Dopo un anno di guerra: dove va la Russia?

Siamo ormai al primo anniversario dell’inizio dell’invasione militare russa in Ucraina. L’avventura del regime putiniano, concepita come un’operazione fulminea che avrebbe dovuto portare a un grande trionfo politico una volta conclusasi, si è trasformata in una guerra protratta ed estenuante, che potrebbe sfociare nella messa in discussione dell’esistenza futura del regime.

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La guerra è diventata un punto di svolta nella storia della Russia moderna, della sua società profondamente divisa e di tutte le forze politiche in campo. Ma non è sufficiente descrivere semplicemente la catastrofe incombente che la guerra ha creato. È necessario comprendere anche le cause della guerra, le sue radici nella crisi mondiale, e nelle crisi politiche e economiche interne alla Russia, oltre che analizzare quale direzione stia prendendo la Russia.

“Né piangere, né ridere, ma capire”. Questo dovrebbe essere il nostro approccio quando analizziamo le origini del conflitto.

Il nostro punto di partenza deve essere la posizione della Russia all’interno del contesto mondiale del capitalismo moderno e della divisione imperialistica del mondo. A tal riguardo, la diatriba sul considerare o meno la Federazione Russa una potenza imperialista continua a suscitare dibattito. Non possiamo approfondire qui la questione nel dettaglio, ma richiamiamo l’attenzione dei lettori su altro materiale pubblicato dalla TMI. Qui, ci limitiamo a rendere note al lettore le principali conclusioni di questa analisi:

Questi fatti possono solo portare alla conclusione che la Russia oggi è uno stato imperialista, anche se è più simile al vecchio imperialismo zarista che alla Cina contemporanea o agli USA. La partecipazione della Russia all’economia mondiale capitalista è limitata, principalmente confinata al commercio di petrolio e gas. Ma interviene attivamente al di fuori dei suoi confini, sia militarmente che diplomaticamente, ed entra costantemente in conflitto con l’America, conflitto che a volte minaccia di trasformarsi in uno scontro militare diretto.” (L’imperialismo oggi e il carattere di Russia e Cina, Londra, 9 giugno 2016)

Nella sua struttura economica, la Russia è sicuramente diversa da altri paesi imperialisti “tipici”, che hanno mezzi economici molto più sviluppati per il perseguimento di una politica di dominio “neo-coloniale” e per la competizione sui mercati. Essa esporta capitali su una scala neanche lontanamente paragonabile a quella di altre nazioni imperialiste. Tuttavia, la sua economia è dominata da potenti monopoli nazionali.

Le fondamenta dell’economia russa sono costituite da una discreta fetta di industria pesante che è stata ereditata in gran parte dall’URSS; dal settore dei servizi; dall’esportazione di materie prime; dall’industria chimica e da un imponente complesso militare-industriale. Al contempo, il paese importa macchinari, veicoli, farmaci, plastiche, prodotti metallici semilavorati, carne, frutta, strumentazioni ottiche e mediche, ferro, acciaio, ecc.

Il potente complesso militare-industriale della Russia – che è un’importante lascito dell’URSS – è uno dei fattori chiave che permette alla Russia di rivendicare lo status di potenza imperialista. Tuttavia, il settore dell’industria che produce macchinari industriali, parti intercambiabili e componentistica è estremamente debole in Russia. Nel periodo trentennale a seguito del collasso dell’URSS, l’industria metalmeccanica in Russia (che era collassata negli anni Novanta) ha raggiunto appena il 50% del suo livello produttivo del 1991. Quei settori dell’economia che producono mezzi di produzione hanno subito un crollo totale, rendendo l’economia russa estremamente dipendente dai fornitori esterni. Nelle condizioni della guerra e delle sanzioni, questo ha aperto un’opportunità per la Cina, in quanto principale fornitore alternativo, che è libera di dettare i suoi termini negli accordi commerciali bilaterali.

