È l’ora di lottare!

L’ottimismo pare sia l’unica merce che la borghesia sia disposta a regalare negli ultimi tempi. Monti è ottimista, e vede la luce in fondo al tunnel. I mercati sono al settimo cielo dopo la decisione della Bce di acquistare “senza limiti” i buoni del tesoro dei paesi della zona euro. Mai come oggi, tuttavia, questo ottimismo è pura propaganda.

L'editoriale del nuovo numero di FalceMartello

In Italia la crisi è pesantissima e l’autunno alle porte prepara un’emergenza occupazionale, con la perdita di mille posti di lavoro al giorno, avvertono i vertici sindacali. In Europa, la possibilità di una rottura dell’euro ha costretto Draghi all’intervento e a sancire la posizione della Bce come “prestatore di ultima istanza”.

L’acquisto dei titoli di Stato a breve termine da parte della Bce potrà dare un attimo di respiro a una zona euro decisamente traballante. Per inciso, viene incontro anche a una delle proposte che numerosi esponenti della sinistra hanno formulato, quando insistevano sulla necessità che la Bce comprasse i titoli degli stati europei come soluzione della crisi. Ma non è che un palliativo, che ha già incontrato una decisa opposizione in Germania e che, se adottato, potrebbe contribuire allo sviluppo di una spirale inflazionistica.

Inoltre i paesi che vi accederanno dovranno sottostare a condizioni capestro, simili a quelle imposte alla Grecia o al Portogallo. D’altra parte, non si è mai vista una banca che fa beneficenza!

Che la musica del rigore a tutti i costi non sia per nulla cambiata lo rivelano le ultime decisioni dei governi greco e francese. In Grecia, Samaras è pronto a varare un nuovo piano di tagli di 17 miliardi di euro per un paese già allo stremo delle forze, mentre Hollande vuole risparmiare 30 miliardi di euro nel 2013. “Un piano di risanamento senza precedenti” ha annunciato il premier socialista.

Destra e sinistra sono quindi unite dall’austerità. Una condizione inevitabile se non si vuole rompere con le compatibilità del capitalismo.

Lo vediamo anche in Italia, dove sembra che per le crisi aziendali che sono esplose recentemente sia impossibile trovare una soluzione che esca dalla logica del profitto e dalla ricerca di un “privato che sistemi le cose”. Una cortina fumogena che ottenebra le menti, che crea disperazione e che è necessario squarciare.


Nella pagina a fianco ci occupiamo del dibattito sulla riforma della legge elettorale. Il solco in cui si traccerà un eventuale nuovo sistema è già predisposto: dovrà garantire la governabilità a tutti i costi, nella linea di ciò che ha fatto il governo Monti.

Chiunque vincerà, dunque, dovrà attenersi al programma del governo dei tecnici. Questo è quello che vuole il presidente della Repubblica, questo è quello che vogliono i padroni, che riuniti al Forum Ambrosetti di Cernobbio, votano all’80% per un “Monti-bis”.

Cosa propone la sinistra “d’alternativa” per scompaginare questi piani? Come fare per ridare una voce a tutti quelle vertenze operaie, oggi nel Sulcis, domani in tante altre parti d’Italia?

Il tratto caratteristico delle mobilitazioni di questi ultimi mesi è stata una grande disponibilità alla lotta a cui è mancato qualunque punto di riferimento politico. E per riferimento non intendiamo solo la solidarietà, indispensabile, che i militanti del Prc portano ad ogni sciopero, ma una strategia complessiva da opporre agli attacchi del padronato e all’immobilismo dei vertici sindacali.

In questi giorni è partita quella che nelle intenzioni dei promotori è definita “un’offensiva referendaria”. La proposta di due referendum, fatta dall’Idv, per il ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e per l’abrogazione dell’articolo 8 della manovra varata dal governo Berlusconi, riguardante il contratto nazionale di lavoro, è stata raccolta dalla Fiom e a livello di partito, da Sel e dalla Fds.

Nelle intenzioni dei promotori, la raccolta di firme partirà nei prossimi mesi e si potrebbe andare alle urne tra la fine del 2013 e la primavera del 2014. Il segretario del Prc, Ferrero propone che si aggiunga a questi quesiti un altro sull’abrogazione della controriforma delle pensioni del governo Monti.

Non neghiamo che i referendum possono essere un aiuto al lavoro di un attivista sindacale o di sinistra ma non possono essere sostitutivi del lavoro quotidiano di radicamento nei luoghi di lavoro e di costruzione del conflitto.

Soprattutto, è un’illusione pen-sare che, a colpi di referendum, si possano mutare i rapporti di forza fra le classi. Il referendum sull’acqua e sui “beni comuni” del 12-13 giugno 2011 è stato uno straordinario successo, che ha dimostrato come milioni di lavoratori e giovani non ne possano più delle politiche di privatizzazioni. Eppure oggi cos’è rimasto di quei referendum? Ben poco. Il governo Monti li ha calpestati, mentre i comuni come quello di Roma, fregandosene del verdetto popolare, continuano a privatizzare le aziende dell’acqua o a mantenere la quota di profitto del 7% nella bolletta, come fa la regione Puglia.

Le potenzialità espresse dal voto del 12-13 giugno non sono state organizzate in un movimento di massa che continuasse anche dopo la chiusura delle urne, sono perciò andate disperse e lorsignori hanno continuato come prima.

E come possiamo credere che il prossimo governo, che avrà come bussola quella di proseguire con le politiche di lacrime e sangue, possa accettare un risultato referendario favorevole ai lavoratori?

Paolo Ferrero crede che questi nuovi quesiti referendari rilancino l’unità della sinistra. Noi crediamo che aumentino la confusione, perché ogni forza che li sostiene ha un progetto diverso dagli altri.

Per Vendola sono “un pezzo di programma” del futuro governo di centrosinistra, mentre per Di Pietro indicano “le soluzioni e le proposte per un vero esecutivo riformatore” ma soprattutto sono uno strumento per sviluppare la propria egemonia tra chi si oppone a Monti.

Un’unità fittizia che si sgretolerà presto. Un’operazione di piccolo cabotaggio in cui ancora una volta il Prc si trascina a rimorchio di scelte altrui che altri compiono.

Come definire altrimenti la stagione dei sindaci “arancioni”, che da Milano a Napoli e Cagliari, passando per la recente elezioni di Doria a Genova, difendono il rigore dei bilanci a scapito dei servizi ai cittadini?

Da troppi anni assistiamo a una ricerca spasmodica di fronti e di alleanze, a “cantieri” che si aprono e si disfano, volti a raggiungere quel consenso elettorale che per un partito comunista può essere duraturo solo se si basa sul protagonismo delle masse, sul conflitto e sull’essere parte integrante di esso.

Perché la sinistra, sia essa sindacale o politica, possa essere credibile si deve abbandonare ogni illusione sulla possibilità della riformabilità di questo sistema capitalista. Non esistono più “patti” o compromessi favorevoli alle masse lavoratrici.

Le vertenze drammatiche es-plose in questi giorni lo dimostrano. Una soluzione per Alcoa, Carbosulcis o per risolvere la contraddizione tra ambiente e lavoro all’Ilva di Taranto può arrivare solo attraverso la lotta e la messa in discussione del sistema capitalista. Una sfida che ci deve trovare pronti.

10 settembre 2012