Il mostro di Frankenstein dell'imperialismo alza la testa

Martedì 11 giugno, il gruppo fondamentalista islamico ISIS ha conquistato Mosul, una città chiave dell’Iraq settentrionale, procedendo poi in direzione di Baghdad e catturando diverse altre importanti città. Centinaia di migliaia di rifugiati sono in fuga da questi centri, temendo per la loro sorte sotto il governo di questo gruppo ultrareazionario. Questo spettro di barbarie che si staglia all’orizzonte è un risultato diretto delle ciniche avventure dell’imperialismo statunitense.

La mattina di martedì 10 giugno, fondamentalisti islamici provenienti dal deserto hanno conquistato l’aeroporto di Mosul, le sue stazioni televisive e l’ufficio del governatore. Migliaia di prigionieri sono stati liberati mentre i ribelli consolidavano la loro posizione nella città.

L’esercito iracheno contava più di 30.000 truppe poste a difesa della città. Ma queste forze sono letteralmente fuggite senza combattere, lasciando indietro armi ed equipaggiamenti. I miliziani hanno potuto così occupare le piazze ed i viali della città senza praticamente sparare un colpo. Sembra che gli islamisti abbiano sottratto 480 milioni di dollari in banconote dalle banche di Mosul, per non parlare del bottino (stimato in milioni e milioni di dollari) di equipaggiamento militare sottratto all’esercito iraqeno in fuga: fucili, giubbotti antiproiettile, jeep HMMWV, artiglieria pesante, aerei da carico e perfino elicotteri militari Blackhawk.

Almeno mezzo milione di persone ha già lasciato la città, terrorizzati dallew prospettive future. L’ISIS ha già dichiarato che in un paio di giorni sarebbe stata introdotta la Sharia nella zona. Mosul è abitata da persone di diverse nazionalità, che hanno convissuto per generazioni. Assieme alla maggioranza araba sunnita, nell’area vivono migliaia di assiri, curdi, turkmeni, shabaki ed armeni. Ora, ogni non-sunnita è un potenziale nemico del nuovo regime.

Oltre ad essere una delle maggiori città irachene, coi suoi due milioni di abitanti, Mosul è anche un importante crocevia e centro di scambio commerciale. La cattura della città segna un evento fondamentale nella guerra civile che coinvolge Siria ed Iraq e che ora minaccia l’intera regione.

Dopo la cattura di Mosul, gli islamisti dell’ISIS hanno conquistato la città di Tikrit e l’importante centro petrolifero di Baiji, dove si trova la più importante raffineria dell’Iraq. La presa della città sembra essere stata ancora più semplice di Mosul; i rapporti indicano che polizia e forze armate si sono arrese dopo una telefonata.

L’esercito iracheno, formalmente composto da 800.000 uomini (di cui 300.000 in servizio attivo) sta letteralmente crollando davanti ad una forza armata di qualche migliaio di fondamentalisti islamici. L'esercito, demoralizzato e malnutrito, non ha intenzione di mettere a repentaglio la propria esistenza combattendo contro  l'Isis determinato e ben equipaggiato. Secondo il New York Times:

“Mentre le forze del governo iracheno disertavano prima dell'assalto dell'ISIS, ha cominciato a diffondersi la voce secondo la quale i soldati avessero ricevuto dai loro superiori l'ordine di arrendersi. Un comandante della provincia di Salahuddin, la regione di Tikrit, ha riportato in una intervista: 'Abbiamo ricevuto la telefonata di un alto ufficiale che ci chiedeva di arrenderci. Quando ho provato ad oppormi, mi è stato detto che era un ordine'.”

L'offensiva ha lasciato nelle mani degli islamisti un'area pari alla metà della superficie dell'Iraq.

Barbarie

L'ISIS traccia le proprie radici fra le milizie estremiste sunnite che formavano la sezione iraqena di Al Qaeda. ISIS è un acronimo che sta per Islamic State in Iraq and Sham, cioè Stato Islamico nell’Iraq e nello Sham (‘ad-dawla ‘ad-islamiyya fil-‘iraq wash-sham; al-Sham è il nome arabo classico della regione siro-levantina, N.d.T.). Fino a qualche tempo fa era un gruppo marginalizzato anche all'interno del movimento islamista, in quanto considerato troppo estremista; ha guadagnato una sinistra fama attraverso i metodi della crocifissione e della decapitazione. Era principalmente isolato nelle aree desertiche e tribali dell'Iraq occidentale, dove lo stato di disintegrazione dello stato iraqeno e l'arretratezza delle regioni ha permesso a questo gruppo di stabilire una base operativa.