Il grado di dipendenza della Russia dai fornitori esterni di componenti industriali e di macchinari è stato chiaramente dimostrato quando Renault, che produceva automobili nell’ex impianto AZLK (negli anni Novanta veniva chiamato Mosckvich), ha interrotto la produzione nel sito a seguito delle sanzioni occidentali. Inizialmente, nella primavera dello scorso anno, l’ufficio del sindaco aveva annunciato che l’impianto di Moskvich sarebbe stato rivitalizzato sulla base della nazionalizzazione di quelle parti dell’impianto in cui venivano assemblate le auto della Renault. Un esempio di rivitalizzazione dell’industria domestica, forse? No. In pratica, è venuto fuori che non esistono i mezzi in Russia per organizzare e riprendere la produzione, cosicché il municipio di Mosca ha tentato disperatamente di firmare un accordo per una licenza per l’assemblaggio di autovetture e la fornitura di componenti… con costruttori di auto cinesi!

Fattori nella guerra

La posizione peculiare dell’imperialismo russo è importante da tenere in conto quando si tenta di comprendere le motivazioni della leadership politica della Federazione Russa per quanto riguarda la decisione di dare il via all’invasione. Sebbene oggi il principale scontro inter-imperialistico avvenga sulla linea Stati Uniti – Cina, anche l’imperialismo russo cerca di proiettare il suo potere a livello regionale. Al momento, lo fa principalmente nel territorio dell’ex-URSS e, in parte, nel Medio Oriente e in Africa. Dove questo avviene, l’imperialismo russo entra in conflitto con gli interessi degli altri predoni imperialisti.

Ma, sebbene la guerra ucraina sia un conflitto inter-imperialistico, questo non significa che le sue cause si possano ridurre a uno scontro di semplici interessi economici.

È inoltre impossibile comprendere le azioni politiche e militari del regime, se le si guarda puramente come il risultato della volontà o delle ambizioni personali di un individuo “folle” a capo del regime.

È anche chiaro che Putin non è interessato a proteggere i lavoratori dell’Ucraina, siano essi o meno di origine russa. Al contrario, questo è un conflitto reazionario tra fazioni capitaliste contrapposte. La classe operaia del mondo non ha nulla da guadagnare dall’appoggio dell’una o dell’altra fazione.

Al contrario, questa guerra deve essere compresa come parte di un tentativo della classe dominante russa di districarsi dalle contraddizioni politiche e economiche e dalle difficoltà nelle quali il regime bonapartista e il paese in generale si sono impantanati. Le azioni di Putin hanno ragioni politiche e economiche che si radicano tanto in fattori esterni, quanto nei profondi problemi interni del regime capitalista russo.

I problemi economici e politici interni sono stati certamente un fattore importante. Prima della guerra, la popolarità di Putin era stata offuscata dalla crisi economica; e movimenti di massa, come quello sulle pensioni, avevano minacciato pesantemente il regime. Le rivolte in Kazakhstan e in Bielorussia, nelle quali la Federazione Russa ha agito in qualità di principale gendarme della regione, hanno chiaramente dimostrato come improvvise esplosioni rivoluzionarie potrebbero affossare il regime. Una politica di “piccole guerre vittoriose” è diventata uno strumento importante per l’auto-conservazione del regime russo in questo scenario di instabilità politica e economica continua. Abbiamo visto questo schema a partire dai primi anni Duemila. Questo fenomeno è stato discusso in un articolo del compagno Ivan Lokh nell’aprile del 2019:

Abbiamo visto come i grandi capitalisti si sono affidati a Putin, pensando che dopo la crisi [degli anni Novanta] si sarebbe trovato in condizioni di completo isolamento politico e circondato dall’ostilità delle masse. Spostando l’attenzione delle masse sulla Cecenia, Putin stabilizzò la situazione politica e poi la caduta dei salari reali e la disponibilità di investimenti nella produzione portarono alla crescita economica, che fu anche aiutata dall’alto prezzo del petrolio. Comunque questo periodo di crescita fu interrotto dalla crisi economica globale, che colpì anche l’economia russa. […] Dal punto di vista del grande capitale russo, che perse molti dei suoi investimenti in Ucraina nel 2004, l’annessione della Crimea fu una folle avventura, che ebbe come conseguenza le sanzioni economiche cui seguì la stagnazione dell’economia. Putin probabilmente aveva previsto tutto questo e di conseguenza fu in grado di prendere due piccioni con una fava: innanzitutto riconquistare un appoggio di massa da parte dei russi, spaventati dal Maidan e ispirati dal referendum in Crimea, e poi iniziare il rimpatrio di capitali in Russia, dato che le sanzioni limitavano l’accesso a capitale straniero a buon mercato, assumendo così il controllo delle ultime grandi aziende indipendenti nella vendita al dettaglio (per esempio, Magnit) e nelle comunicazioni (Tele2).” (La natura del regime di Putin, Ivan Lokh)

