Il referendum scozzese scuote il sistema: la lotta per il socialismo continua

Il referendum per l'indipendenza ha prodotto un cambiamento epocale nel panorama politico scozzese. La campagna ha scosso l'intera società coinvolgendo anche chi non aveva mai votato prima. L'affluenza è stata un inedito 85%, più di tre milioni e mezzo di persone, una percentuale più alta di qualsiasi elezione mai tenuta nella storia del Regno Unito.

Questo da solo lo rende un terremoto politico. Anche se gli scozzesi hanno respinto l'indipendenza, hanno mandato un messaggio forte e chiaro all'establishment politico britannico. Sebbene la maggioranza degli scozzesi ha votato contro la separazione, il 45, una percentuale molto considerevole, ha votato per l'indipendenza, un enorme aumento rispetto ad ogni rilevazione precedente. Si è trattato senza dubbio dell'espressione di un cambiamento fondamentale. Nelle ultime settimane, la campagna per il sì ha ottenuto consensi crescenti. Il sondaggio YouGov del 5 settembre che dava in vantaggio il sì ha segnato uno spartiacque.

A Glasgow, la più grande città della Scozia, il sì ha vinto per 25.000 voti. Ciò significa che molte centinaia di migliaia di lavoratori dei quartieri popolari hanno votato sì non a sostegno del nazionalismo scozzese, ma per un cambiamento fondamentale della situazione. Il fatto che oltre un milione e seicentomila persone abbiano votato per separarsi dalla Gran Bretagna e dalle sue istituzioni marce è un segno di crescente malcontento verso la "austerità britannica", un dato che non finirà con questo referendum. Molti di quelli che hanno votato sì lo hanno fatto per rifiutare le di quei «Tory fottuti», per usare le parole di Cameron.

Pur avendo vinto il referendum, il risultato è lontano dall'essere una grande affermazione per la campagna "Better Together". Mentre sino all'inizio di agosto la maggior parte dei sondaggi dava una differenza di oltre il 10% a favore del sì, in poche settimane il divario si è rapidamente colmato.

Il secondo dibattito, il 25 agosto, è stato un momento chiave con la chiara vittoria di Alex Salmond su Alistair Darling. Mentre nel primo dibattito Salmond è inciampato sulla questione della moneta, nel secondo le sue posizioni sullo stato sociale sono risultate molto più popolari. Essersi mostrato come un fautore di riforme opposte alla "austerità britannica" ha portato, secondo il sondaggio YouGov, a uno spostamento di elettori laburisti a favore del sì dal 18% ad agosto al 35% all'inizio di settembre. Questo spostamento e il desiderio di cambiamento si sono riflessi nel risultato. Le quattro aree dove ha vinto il sì - Glasgow, Dundee, North Lanarkshire e West Dunbartonshire - sono tutte roccaforti laburiste che hanno sofferto pesantemente per la de-industrializzazione negli ultimi quarant'anni.

La paura per l'alta affluenza e per la vittoria del sì hanno scosso il sistema e hanno portato a promesse, dettate dal panico, di maggiori poteri alle istituzioni scozzesi dal fronte del no che ora dovrà mantenerle, nonostante l'opposizione dei deputati Tory.

Nonostante il risultato, la campagna per il no è stata chiaramente macchiata dalla innaturale alleanza tra laburisti e  conservatori (Tories) e liberal-democratici, i partiti principali sempre più malvisti, come spina dorsale del sistema. Cameron, Clegg e Miliband non potevano girare per le strade per paura di essere insultati. I laburisti in Scozia sono considerati più a destra che altrove in Gran Bretagna, il che ha giovato ai nazionalisti. Mentre Alex Salmond si presentava con una retorica del cambiamento in stile Obama, dipingendosi come un socialdemocratico, tutti e tre i partiti (compreso il Labour) hanno appoggiato l'austerità e non potevano quindi fare altro che spaventare gli elettori invece di convincerli.