Esso ha adottato la tecnica dell'assalto alle prigioni dove i propri membri venivano rinchiusi (con un totale di 24 prigioni colpite), allo scopo di liberare i commilitoni e reclutare fra i detenuti. L'anno scorso ISIS ha attaccato il famigerato complesso di Abu Ghraib, liberando 1000 prigionieri. Ha liberato anche 2400 detenuti a Mosul recentemente, reclutando criminali comuni ed assassini con la promessa di bottino. In questo modo, alcuni tra gli elementi peggiori della società iraqena – escludendo ovviamente quelli al governo – sono stati reclutati all'interno del gruppo jihadista.

Nello scorso anno ISIS ha tentato con sempre più determinazione di intervenire nella guerra civile siriana. Inizialmente, ha ricercato la fusione con il Fronte Al Nusra, la sezione ufficiale di Al Qaeda in Siria; fusione mai avvenuta per la divergenza di vedute tra i gruppi riguardo ai termini dell'accorpamento. A causa della propria linea intransigente, ISIS riuscì a guadagnarsi una base di sostenitori tra i veterani del jihad che combattevano in Siria. Secondo alcune stime, probabilmente esagerate, fino alla metà dei combattenti di Al Nusra potrebbe essere passata all'ISIS, il cui scopo dichiarato, piuttosto che quello di combattere Assad, è quello di stabilire il Califfato nel territorio tra Iraq e Siria.

In Siria il gruppo ha guadagnato la reputazione di una milizia particolarmente violenta ed odiata, ottenendo il controllo delle zone rurali presso il confine con l'Iraq. Per tutto l'anno passato     il gruppo si è tenuto occupato combattendo gli altri ribelli in Siria, mentre Assad lo ha lasciato praticamente indisturbato. Questa tregua non dichiarata ha aiutato Assad ad ottenere supporto sul fronte interno e mettere pressione sull'imperialismo USA, Israele  e gli stati del Golfo. Tra i giornalisti in Siria si è diffusa la barzelletta secondo la quale il posto più sicuro contro i raid aerei si trovasse nel quartier generale dell'ISIS.

Tutto ciò ha permesso all'ISIS di consolidare il suo controllo di una larga parte della Siria orientale, dove ha preso possesso di numerosi giacimenti petroliferi. Secondo una fonte, un pozzo petrolifero controllato da questo gruppo a sud di Raqqa porta ad un profitto di oltre 1.3 milioni di dollari al giorno, mentre altri pozzi nelle stessa regione frutterebbero 500.000 dollari al giorno. Il gruppo si finanzia anche attraverso rapimenti e richieste di riscatti (sia di persone della regione che di stranieri, come i giornalisti), nonché mediante rapine e saccheggi delle aree catturate, compresi i siti archeologici e le industrie. Inoltre, ISIS si è impossessata delle produzioni di grano e cotone nelle regioni orientali, nonché di silos di grano il cui contenuto era stimato valere circa 25 milioni di dollari.

Il conflitto siriano ha permesso all'ISIS di aumentare nettamente il proprio arsenale ed equipaggiamento, sia con armi e materiale ottenuto in combattimento che da trafficanti d'armi.

Il gruppo è cresciuto molto rapidamente nell'ultimo anno. Questo, unito alle accresciute disponibilità economiche, gli ha permesso di intraprendere azioni sempre più audaci. È su questa base che l'offensiva di ISIS in Iraq potrebbe espandersi e guadagnare slancio. Da combattere l'esercito iracheno nel deserto e nelle aree tribali il gruppo ha spostato la propria attenzione ai centri urbani. Il suo successo ha colto tutti di sorpresa; spostarsi nella Siria distrutta dalla guerra civile è diverso dal combattere l'Esercito iracheno, teoricamente superiore.

