Nicaragua - Ortega vince le elezioni: ed ora?

Italian translation of Ortega wins Nicaraguan elections: where to now? by Fred Weston (November 8, 2006)

Col 91% dei voti scrutinati sembra sia confermato ciò che si ero intuito già alla chiusura dei seggi. Daniel Ortega ha vinto le elezioni presidenziali nicaraguensi col 38% dei voti contro il 29% di Eduardo Montealegre, candidato della destra.

L'affluenza è stata massiccia, tra il 75 e l'80% degli aventi diritto al voto, vale a dire la più alta percentuale registrata in America Latina. Non ci avventuriamo in inutili paragoni con gli USA, dove solo poco più del 50% dei possibili elettori si preoccupa di recarsi al seggio.

I risultati confermano la svolta a sinistra del Nicaragua dopo 16 anni di governi conservatori, in linea con quanto accaduto in tutto il continente, in particolare Venezuela, Bolivia e Messico (malgrado le frodi accadute in quest'ultimo paese).

L'imperialismo statunitense aveva mostrato i muscoli minacciando di tagliare i prestiti nel caso di vittoria di Ortega. Da sottolineare anche la presenza nel paese del tenente colonnello Oliver North, celebre per il ruolo avuto nel sostenere i contras durante la presidenza Reagan. Si è reso protagonista nella campagna contro Ortega sostenendo che "se Ortega vincesse, troverebbe importanti alleati nella regione...che potrebbero insieme creare molti problemi agli Stati Uniti e ai loro alleati democratici in America latina." Evidente il riferimento a Cuba e Venezuela.

Senza dubbio gli strateghi nordamericani sono preoccupati della vittoria di Ortega, non tanto per il personaggio in sé, quanto perché questa è un riflesso dell'ambiente che si sta sviluppando fra le masse del Nicaragua. Temono che il paese possa mettersi sulla strada già percorsa dal Venezuela. Sono anche allarmati per quanto accade in Messico, nel loro "cortile di casa", dove si è sviluppato un movimento di massa per protestare contro le frodi eclatanti avvenute durante le elezioni presidenziali dello scorso luglio. Il quadro che hanno davanti a loro è quella di movimenti rivoluzionari che si susseguono "infettando" via via ogni paese latinoamericano, e tali da poter sfidare la dominazione dell'imperialismo nordamericano in tutta la regione.

Per ora hanno più o meno hanno abbassato i toni. Il portavoce del White House National Security Council (Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca) ha dichiarato che "Gli Stati Uniti sono al fianco del popolo nicaraguense," e che "Lavoreremo con i loro governanti sulla base dell'impegno attivo a costruire un futuro democratico per il Nicaragua."

Gli Stati Uniti hanno dichiarato che collaboreranno con il nuovo governo, "se sarà democratico". Ciò significa naturalmente che collaboreranno con il nuovo governo se questo rispetterà la proprietà privata, se non promuoverà alcuna espropriazione e se obbedirà agli ordini dell'imperialismo targato USA.

D'altro canto dobbiamo considerare le reazioni di Cuba e Venezuela, che hanno ben accolto la vittoria di Ortega. Fidel castro ha detto alla TV cubana che il successo sandinista "riempie il nostro popolo di gioia." Hugo Chavez è andato ancora più in là affermando che "L'America Latina abbandona per sempre il ruolo di cortile di casa dell'impero nordamericano. Yankee go home!"

La nuova leadership del Nicaragua sarà sottoposta a pressioni forti e contraddittorie. I movimenti rivoluzionari in atto e le masse del paese chiederanno una radicale svolta a sinistra, per farsi carico dei gravosi problemi che affliggono operai, contadini e i poveri nelle città. Viceversa l'oligarchia locale, spalleggiata dall'imperialismo statunitense, chiederà il semplice mantenimento di un sistema corrotto che ha saputo salvaguardare assai bene i suoi interessi per molti anni.

Tutto ciò pone un dilemma ai leader sandinisti. I problemi di operai e contadini sono enormi. L'alta partecipazione e i tanti voti per Ortega significano una sola cosa: i poveri del Nicaragua non ne possono più delle cosiddette "politiche neo-liberiste." Esigono un cambiamento radicale.