È anche importante comprendere i fattori esterni che hanno spinto il regime a prendere la decisione di cominciare la guerra.

Le tensioni che hanno portato a questa guerra si sono accumulate per decenni. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’imperialismo occidentale passò all’offensiva, trascinando gran parte del vecchio “blocco orientale” nella sua sfera di influenza. Gorbaciov era stato rassicurato nel 1990 che, dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia, la Nato non si sarebbe espansa. Da allora, la Nato e l’Ue si sono estese sempre verso est, e missili e basi militari Nato sono stati installati in prossimità del confine russo. Tuttavia, il crollo della Russia aveva i suoi limiti. Alla fine, essa si raggiunse un punto di stabilità e passò al contrattacco, come abbiamo visto nel 2008 in Georgia e nel 2014 in Crimea.

La politica contro la Russia, perseguita dall’Occidente a seguito del collasso dell’URSS, ha lasciato tra le masse russe un senso di amaro risentimento nei confronti dell’imperialismo occidentale. Un risentimento che Putin sfrutta demagogicamente per il suo tornaconto. Una politica decennale di minacce alla Russia da parte dell’Occidente e il fatto che la Nato abbia armato l’Ucraina fino ai denti, prima e durante la guerra (per non menzionare le provocazioni dirette e le tensioni alimentate dall’Occidente nel periodo precedente al febbraio dello scorso anno), spiegano lo stato d’animo prevalente tra la maggioranza della classe lavoratrice russa, che non deve essere confuso in nessun modo con un appoggio agli obbiettivi di guerra imperialista della cricca di Putin. Questa è la ragione principale dell’assenza di un movimento contro la guerra in Russia, rafforzata dall’assenza di un’alternativa politica chiara e con un carattere di classe. Con il passare del tempo, tuttavia, le contraddizioni di classe che la guerra ha momentaneamente oscurato, alla fine, torneranno di nuovo in superficie.

L’atteggiamento imperterrito degli Stati Uniti, culminato nella guerra in Ucraina, di sabotare gli accordi di Minsk 2, e di rifiutarsi di dare qualsiasi garanzia che l’Ucraina non sarebbe entrata nella Nato (sebbene gli americani avessero detto chiaramente che ciò non sarebbe successo), ha convinto Putin che non c’era altra scelta che perseguire l’opzione militare. Da parte sua, anche il governo russo ha preso atto della situazione mondiale ed è stato incoraggiato a decidere l’invasione dalla crisi politica e economica che ha colpito gli Stati Uniti e ha indebolito l’amministrazione di Joe Biden.

Tra gli elementi che hanno portato alla decisione di Putin di invadere l’Ucraina, quanto è accaduto in Afghanistan nel 2021 rientra indubitabilmente tra i più importanti. Così come le dichiarazioni iniziali di Biden che diceva che non avrebbe mandato truppe statunitensi in Ucraina, ma solo armi e munizioni. Basandosi su questo (oltre che sull’aspettativa di una resistenza piuttosto debole da parte delle Forze Armate Ucraine), Putin ha deciso che avrebbe potuto fare quello che desiderava in Ucraina, poiché si aspettava che le conseguenza si sarebbero limitate a sanzioni economiche piuttosto che a una rappresaglia militare. Il regime si aspettava una “piccola guerra vittoriosa”, che avrebbe vinto in fretta, e invece è caduto in una trappola.