La vera ragione di questo successo è da ricercarsi nel carattere marcio del regime corrotto e criminale di Nouri Al-Maliki, che ha fomentato per anni conflitti su base settaria. I suoi metodi criminali e la corruzione diffusa hanno alienato strato dopo strato della popolazione. Allo stesso tempo, povertà e disoccupazione non smettono di crescere. Secondo la Banca Mondiale, il 28% delle famiglie irachene vive al di sotto della soglia di povertà, cifra destinata ad alzarsi fino al 70% nell'eventualità che la nazione si trovi costretta ad affrontare una grossa crisi come i conflitti armati dello scorso anno. Migliaia di famiglie si nutrono di spazzatura e vivono in discariche e baraccopoli.

Per spostare l'attenzione da questa situazione disastrosa, Al Maliki ha preso di mira in particolare la popolazione sunnita, i cui rappresentanti sono stati sistematicamente esclusi dal governo e dallo stato. Molti leaders sunniti sono “misteriosamente” scomparsi o sono stati uccisi, ed allo stesso tempo un'ondata di terrore si è diffusa con l'accrescimento numerico delle milizie reazionarie sciite finanziate da Maliki e dai suoi alleati. Basandosi sulla superiorità tecnica e numerica, ha tentato di silenziare i propri avversari sunniti  con la forza militare.

La guerra contro ISIS è stata definita una “guerra al terrorismo”, ed è stata frequentemente usata come scusa per colpire i rivali di Maliki e perfino i civili. Questo ha spinto sempre più persone nelle braccia dell'ISIS, che preferiscono i reazionari sunniti al terrore sciita sponsorizzato da Maliki. In gennaio, quando ISIS ha spinto le proprie forze armate nelle città, specialmente Falluja e Ramadi, il governo ha trattato quelle intere zone urbane come zone di guerra controllate dal nemico.

Le azioni del governo hanno preparato la strada ad una ulteriore mobilitazione di giovani scontenti da parte dei fondamentalisti. Mesi di bombardamenti di artiglieria sui quartieri della provincia di Anbar hanno fomentato lo spirito di vendetta tra le famiglie delle vittime.

In febbraio, un gruppo di persone ha indetto una campagna di riconciliazione tra il governo e le tribù locali della provincia di Anbar. Nonostante il diffuso appoggio alla  campagna, il governo non si è ritirato di un centimetro. Questo non ha fatto altro che gettare benzina sul fuoco. Il governo ha deliberatamente sabotato le recenti elezioni parlamentari nelle aree sunnite.

Tutto questo ha provocato una totale delegittimazione del governo nelle aree sunnite dell'Iraq. Così, l'ISIS, la forza più determinata ed organizzata, è riuscita a prendere l'iniziativa, incorporando altre milizie sunnite, vecchi alti ufficiali del regime e dell'esercito di Saddam Hussein, molti capi tribali e perfino il supporto attivo o passivo delle popolazioni cittadine. Questa è la base della strategia offensiva dell'ISIS.

I curdi

Anche nelle regioni dell'Iraq del nord le continue azioni autoritarie del regime di Maliki sono riuscite a delegittimare il governo iracheno agli occhi della popolazione della regione autonoma curda. Maliki ha ripetutamente richiesto l'obbedienza dai curdi, i quali mantengono rapporti sia col governo iraqeno che con quello turco. In effetti, da lungo tempo il Kurdistan iraqeno è de facto uno stato autonomo. Nel mese scorso i curdi hanno cominciato ad esportare il proprio petrolio, eludendo i controlli del governo centrale. Allo stesso tempo, il governo ha bloccato i finanziamenti nazionali per lo sviluppo della regione. E solo qualche settimana fa il governo curdo ha avvertito il governo di Maliki di un attacco imminente a Mosul, per il quale Baghdad non ha reagito.

Anche i curdi hanno le proprie forze armate, ma a causa del deterioramento del rapporto tra questa popolazione ed il governo centrale, esse hanno fatto poco o nulla per aiutarlo a difendere Mosul da ISIS. Dato che l'esercito iraqeno è in stato di dissoluzione, l'esercito di Peshmerga dei curdi ha assunto il controllo di aree che precedentemente non erano sotto la giurisdizione del Governo Regionale Curdo. Fra le altre, hanno conquistato la importante città petrolifera di Kirkuk. Ora ci sono inevitabili scontri tra le forze islamiste e quelle curde. Ma questa sarà una sfida molto più dura per l'ISIS che quella posta dall'esercito iracheno.