Condizioni sociali

Per capire le ragioni della vittoria di Ortega dobbiamo guardare alle reali condizioni sociali in cui versa il Nicaragua, che è al penultimo posto nella classifica della ricchezza nelle Americhe, secondo solo ad Haiti. L'80% della popolazione (4,2 milioni sui 5,7 totali) vive con meno di due dollari al giorno ed il 47% (2,2 milioni) sopravvive con meno di un dollaro al giorno. Malgrado le campagne di alfabetizzazione promosse dai sandinisti al potere tra il '79 ed il '90, attualmente gli analfabeti sono un milione, e centinaia di migliaia di bambini non frequentano alcuna scuola. I tassi di disoccupazione e sottoccupazione si avvicinano al 50%, mentre la società nicaraguense è molto polarizzata, con un'elite di super ricchi da una parte e la massa dei poveri dall'altra. Le finanze del paese sono inoltre gravate da pesanti debiti sia nazionali che internazionali.

Nel 2004 la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale hanno concesso la cancellazione dell'80% del debito estero del Nicaragua, riducendolo di 4,5 miliardi di dollari ed abbassando la quota pro-capite da 1563 a 463 dollari. Il totale aveva raggiunto i 6,5 miliardi, più del triplo del PIL, rendendo necessaria la spesa di un terzo delle entrate annuali dall'estero per il pagamento degli interessi. E malgrado ciò tutti gli specialisti concordano sul fatto che, per la sopravvivenza del paese, saranno necessari nuovi prestiti, che accresceranno nuovamente il livello del debito.

Ogni anno il Nicaragua ricava circa 600 milioni di dollari dalle proprie esportazioni, ma è pesante la dipendenza sia da aiuti stranieri, che ammontano a 500 milioni di dollari, che dalle rimesse, circa 1 miliardo all'anno, dei moltissimi nicaraguensi che sono stati costretti ad emigrare negli USA.

Ma non ci facciamo illusioni. La cancellazione del debito è pagata a caro prezzo. Il paese deve mantenere l'infame "politica di aggiustamento strutturale" imposta da FMI e Banca Mondiale. Applicata secondo schemi di tipo coloniale, obbliga i governi locali a tagliare i sussidi sociali, a privatizzare, ecc...Ciò che danno con una mano insomma se lo riprendono con l'altra! Ecco perché quasi nulla cambierà malgrado la parziale cancellazione del debito.

Il fatto che, nella realtà, la cancellazione del debito significhi molto poco è stato confermato l'anno scorso quando, a causa dell'aumento del carburante e del costo della vita in generale, sono esplose delle proteste per le strade durate settimane, talvolta anche violente. Il debito crescerà di nuovo ed il paese dovrà ancora pagare ingenti somme in interessi. Nel frattempo quel poco di welfare che rimane sarà smantellato. L'orologio della storia è tornato indietro, a prima della rivoluzione del 1979, da quando, nel 1990, la destra riconquistò il governo.

La classe dominante locale non è mai stata in grado di sviluppare l'economia del paese. I suoi esponenti sono stati ben contenti di sperperare le ricchezze del paese a tutela dei propri interessi, rimanendo alla mercè dei propri padroni imperialisti. Si tratta di un'economia sottosviluppata, basata prevalentemente sull'esportazione di raccolti, come caffè e banane, ed i profitti di questo commercio sono sempre finiti nelle mani di un'elite costituita da poche famiglie, tra cui quella dei Somoza, che hanno governato il paese - con l'appoggio degli USA - come se fosse un loro feudo personale finché non intervenne la rivoluzione sandinista del 1979 a rovesciarli.

La rivoluzione sandinista del 1979

E qui c'è la questione centrale: come mai il paese versa in queste condizioni se nel 1979 l'odiata dittatura dei Somoza fu rovesciata dalla rivoluzione sandinista? Il vecchio apparato statale crollò mentre la guerriglia entrava nella capitale Managua ed instaurava un nuovo regime che pose apertamente in discussione il potere dell'oligarchia. Le proprietà della famiglia Somoza furono espropriate, e con ciò larga parte dell'economia finì nelle mani dello stato. In parallelo fu attivato un serio programma di riforme per combattere povertà, analfabetismo, mancanza di case ed assistenza sanitaria, ecc...

