiegati in tali lotte possono essere dannosi per tutto il movimento.

Dal momento che questo meraviglioso movimento dei giovani del Kashmir sta ispirando le persone di tutta la regione, i marxisti dovrebbero sottolineare le difficoltà che il movimento deve affrontare e allo stesso tempo come superarli. Tutti i manifestanti sono contro l’odio religioso e questo è il punto di forza del movimento, quindi c’è bisogno di diffonderlo nel modo più ampio possibile. Le classi dirigenti di entrambe le parti faranno di tutto per far deragliare il movimento su linee religiose, quindi vanno fatti tutti gli sforzi possibili per opporsi a questo. È inoltre necessario prendere una posizione di classe chiara, visto che siamo tutti consapevoli del fatto che i governanti locali del Kashmir sono dei tirapiedi dello stato indiano e collaborano alla repressione e che quindi sono i nostri nemici diretti. Allo stesso, tempo, i governanti di India e Pakistan sono i nostri nemici di classe che sfruttano in modo spietato e sopprimono brutalmente i lavoratori dei loro rispettivi paesi, quindi nessuno dei due può essere amico delle masse lavoratrici di qualsiasi terra.

Se i governanti pakistani si pongono come sostenitori delle masse del Kashmir, lo fanno solo per difendere i propri interessi imperialisti, proprio come i governanti indiani a volte diventano i campioni dei diritti umani in Baluchistan. In realtà, il sostegno ipocrita di questi gangster imperialisti è un insulto a tutti coloro che stanno veramente combattendo e pagando con la vita e il sangue per la libertà. Allo stesso modo, i governanti di tutti i paesi e le cosiddette istituzioni come le Nazioni Unite non hanno alcun interesse nella reale emancipazione delle masse di qualsiasi paese. Quindi noi condanniamo anche le loro proteste ipocrite contro l’uso eccessivo della forza o le loro lacrime di coccodrillo sulla crisi umanitaria.

L’attuale ribellione è la più intensa da decenni. Per molti aspetti è la più grande ribellione delle masse e dei giovani del Kashmir nella storia. Si è già andati oltre i limiti del passato. La repressione imperialista indiana non è riuscita a frenare il movimento e il ritorno alla normalità attraverso la coercizione è irraggiungibile. Questa rivolta sta interessando tutta la società indiana e il sub-continente, in particolare il movimento degli studenti che è in corso in India e sta guadagnando simpatie crescenti. Non è un evento isolato, se guardiamo in tutta l’India e in tutto il mondo. Vediamo l’alba di una nuova epoca di lotte di massa e di movimenti rivoluzionari in tutto il mondo contro il capitalismo, un’epoca di rivoluzioni e contro-rivoluzioni in cui i movimenti attuali saranno seguiti da lotte più intense e i periodi di inattività che precedono una nuova ondata di rivolte saranno molto più brevi.

Ciò significa che se perde di intensità per un breve periodo, preparerà semplicemente rivolte più grandi su una scala molto più vasta. Le ragioni di questa inevitabile ripresa sono evidenti, perché dall’8 luglio ad ogni uccisione, ferimento o l’arresto di manifestanti ha moltiplicato per mille l’odio e la rabbia contro gli occupanti. I semi di nuove rivolte sono già stati piantati, ma qui c’è un altro fattore importante. Non si tratta semplicemente di un ciclo di flussi e riflussi del movimento di protesta che si verifica in continuazione. C’è un autentico balzo in avanti, seppur a un ritmo lento, della lotta che sta diventando più intensa, diffusa, consapevole e risoluta.

Lo status quo della politica sub-continentale sta cominciando a frantumarsi. Nuove crepe si aprono sotto i colpi dei movimenti di massa. La lotta dei giovani e delle masse del Kashmir verrà seguito a breve in tutto il subcontinente. Si tratta di una lotta per l’emancipazione di oltre un miliardo e mezzo di anime che vivono nell’inferno capitalista del subcontinente sud-asiatico. Durante questo periodo di aspre lotte, è necessario che tutti i lavoratori attivi politicamente costruiscano una leadership alternativa rivoluzionaria basata su un programma ben elaborato sulla base delle idee corrette del marxismo, che sia in grado di condurre le masse e i lavoratori verso la vittoria finale nella rivoluzione proletaria. L’obiettivo della libertà del Kashmir può essere raggiunto solo con la rivoluzione socialista sulla base della lotta di classe appoggiata dal proletariato e dai giovani di tutto il mondo. La rivoluzione socialista in Kashmir può diventare il punto di partenza della rivoluzione in tutta il subcontinente.

Viva la lotta dei giovani e delle masse del Kashmir!
Viva la libertà socialista del Kashmir!
Abbasso l’occupazione imperialista di tutte le parti del Kashmir da parte di India, Pakistan e Cina!
Viva la rivoluzione socialista del sub-continente e del mondo intero!