Esercito demoralizzato

La velocità con cui l'esercito iraqeno si sta dissolvendo ha sorpreso anche alcuni fondamentalisti. Questi ultimi, ultimamente, hanno conquistato almeno cinque installazioni militari, nonché l'aeroporto di Mosul. I soldati iracheni, disperati, hanno dovuto far saltare le proprie basi per evitare di perdere ulteriori armi. L'imperialismo statunitense ha speso 14 miliardi di dollari per ricostruire le forze di sicurezza dell'Iraq e prepararle a mantenere l'ordine nel paese; una frazione sempre più grande dei materiali ottenuti grazie a questi investimenti sta cadendo in mano alle forze dell'ISIS.

Questo enorme investimento in armi ed equipaggiamenti è in contrasto totale rispetto al sottofinanziamento cronico dell'esercito in sé, un fattore chiave nel promuovere le diserzioni di massa. I soldati sono spesso malnutriti e privi di equipaggiamento di base e munizioni. I commentatori militari USA stimano che il 40% o 50% dei soldati abbiano disertato. Prima dell'episodio di Mosul, l'esercito iraqeno perdeva più di 300 soldati al giorno a causa di diserzioni, morti ed incidenti.

La tattica dell'ISIS finora è stata quella di lanciare una serie di attacchi violenti seguiti da veloci ritirate strategiche. Questo al fine di abbattere il morale già basso del nemico con poche perdite.

Secondo il New York Times:

“Un ex soldato ventiquattrenne che ci ha dato solo il suo nome a causa dell'illegalità della diserzione, Mohamed, ha detto di aver combattuto a Ramadi. I suoi colleghi hanno cominciato a disertare mesi prima, al crescere del totale dei morti. 'Mi pareva di combattere contro eserciti interi invece che contro un solo gruppo armato. I militanti arrivavano a ondate, e quando le loro munizioni hanno cominciato a scarseggiare ci hanno mandato contro dei kamikaze'. Mohamed racconta che otto dei suoi amici sono morti e che anche lui stava per morire quando un colpo d'artiglieria ha centrato il suo Humvee. Quanto i fondamentalisti lo hanno preso di mira specificamente come bersaglio per l'assassionio costringendolo a scappare, fu quasi un sollievo. 'Sono stanco', dice 'siamo tutti stanchi'. Il governo ha diminuito artificialmente la grandezza di questa crisi, segnalando i soldati come 'assenti' invece che disertori. Gli ufficiali hanno anche attribuito la colpa del problema ad altri fattori, come la cattiva condizione delle strade che non permetteva ai soldati in licenza di raggiungere i campi di battaglia”

Come se tutto questo non bastasse, il regime è universalmente detestato per la sua corruzione e brutalità. Ecco come 4-500 soldati possono sconfiggere un esercito di numero incomparabilmente maggiore. Nessuno vuole rischiare la vita per Maliki. Molti soldati, specialmente sunniti, non vedrebbero alcuna differenza tra il dominio di un gruppo di criminali o un'altro. Una vasta quantità di equipaggiamento militare avanzato non può compensare per questo semplice fatto.

“Missione compiuta”

Dopo l'invasione del 2003, George W. Bush aveva orgogliosamente proclamato “missione compiuta”. Ma come vediamo ora, le prevedibili conseguenze dei fallimenti dell'imperialismo USA minacciano ora di spingere l'intera regione verso la guerra civile.

Il regime di Saddam Hussein era una dittatura brutale, ma ha giocato un ruolo utile dal punto di vista dell'imperialismo statunitense. Il regime manteneva il paese unito (sotto un pugno di ferro, certamente) e teneva a bada gli islamisti. La caduta di Saddam e soprattutto lo smantellamento dell'apparato statale e delle forze armate irachene da parte degli USA ha portato in superficie tutti le tensioni nazionali, tribali e settarie represse.

Invece che riunire il paese, gli Stati Uniti hanno basato il proprio dominio dell'Iraq sulle rivalità e le divisioni settarie esistenti nel paese. Una classica applicazione della tattica “divide et impera”, impedendo ai gruppi di coalizzarsi contro la presenza americana.