Tutto questo rappresentò un taglio netto con il passato del Nicaragua, che era stato sempre saldamente controllato dall'imperialismo statunitense. Si tratta infatti di un paese chiave dal punto di vista strategico per gli USA, come porta d'accesso al Sud America. Proprio per questo gli americani vi stabilirono basi militari circa cento anni fa, provocando, nel periodo '27-'33, una campagna di guerriglia contro la presenza degli Usa guidate da Augusto Cesar Sandino, da cui il nome dato al movimento. Sandino fu tradito ed assassinato, su diretto mandato del generale Somoza, nel 1934. Grazie a questa sconfitta furono costruite le basi degli oltre 40 anni di dittatura della famiglia Somoza.

All'inizio degli anni '60, con la nascita del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN), ebbe inizio un lungo periodo di guerriglia culminato con lo sciopero generale che, nel 1979, diede il colpo di grazia al regime portando al potere l'FSLN. L'anno seguente Ortega, a capo del governo dell'FSLN, nazionalizzò le proprietà della famiglia Somoza. Per reazione a queste politiche i ribelli "contras", sostenuti dall'imperialismo statunitense, iniziarono la loro attività nel 1982, provocando la dichiarazione dello stato d'emergenza nel paese. I sandinisti quindi furono costretti, nel momento in cui radicali riforme erano in corso, ad organizzare anche la guerra ai contras.

A questo punto però la rivoluzione non era stata completata. Malgrado le tante riforme ed espropriazioni, una parte significativa dell'attività economica era ancora nelle mani dell'oligarchia. Tragico errore. Grazie al controllo esercitato sull'economia i capitalisti del Nicaragua poterono manovrare contro il governo sandinista, combinando la loro azione con la devastazione provocata dall' attività controrivoluzionaria dei contras.

Alla fine questa situazione logorò la rivoluzione e le masse che l'appoggiavano. Evitando di tagliare definitivamente i ponti con il sistema capitalista, si permise alla vecchia classe dominante di tornare in auge. Nell'84 Ortega ottenne una decisiva vittoria elettorale, ma nel 1990 la leadership sandinista era indebolita. Le elezioni si tennero nell'ambito degli "accordi di pace". A causa di sabotaggi e guerriglia contra, il reddito pro-capite era diminuito drasticamente e molte infrastrutture erano gravemente danneggiate. La rivoluzione sembrava ad un punto morto, ed in questa situazione la destra riguadagnò il potere. Vinse le elezioni, così come tutte le successive fino ad oggi, e Violeta Chamorro divenne presidente, distruggendo le riforme sandiniste e riportando le condizioni di vita della gente a quelle del passato.

Nonostante questi fatti e la sconfitta del 1990, tanti si ricordano dei successi ottenuti nell'epoca di governo sandinista. Persino la BBC ha dovuto ammettere che "I sandinisti iniziarono a ridistribuire la proprietà ed ottennero notevoli progressi in campo medico ed educativo."

Tradizioni rivoluzionarie

L'atteggiamento della gente comune nel voto di domenica è stata espressa chiaramente dalle interviste fatte dai reporter della BBC sia prima che durante le operazioni elettorali. "[Ortega] è l'unico a preoccuparsi dei poveri, tutti gli altri pensano ai ricchi," ha detto William Medina fuori da un seggio di Managua. Secondo Nora Ramirez, che vive in uno dei più poveri sobborghi della capitale, "ci ha ben governati negli anni '80 e può farlo ancora. Daniel ci ha dato latte, scuola gratuita e buoni ospedali...Mentre adesso tutto è così caro e mangiamo solo riso e fagioli." Ecco i ricordi dei tempi rivoluzionari ancora vivi nelle menti dei poveri. Alcuni di loro chiamano Ortega "il Comandante", riferendosi chiaramente ai tempi in cui guidava la guerriglia sandinista contro l'oligarchia ed i suoi alleati.

Nel passato va ricercata la ragione dell'odio dei ricchi verso Ortega, che lo vedono come colui che distrusse le fondamenta del loro potere negli anni '80. Avrebbero potuto perdere tutto. Hanno combattuto disperatamente contro i sandinisti, organizzando la terribile e brutale guerra dei contras con l'appoggio dell'imperialismo statunitense. Il popolo del Nicaragua lottò con coraggio per difendere la rivoluzione e avrebbe potuto sradicare definitivamente capitalismo e latifondo.