In realtà, ha incontrato immediatamente una fiera resistenza, che è stata possibile grazie al sostegno militare statunitense all’Ucraina. Un fattore significativo nel fallimento completo del piano iniziale di conquistare i territori ucraini sono stati gli errori fondamentali degli strateghi della guerra al Cremlino. Questi “errori” non sono per nulla casuali. Essi riflettono la marcescenza del regime reazionario fino alle sue fondamenta. Il suo carattere bonapartista e poco flessibile comporta che la gerarchia militare sia infestata dalla corruzione e dal clientelismo, un contesto in cui mediocrità servili hanno maggiori opportunità di avanzare nella carriera rispetto a militari più abili.

Il morale delle Forze Armate ucraine, le ampie forniture di equipaggiamento per lo più dall’estero e, soprattutto, il sostegno dell’intelligence statunitense hanno giocato inoltre un ruolo chiave. Così, il comando militare ucraino addestrato dalla Nato, al quale Putin si appellò nei primi mesi della guerra per effettuare un colpo di stato militare contro Zelensky, era diventato molto più efficiente. I portavoce della propaganda del Cremlino, che si erano preparati a fare l’annuncio solenne della presa di Kiev entro una settimana dallo scoppio delle ostilità, si sono trovati (al pari del governo russo) in una posizione molto imbarazzante. Alcuni hanno dovuto persino sbarazzarsi retroattivamente dei materiali preparati per la divulgazione.

Sbagliandosi, così, nella corretta valutazione dei reali rapporti di forza, il regime russo ha scoperto che quella che immaginava essere una breve scommessa militare, connessa a un grande risultato politico, si è trasformata in una guerra protratta e logorante, che minaccia anche di catalizzare ulteriore instabilità.

Le condizioni della classe lavoratrice in Russia

La parte più onerosa del costo che la Russia ha pagato per questa avventura militare è ricaduta, in maniera preponderante, sulla classe lavoratrice.

Il 21 settembre, sullo sfondo di una ritirata militare disastrosa dei russi su numerosi fronti in Ucraina, il governo ha annunciato l’inizio di una “mobilitazione parziale” che, si annunciava, avrebbe portato alla coscrizione di 300mila riservisti.

In pratica, il risultato è stato che il personale degli uffici di arruolamento militare e la polizia facevano ronde continue tra tutte le case disponibili nelle proprie giurisdizioni, consegnando cartoline per l’arruolamento a quegli uomini sui quali riuscivano a mettere le mani. L’autore di questo articolo è stato personalmente informato del fatto che uno dei residenti del suo distretto – una persona disabile con le gambe amputate – si è trovato nel mezzo dei “fortunati” che hanno ricevuto le loro cartoline precetto.

La guerra e la successiva mobilitazione hanno colpito prima di tutto la classe lavoratrice. Da tutto il paese, arrivano rapporti della mobilitazione per il fronte di grandi gruppi di lavoratori che appartengono a forza lavoro di imprese manifatturiere non ritenute di importanza strategica. La direzione di un sindacato russo (MPRA) ha persino rivolto un appello al governo, volto a limitare fortemente il numero dei lavoratori arruolati. L’appello è stato completamente ignorato e, anzi, la mobilitazione è stata persino usata come misura punitiva nei confronti di iscritti a sindacati combattivi.

Il costo economico dell’avventura militare del regime ha inoltre colpito nella maniera più forte i settori più poveri della popolazione: a partire dal primo di dicembre, le bollette sono aumentate a livello nazionale del 9% rispetto a quanto atteso. Questo colpirà senza dubbio le famiglie dei lavoratori che hanno già subito un processo rapido di impoverimento e indebitamento. In numerose regioni, l’aumento del costo dei servizi pubblici ammonta all’11-12%. L’aumento dei salari legato al costo della vita non sta tenendo il passo neanche con i dati dell’inflazione previsti dal Ministero delle Finanze (dove l’aumento del salario legato al costo della vita è stato assegnato, esso non ha superato il 10%, mentre la previsione dell’inflazione del Ministero delle Finanze era del 17%). Ma anche questi dati ufficiali non riflettono il quadro completo, dal momento che si è aperto un grande divario negli aumenti dei prezzi da regione a regione. Mentre in alcune regioni, i prezzi dei beni fondamentali sono aumentati del 5% , in altre sono aumentati del 200%!