Dissolvendo l'esercito di Saddam, gli Stati Uniti hanno distrutto l'equilibrio militare dell'intera regione, mettendo sauditi ed israeliani in rotta di collisione con gli iraniani che fino al momento veniva tenuto a bada dalle truppe di Saddam.

Quando gli iraniani hanno inevitabilmente finito per estendere la propria influenza in Iraq, i paesi del Golfo hanno cominciato a finanziare gruppi fondamentalisti islamici sunniti in tutta la regione come contrappeso all'influenza iraniana. Ma facendo ciò, la reazionaria dinastia saudita ha messo in moto un processo che non è più in grado di controllare. La contemporanea radicalizzazione del movimento islamista sunnita lo sta rendendo una minaccia diretta al regime saudita.

Man mano che gli Stati Uniti prolungavano la propria presenza in Iraq, le tensioni settarie si approfondivano. Oltre a tutto questo, essi hanno installato Maliki a capo di un governo sempre più corrotto e settario. Nouri al Maliki è stato messo a capo della nazione come compromesso tra Iran ed USA. Ma la sua debolezza implicava il fatto che non avesse altra strada per sopravvivere che approfondire le divisioni settarie nel paese.

Ora tutti i commentatori sui mass media, che hanno passato l'ultimo decennio a difendere Maliki ed il conflitto in Iraq, lo additano come responsabile di questa confusione. Ovviamente, Maliki è un criminale particolarmente inetto in un regime di criminali. Ma sono precisamente l'invasione dell'Iraq e la sua occupazione ad aver costretto gli USA a dare supporto a figure del genere, simile in tutto e per tutto a quella di Karzai in Afghanistan. Questa creatura reazionaria è diventata pesante per tutti, ma gli USA si rendono conto che rimuovendolo dall'incarico dovranno affrontare uno scenario ancora peggiore. Il suo partito, nonostante sia il più grande in Parlamento, ha ottenuto solo 92 seggi su 328, mentre il secondo partito ne ha conquistati 34. Questo testimonia il grado di frammentazione del paese.

La presente tragedia è un diretto risultato di tutto ciò. L'avventato utilizzo delle politiche settarie introdotto dagli imperialisti americani è semplicemente stato portato alle sue conseguenze estreme da Maliki. I risultati sono cui stiamo assistendo oggi, l'inizio della rottura dell'Iraq e la crisi di un governo che non riesce nemmeno a raggruppare le forze necessarie per dichiarare uno stato di emergenza nazionale.

ISIS – una creazione dell'imperialismo

Come un elefante in un negozio di cristalli, gli imperialisti americani hanno rovinato tutto ciò che hanno toccato. Ogni mossa intrapresa dall'amministrazione americana sembra essere sbagliata. Hanno rimosso Saddam Hussein per ottenere un Iraq più malleabile ed invece ha dovuto impegnarsi in una sanguinosa ed impopolare guerra civile. Al Qaeda ha improvvisamente guadagnato una base in un paese in cui era stata precedentemente interdetta.

Poi, dopo le rivoluzioni della primavera araba, ha tentato di scalzare Gheddafi ed Assad. Contavano che gli alleati in Arabia Saudita e Qatar facessero tutto il lavoro sporco. Ma il governo americano si è trovato invece invece ad affrontare l'espansione della ribellione islamista dalla Libia a Mali, appoggiata da armi e denaro del Qatar.

Gli imperialisti statunitensi, non avendo imparato nulla dalla loro esperienza in Afghanistan, hanno provato ad appoggiarsi agli islamisti in

Siria, dove questi rappresentavano le truppe più affidabili su cui si potesse contare per sconfiggere le truppe di Assad. È oggettivo che l'amministrazione statunitense e la CIA, indirettamente ma consapevolmente, abbiano appoggiato direttamente gruppi collegati ad Al-Qaeda in Siria ed hanno facilitato i loro movimenti nella regione. L'ISIS altro non ha fatto che dare a questi gruppi una nuova casa mentre essi venivano radicalizzati nell'inferno della guerra civile.