Il voto ad Ortega è quindi un voto per un cambiamento radicale. La gente esige le riforme già fatte in passato. Ha vissuto per decenni sotto la vecchia dittatura dei Somoza, ma ha anche avuto l'opportunità di vedere come sarebbero andate le cose se la ricchezza del paese fosse stata controllata da chi la produce, cioè lavoratori e contadini. Quando tutto ciò è finito si è tornati a soffrire terribilmente. Ora il vento della rivoluzione è tornato a soffiare in tutta l'America Latina ridando fiato alle fiamme rivoluzionarie che non si erano mai spente del tutto in Nicaragua. Dopo tre tentativi infruttuosi di arrivare alla presidenza, adesso Ortega è tornato.

La svolta a destra di Ortega

La grande domanda comunque adesso è: che cosa farà? Le sue dichiarazioni sfortunatamente non fanno presagire nulla di buono. Ha detto di essere cambiato, di non essere più il rivoluzionario che espropriò le proprietà dei ricchi dopo la rivoluzione del 1979. La sua priorità sta nel favorire investimenti dall'estero. Per cui non può nemmeno accennare alla possibilità di espropriazione dei ricchi.

Ecco come si spiega il passaggio seguente tratto dal manifesto elettorale di Ortega, che compare col sottotitolo "Il nostro impegno verso la proprietà privata":

"Il governo di unità e riconciliazione nazionale [come si chiamerà il futuro esecutivo sandinista] riconosce il ruolo che operai, contadini, imprese private, cooperative e banche, insieme ad altri settori chiave, avranno nel costruire un nuovo Nicaragua libero da corruzione e ruberie. Quindi il nostro impegno nei confronti della proprietà privata, sia essa grande, media o piccola, è totale: nessuna confisca, nessuna espropriazione, nessuna occupazione sarà permessa dal governo di unità e riconciliazione nazionale."

Questi concetti esprimono bene la svolta a destra di Ortega rispetto ai tempi del "Comandante". In effetti si è profondamente trasformato. Del vecchio "Comandante" sembrerebbe essere rimasto solo il guscio esterno. Ha addirittura abbandonato i vecchi colori del movimento sandinista, rosso e nero, passando al rosa! Colore conveniente, da ossequioso riformismo socialdemocratico, buono per quelli che strisciano ai piedi dei boss implorando qualche briciola per alleviare la sofferenza dei poveri, non il colore della rivoluzione! E siccome non era abbastanza, Ortega ha scelto come compagno di viaggio verso la presidenza - colui che sarà quindi vicepresidente - Jaime Morales, banchiere ed ex leader dei contras. Mezzo milione di nicaraguensi hanno perso la vita nella guerra contro di loro, ed il governo sandinista fu costretto a dedicare risorse al combattimento piuttosto che utilizzarle a beneficio dei comuni lavoratori. Ed ora il "Comandante" si appresta a guidare il paese in compagnia dei vecchi dirigenti contras. Chi negli anni '80 avesse azzardato un'ipotesi del genere sarebbe stato considerato un buon autore di fantascienza.

Ortega ha parlato anche di "perdono" per gli "errori" del passato. Sottolinea il fatto di essere cristiano. Subito prima delle elezioni i sandinisti hanno votato per il divieto totale di aborto nel paese, tentando così di ammansire la gerarchia della chiesa cattolica. Ecco come Ortega pensa di poter attrarre capitali dall'estero, appoggiando ogni richiesta della classe dominante. Questa profonda svolta a destra da parte della leadership sandinista può anche spiegare come mai Ortega è arrivato solo al 38%. Nelle condizioni attuali del paese, con l'80% della popolazione che vive in povertà, si poteva pensare che Ortega potesse vincere con un margine molto più grande. Ed in effetti si nota che malgrado i tentativi di accattivarsi l'oligarchia dominante, di dare ai ricchi garanzie per le loro proprietà e così via, non si è guadagnato l'appoggio di una parte significativa di coloro che avrebbero dovuto votare per i sandinisti.

Non avendo portato avanti un convincente programma rivoluzionario, Ortega ha voluto rendere chiaro che non toccherà in maniera decisiva gli interessi dei ricchi che controllano l'economia del paese.