Cameron e soci hanno arrogantemente rifiutato di sottoporre al voto l'opzione «devolution max» sulla scheda elettorale, che avrebbe vinto. Per ironia della sorte, nel panico della campagna degli ultimi giorni di campagna elettorale, laburisti e Tory hanno rapidamente offerto di aumentare la devolution per ritornare in vantaggio.

C'è stato un forte sospiro di sollievo a Westminster dopo i risultati. Danny Alexander, deputato liberal-democratico, ha dichiarato: "i mercati hanno reagito bene", come se "i mercati" fossero l'elettorato. Ma, come disse Walpole, "oggi suonano le campane, domani si torceranno le mani."

Ora molti in Scozia sono comprensibilmente delusi e arrabbiati per il risultato, visto come un'occasione mancata per cambiare davvero. È un sogno infranto. Anche molti a sinistra sono fortemente delusi in quanto vedono il voto come un sostegno allo status quo. Alcuni pensavano che la vittoria del sì avrebbe creato una Scozia più "progressista" con maggiori opportunità per il socialismo. Questa era la visione di Tommy Sheridan e e del SSP (Scottish Socialist Party). "Votare Sì il 18 settembre apre la porta a possibilità prima irraggiungibili per la classe lavoratrice in Scozia", ha scritto Colin Fox, co-portavoce del SSP. "Ci libererà dal neoliberismo della City che mette l'avida ricerca del profitto di una piccola élite davanti ai bisogni primari di tutti ... In una Scozia socialista indipendente nessuno sarebbe lasciato indietro..." (Scottish Socialist Voice, 5-18 Settembre 2014).

Questa posizione ignora il piccolo dettaglio che il socialismo non era una scelta prevista sulla scheda elettorale! L'indipendenza per Salmond è sempre stata legata al capitalismo e all'establishment britannico, come si vede dalla promessa di abbassare le tasse alle grandi imprese, mantenere la sterlina, mantenere la Regina come capo di stato e di aderire alla NATO e all'UE. La realtà è che, fintanto che la Scozia, seppure indipendente, rimarrà capitalista, dominerà l'austerità. Non sono solo i cattivi Tories a Westminster che stanno portando avanti i tagli. In risposta alla crisi globale del capitalismo i governi di sinistra e di destra di tutta Europa sono costretti ad adottare misure di austerità nel tentativo di salvare il capitalismo. Un sì non avrebbe cambiato questo fatto. I tagli e la subordinazione all'imperialismo occidentale sarebbero ricaduti sul SNP. Qualunque partito che non voglia rompere con il sistema capitalista avrebbe dovuto fare lo stesso. Non c'era alcuna forza della campagna per il Sì - dal SNP al SSP e alla Radical independence Campaign (Campagna per l'indipendenza radicale) – che ponevano seriamente la necessità di un'alternativa al capitalismo, ma facevano solo vaghe promesse di "cambiamento progressivo."

Altri, come Billy Bragg, hanno usato i nomi di James Connolly e John MacLean per sostenere il nazionalismo. Hanno lasciato da parte il piccolo fatto che questi ultimi erano grandi rivoluzionari e marxisti, non nazionalisti. Soprattutto, erano socialisti internazionalisti. Connelly avvertì chiaramente gli irlandesi che "si può issare la bandiera verde sopra il Castello di Dublino, ma l'Inghilterra ci comanderebbe comunque attraverso il suo capitale". MacLean, che aveva perso la speranza che i lavoratori inglesi prendessero il potere con la rivoluzione, si batteva tuttavia per una repubblica operaia scozzese, cioè per il rovesciamento del capitalismo. Tuttavia, dopo pochi anni lo sciopero generale del 1926 ha mostrato il potenziale rivoluzionario che esisteva in tutta la Gran Bretagna.