Questa è una delle ragioni per la quale gli USA hanno deciso di non intraprendere la campagna di bombardamenti paventata lo scorso agosto. Ora i fondamentalisti hanno stabilito delle fortezze in Libia, Siria ed Iraq mentre prima erano confinati principalmente all'Afghanistan ed al Pakistan. “Missione compiuta”, decisamente!

Negli ultimi anni capendo ciò che solo ora è diventato chiaro per il mondo intero – l'irrimediabilità della situazione in cui sono infilati – l'amministrazione americana è entrata in una tacita alleanza de facto con gli iraniani ed Assad allo scopo di limitare l'influenza dei fondamentalisti che ora dominano il campo anti-Assad della guerra civile siriana. Non è chiaro se la CIA stessa abbia seguito questa linea o abbia invece continuato a supportare gli islamisti.

Si può dire la stessa cosa rispetto alla classe dominante turca che fin dall'inizio della guerra civile siriana ha scommesso sulla caduta del regime di Assad. Sembra che Erdogan non abbia idea di cosa sta facendo. Dopo anni in cui la presenza sul territorio turco di combattenti delle fila dell'opposizione sempre più dominati dai fondamentalisti islamici, il regime di Erdogan sembra essersi reso conto della minaccia che essi rappresentano per la stabilità della Turchia stessa. L'ISIS ha preso circa 80 cittadini turchi come ostaggi; fra questi, 3 bambini e 28 camionisti. Senza dubbio questi fatti non riscuoteranno l'approvazione dell'opinione pubblica turca, già stanca delle avventure imperialiste di Erdogan. La nazione ha dichiarato Al Nusra una organizzazione terrorista solo recentemente. Ma potrebbe già esere troppo tardi. Le unità islamiste hanno già ottenuto una conoscenza approfondita dei confini porosi del paese.

Gli iraniani, d'altra parte, in alleanza con Bashar Al-Assad, hanno permesso all'ISIS di attraversare la Siria orientale per mettere pressione sull'Occidente ed intimidire la popolazione siriana. Comunque, ora, l'intera regione è stata destabilizzata e le vie di rifornimento iraniane verso Siria e Libano sono state effettivamente bloccate, costringendoli ad adottare misure sempre più complicate per rifornire gli alleati in Libano e Siria. La situazione minaccia di coinvolgerli nella guerra civile, che potrebbe continuare per anni.

L'ISIS quindi non è altro se non il risultato delle azioni collettive di diverse potenze e dei loro giochi di potere. Oggi versano lacrime di coccodrillo, ma hanno cinicamente usato il conflitto settario per promuovere i propri interessi. Hanno creato un mostro che minaccia di destabilizzare l'intera regione. Ed ora tutto quello che riescono a fare è stare indietro, ed osservarsi l'un l'altro senza sapere cosa fare.

Esiste una pressione crescente che spinge per un ulteriore intervento militare americano, l'ultima cosa che Obama vuole. Non c'è voglia di farlo a Washington, né l'opinione pubblica americana sopporterebbe un'altra costosa avventura. I Repubblicani, ovviamente, chiederanno a gran voce un'azione militare, ma realisticamente l'amministrazione tenterà di limitare il più possibile il suo coinvolgimento.

I riflettori sono ora puntati sull'Iran, la potenza in espansione della regione. Le Guardie Rivoluzionarie Iraniane sono sta già mobilitate, e sul confine con l'Iraq hanno cominciato a concentrarsi le truppe. Lo scenario che sembra profilarsi è quello di un intervento di truppe di terra iraniane coordinato con attacchi aerei statunitensi – una continuazione della politica di distensione tra USA ed Iran.

A causa dei propri errori e passi falsi, gli USA hanno visto distanziarsi i loro alleati in Arabia Saudita, Qatar ed Israele, costringendoli a dialogare sempre di più con l'Iran, che dopo la distruzione dell'Iraq è diventato la potenza regionale dominante. L'accordo che viene discusso in questo momento non è altro che il riconoscimento di un dato di fatto.

Gli iraniani potrebbero decidere di agire in maniera risoluta per difendere i propri interessi, ma sono riluttanti ad entrare nelle stesse sabbie mobili dove gli americani sono rimasti intrappolati da un decennio perdendo un milione di milardi di dollari. È chiaro che non esiste forza armata nel Medio Oriente capace di controllare l'Iraq occidentale contro la loro volontà. E gli iracheni sunniti sicuramente non daranno il benvenuto a truppe iraniane sciite. Un'offensiva militare congiunta iraniano-americana non farebbe altro che peggiorare la crisi.