Questi sono alcuni degli orrori che questa guerra ha imposto alle masse russe. E tuttavia, finora non c’è stato un movimento di massa nelle strade delle città russe. Fin dall’inizio della guerra, le manifestazioni contro di essa sono state limitate. Infatti, a febbraio e marzo dell’anno scorso, un settore importante della società russa ha accolto di buon grado lo scoppio della guerra con un’esplosione di sentimenti sciovinisti. Come il governo si aspettava che la guerra terminasse in fretta e con un successo, così hanno fatto milioni di persone comuni in Russia. L’annuncio della mobilitazione è stato un momento di risveglio per la società in generale. È divenuto chiaro che la situazione, in effetti, era pessima.

C’è un senso di impasse nell’aria. Ma questo non è ancora il segnale di un’opposizione di massa alla guerra.

In alcune regioni – come il Dagestan e la Repubblica Ciuvascia- la lista crescente dei caduti, assieme alle condizioni pessime nelle quali vengono garantiti i bisogni più basilari dei soldati mobilitati, ha portato a alcune piccole proteste. Finora, tuttavia, non abbiamo ancora visto alcun movimento contro la guerra capace di mettere in ginocchio la cricca al potere. La violenta repressione da parte del regime può in parte spiegare questo fatto, ma ci sono ragioni più profonde.

Perché, nel contesto di un cambiamento così brusco di atteggiamento nei confronti della guerra, siamo ancora relativamente lontani da una qualsiasi sollevazione su larga scala contro la guerra? Per prima cosa, come spiegato sopra, c’è un profondo sentimento di odio nei confronti dell’imperialismo occidentale, e una paura ben fondata che quest’ultimo voglia dissanguare la Russia o perfino ridurla interamente allo status di semi-colonia. E connesso a ciò, c’è la questione di quali forze hanno dominato il movimento contro la guerra finora e di qual è l’atteggiamento della maggioranza dei russi nei confronti di queste forze- cioè dei liberali, che non sono altro che lacchè dell’imperialismo occidentale.

Le iniziali proteste spontanee contro la guerra del febbraio 2022, che hanno avuto luogo principalmente nelle grandi città, non erano guidate da nessuna forza politica organizzata. Tuttavia, in Russia, solo i liberali filo-occidentali all’interno dell’opposizione possiedono risorse mediatiche relativamente potenti, sulla base della loro storia di prossimità al potere negli anni Novanta e del sostegno che ricevono da un settore del grande capitale e dall’Occidente.

Così, quando i liberali in Russia hanno preso una posizione contro la guerra, ne sono immediatamente diventati la guida all’interno della sfera mediatica contraria alla guerra, e così l’intero movimento contro la guerra è immediatamente diventato ed è ancora percepito dalle masse come “liberale”. Il movimento stesso è diventato ostaggio della reputazione che hanno i liberali tra le masse. Bisognerebbe dire che, anche se i liberali filo-occidentali si dipingono come “contrari alla guerra”, la loro è una posizione di pieno supporto al militarismo della Nato e dell’imperialismo occidentale contro Putin. Di fatto, essi sono totalmente d’accordo con la versione degli eventi data dai media occidentali, e definiscono tutti i russi che sono in disaccordo con loro schiavi addormentati o “orchi”. Non è una sorpresa che simili posizioni “contro la guerra” – insieme con appelli a uno smembramento arbitrario della Russia e a una punizione collettiva ai Russi che appoggiano Putin – sono del tutto ripugnanti per la maggior parte dei lavoratori russi.

Per una larga maggioranza, il movimento liberale viene associato direttamente alla catastrofe economica degli anni Novanta e a una corruzione ed un elitismo smaccati (nello scorso decennio, solo Alexei Navalny è, in una certa misura, riuscito a rifuggire questa associazione).