Dopo la caduta dell'Unione Sovietica, è ancora più chiaro che il socialismo è internazionale o non è nulla. Il socialismo in un solo paese non è possibile, a maggior ragione in un piccolo paese come la Scozia. La lotta per il socialismo ha bisogno dell'unità della classe operaia. Siamo più forti uniti e tutto ciò che divide la classe operaia mina questa lotta. L'idea che gli scozzesi siano naturalmente più di sinistra dei lavoratori nel resto della Gran Bretagna è falsa ed è solo un modo per assecondare i pregiudizi nazionalistici. È una carta nelle mani della classe dominante britannica che vuole promuovere un'immagine conservatrice della classe lavoratrice inglese. È un falso, come dimostrano avvenimenti quali quelli del 10 luglio dove sei sindacati hanno scioperato in Inghilterra, solo uno in Scozia. C'è enorme amarezza e rabbia in Inghilterra e nel Galles contro il sistema e i suoi fantocci politici. Come in Scozia, si ha la sensazione di essere continuamente delusi. L'affluenza senza precedenti alla consultazione referendaria dimostra rabbia e desiderio di cambiamento. Se il partito laburista si fosse comportato come l'effettivo rappresentante dei lavoratori e avesse difeso una politica socialista avrebbe riportato una vittoria schiacciante per tutta la lunghezza e larghezza delle isole britanniche. Ma i leader laburisti sono vergognosamente legati mani e piedi al capitalismo. Spetta ai sindacati cambiare le cose.

La questione chiave per noi è quella di classe. I lavoratori di Glasgow hanno più in comune con i lavoratori di Manchester che con gli uomini d'affari di Aberdeen. La classe lavoratrice britannica si è sviluppata insieme forgiata dalle lotte comuni. È così anche oggi. Nel novembre del 2011 sono scesi in sciopero oltre 2 milioni di lavoratori del settore pubblico in tutta la Gran Bretagna. I lavoratori britannici sono uniti dai comuni interessi di classe e questi interessi si trovano nel rovesciamento del capitalismo. È solo attraverso la lotta per il socialismo, che si basa sulla massima unità della classe operaia, che siamo in grado di offrire un reale cambiamento attraverso la proprietà pubblica e lo smantellamento del potere delle grandi imprese. Accontentarsi di avere il capitalismo scozzese locale, con la propria classe capitalista, porterebbe a ulteriori difficoltà per i lavoratori.

Durante la campagna referendaria molti a sinistra si sono dimenticati la questione di classe, e dopo aver perso fiducia nella capacità della classe lavoratrice di realizzare il socialismo, si accontentano dell'indipendenza capitalista. Dopo i risultati, molti a sinistra hanno già fatto dichiarazioni sostenendo che si vergognano e sono irritati perchè il popolo scozzese non ha votato Sì. È scandaloso attribuire alle masse un simile intento, molti erano timorosi di una Scozia «amica delle imprese». Come ha detto George Galloway, si aprirebbe la strada per una corsa al ribasso dei diritti”. L'ala sinistra del Si ha abbandonato l'alternativa socialista al fine di non allontanare i loro "alleati" nel SNP.

Come abbiamo detto, la vittoria di stretta misura per il No non significa l'accettazione dello status quo. È ben lungi dall'essere una vittoria totale per la classe dominante britannica. Il loro sospiro di sollievo non ci deve avvilire. La classe dirigente è stata visibilmente scossa. La politicizzazione di massa che circonda questa campagna, che ha attirato decine di migliaia di incontri e assemblee per la prima volta, è un enorme passo avanti. Si tratta di un riflesso di una profonda voglia di un radicale cambiamento. Dobbiamo lavorare per collegare questo stato d'animo, insieme a lavoratori in tutta la Gran Bretagna, alla lotta per il socialismo.

La situazione internazionale dimostra che la lotta di classe è ben lungi dall'essere fuori gioco, ci sono movimenti continui in corso in tutto il mondo. Manteniamo la nostra fiducia nella classe operaia e nella sua capacità di rovesciare questo sistema capitalista marcio - in Scozia e in tutta la Gran Bretagna. In Scozia continueremo a lottare mantenendo ben chiara nelle nostre teste una prospettiva internazionalista di classe. L'unica risposta ai nostri problemi e a quelli dei lavoratori in tutto il mondo, è il rovesciamento del capitalismo in Gran Bretagna come parte di un nuovo ordine socialista internazionale. Facciamo appello a tutti coloro che lottano per il cambiamento in Scozia a unirsi a noi.

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