Il governo turco ha concesso l'autorizzazione al proprio esercito di condurre operazioni militare oltreconfine, col pretesto di salvare gli ostaggi turchi. Ma né Turchia né Arabia Saudita possono intervenire in modo decisivo senza peggiorare ancora la situazione. Ogni intervento verrebbe percepito come interferenza straniera ed ostile, rafforzando la posizione dell'ISIS. Quest'ultimo è stato finora sempre militarmente inferiore agli eserciti della regione, ma i continui attacchi del governo di Maliki ai sunniti della regione gli hanno fatto guadagnare il consenso popolare.

Non è chiaro cosa succederà ora. Quello che è chiaro è che la crescita del morale e delle finanze dell'ISIS rafforzerà questa forza nel prossimo periodo, rendendola in grado di consolidarsi temporaneamente. Ora si sta muovendo da nord verso Baghdad, ma la resistenza che dovranno affrontare man mano che si avvicina alla capitale sarà sempre più agguerrita. È possibile che le forze dell'ISIS tentino di attaccare e destabilizzare il governo centrale, per poi ritirarsi e consolidare il proprio controllo sulle zone più lontane dalla capitale.

In ogni caso, il processo di disintegrazione dell'Iraq ha subito un'accelerazione drammatica. Le aree tribali dell'ovest sono fuori dal controllo del governo centrale, ormai praticamente irraggiungibili. Le aree sotto influenza curda agiscono sempre più come uno stato a parte.

Una divisione settaria del paese porterà esodi di massa, pogrom, attacchi terroristici ed una sanguinosa guerra d'attrito tra i differenti gruppi etnici che compongono la popolazione dell'Iraq, i quali per centinaia d'anni avevano convissuto in pace. La regione che è stata la culla della civiltà rischia ora di precipitare nella barbarie. Questo è il risultato dei cinici giochi di potere degli imperialisti, che hanno sfruttato le differenze etnico-religiose per portare avanti i propri interessi.

In mancanza di un movimento operaio indipendente che si opponesse a loro ed al loro sistema corrotto, sono riusciti ad ottenere dei punti d'appoggio in Iraq basandosi sugli elementi più reazionari. Conseguentemente, per un certo periodo, la soluzione alla crisi irachena, come quella siriana, sarà da ricercarsi altrove, fuori dai confini di queste nazioni. Un movimento rivoluzionario nei paesi confinanti, un movimento in cui la classe lavoratrice giochi il ruolo decisivo, può cambiare la situazione in Iraq.

Le rivoluzioni arabe hanno dimostrato la potenzialità delle rivolte popolari nella regione. In Egitto abbiamo assistito ad una mobilitazione di milioni di persone abbattere prima il regime di Mubarak e poi quello di Morsi. In Turchia, l'anno scorso, abbiamo visto le mobilitazioni di massa contro il regime di Erdogan, e qualche mese fa quelle in protesta contro la strage dei minatori di Soma. In Iran le proteste del 2009 ci hanno dato un assaggio di quella che sarà la situazione futura. Perfino in Arabia Saudita vi sono segnali di una crescente opposizione sociale.

In Iraq, così come in Siria e Libia, però, abbiamo visto come la reazione più nera possa alzare la propria testa. Le masse non vogliono forze islamiche fondamentaliste al potere. E' solo la completa incapacità del capitalismo di offrire loro una soluzione ai problemi brucianti dei lavoratori ad aver spianato la strada a queste forze reazionarie e permetter loro di ottenere una base sociale.

L'unica classe che può offrire un'alternativa e una soluzione reale in Medio Oriente è la classe operaia. Le varie borghesie nazionali della regione sono marce e corrotte fino al midollo. Devono essere abbattute. Il marciume del capitalismo e dell'imperialismo in Iraq è la causa della presente situazione. La barbarie completa è l'unica cosa che ha da offrire. Solo spazzando via capitalismo ed imperialismo una volta per tutte si potrà garantire a tutti un'esistenza civile per la maggioranza della popolazione.

13 giugno 2014

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