E' vero che Ortega ha promesso scuole migliori, ospedali e via dicendo. Ma non ha detto dove avrebbe preso i soldi per tutto ciò. Senza prelevare la ricchezza dalle tasche di oligarchi e imperialisti non avrà le risorse con cui portare avanti queste riforme. Nemmeno negli anni '80, quando aveva un controllo maggiore sulla sfera economica, è stato in grado di completare la rivoluzione. Lasciò una parte importante della ricchezza nelle mani dei capitalisti. Attualmente ha un livello di controllo inferiore sulle risorse della nazione.

Le pressioni dell'imperialismo

Con la sconfitta della rivoluzione sandinista l'imperialismo statunitense ha ripreso in mano le redini dell'economia, dettando le regole tramite FMI e Banca Mondiale. L'ultimo passo in questa direzione è stato compiuto nell'aprile di quest'anno, con l'entrata in vigore di un accordo di libero commercio con gli Stati Uniti, dopo che il congresso del Nicaragua aveva già approvato l'Accordo di Libero commercio del Centro America (Cafta) nell'ottobre dell'anno scorso.

Da tutto ciò si comprende che tipo di politiche il Nicaragua debba portare avanti se vuole continuare a ricevere "aiuti" dagli imperialisti. Ma le volontà della popolazione vanno in direzione opposta, senza possibilità di compromesso. Ortega fomenta solo illusioni se crede che autentiche e sostanziali politiche di riforma possano avere successo mantenendo intatte le proprietà dell'oligarchi e dell'imperialismo.

Una parte delle masse crede veramente che i sandinisti possano ritornare alle riforme degli anni rivoluzionari. Ma se Ortega mantiene inalterati i suoi impegni per il rispetto della proprietà privata e delle attività di banchieri e capitalisti, nessuna delle sue promesse potrà essere mantenuta. E d'altra parte avrà un banchiere al suo fianco a ricordagli i suoi impegni!

La contraddizione tra le aspirazioni delle masse che hanno votato Ortega ed il programma da lui proposto, ha avuto anche un risvolto cromatico durante la campagna elettorale. Se infatti il candidato si è circondato del suo nuovo colore, il rosa, la gente srotolava bandiere coi vecchi colori, rosso e nero.

Secondo le "politiche di aggiustamento strutturale" la compagnia elettrica dovrebbe essere privatizzata. Ortega si opporrà oppure si piegherà alle pressioni dell'imperialismo? Aumenterà le spese per sanità ed educazione contro i dettami delle stesse politiche?

Ci saranno quindi molte prove per Ortega ed il suo governo. Molti militanti del movimento sandinista punteranno su cambiamenti radicali e su un ritorno alle tradizioni rivoluzionarie del passato. Apprenderanno lezioni importanti nel prossimo periodo. In passato hanno tentato di portare avanti la rivoluzione ma sono stati fermati a metà strada, Hanno avuto il potere nelle loro mani ma se lo sono lascito sfuggire. Ora venne offerta loro un'altra possibilità: hanno dalla loro parte la situazione internazionale. Movimenti rivoluzionari crescono in tutta l'America Latina e ciò rafforza enormemente le masse del Nicaragua. Non ci sono più scuse per scendere a compromessi. Una nuova rivoluzione non sarebbe isolata e per gli USA sarebbe più difficile intervenire. Hanno già problemi anche più gravi in Venezuela, Bolivia, Messico, ecc...Una vera rivoluzione, questa volta portata a termine avrebbe l'effetto di accendere la miccia in tutto il resto del continente.

Daniel Ortega, per ora, non ha dato alcuna indicazione che lasciasse pensare ad un ritorno al suo passato rivoluzionario. Al contrario fa tutto il possibile per apparire credibile agli occhi di capitalisti locali ed imperialisti nordamericani quando assicura che, finché c'è lui, i loro interessi economici sono al sicuro. Ciò però non significa che, all'interno del movimento sandinista, non possa svilupparsi una vera opposizione rivoluzionaria. E certamente si svilupperà, con una base sandinista più vicina ai bisogni del popolo che vorrà cambiare le cose mentre Ortega dall'alto tenterà di fermare indietro il movimento.

8 novembre 2006