Negli anni Novanta, era sotto la bandiera e la direzione di queste forze, che andavano a braccetto con l’FMI, la Banca Mondiale e l’imperialismo americano, che ha avuto luogo la colossale umiliazione e il saccheggio dell’intero territorio dell’ex URSS. Queste forze e i loro rappresentati erano pronti a giustificare incondizionatamente i crimini più disgustosi e efferati del “mondo occidentale democratico” (leggi: gli Stati Uniti e i suoi alleati) in relazione a paesi come la Jugoslavia. E oggi, invitano i lavoratori della Russia a credere alla sincerità delle loro “pacifiche” intenzioni.

I rappresentanti del liberalismo russo hanno, per decenni, diffuso una retorica razzista secondo la quale i russi sono un “popolo con una mentalità da schiavi”, mentre approfittavano del saccheggio e della svendita della ricchezza del paese che essi avevano ottenuto gratuitamente e alla creazione della quale non avevano contribuito in alcuna maniera. E oggi invitano i lavoratori russi a credere alla sincerità della loro retorica “contro la corruzione”.

Questi liberali offrono ai popoli della Russia odierna quella che chiamano “decolonizzazione” (da non confondersi con una genuina e libera autodeterminazione), mentre ridisegnano i confini dei futuri stati borghesi secondo le proprie opinioni personali, senza mostrare il minimo interesse nei confronti del parere dei popoli e dei gruppi etnici che vivono nei confini di queste “frontiere future”.

La maggioranza dei lavoratori in Russia (a dispetto dell’etnia) è ben consapevole che, dietro le chiacchiere sulla “decolonizzazione”, si nasconde il desiderio di smembrare la Federazione Russa a uso e consumo dei loro padroni imperialisti occidentali e al fine del saccheggio da parte dei “propri” capitalisti in ogni regione. Tutta questa retorica “democratica” di simili gentiluomini nasconde soltanto un desiderio di “continuare il banchetto”. Perché un popolo preso in ostaggio da un gruppo di ladri e furfanti dovrebbe affidarsi da un giorno all’altro a un altro gruppo di ladri e furfanti, che si distinguono solo per la loro facciata più “democratica”? Non è necessario essere marxisti per comprendere la natura reazionaria di queste forze.

Persino coloro che odiano il governo attuale non possono fare altro che detestare il campo liberale, la cui propaganda – oltre che per affibbiare una responsabilità collettiva della guerra alla popolazione russa nel suo complesso – è solo l’immagine riflessa della propaganda del Cremlino. Chi vorrebbe scegliere tra Satana e Belzebù?

Il rigetto nei confronti di questi liberali, che sono semplici marionette dell’imperialismo occidentale, può essere descritta solo come una reazione salutare. I rivoluzionari devono capire che è dall’enorme serbatoio della massa dei lavoratori, politicamente indecisi o “difensori onesti” che sostengono la guerra nonostante Putin, per tutte le ragioni precedentemente menzionate, che proviene il potenziale per i cambiamenti rivoluzionari nel Paese.

Queste persone si sentono veramente rappresentate dal regime di Putin? No. Ma sotto la pressione della propaganda, provano un rifiuto chiaro e inequivocabile dell’imperialismo occidentale, e senza una chiara alternativa a questi due mali di fronte a loro, rimangono in silenzio. Non è codardia, né “mentalità da schiavi”, ma un rifiuto di tutti quei vecchi attivisti di sinistra che hanno dimostrato la la propria inettitudine nell’offerta di una reale alternativa politica tanto a Putin, quanto alla minaccia di asservimento all’imperialismo straniero.

La guerra e la sinistra russa

“A partire dal 24 di febbraio…”: questa frase è diventata la linea di demarcazione che segna le profonde divisioni che si sono aperte in tutte le forze politiche russe riguardo alla loro attitudine nei confronti della guerra e delle prospettive che da essa si dipanano. La sinistra non fa eccezione. Essa si è divisa internamente in tre correnti principali: i filo-liberali, i social-sciovinisti e i rivoluzionari.

Il bastione dell’ala social-sciovinista nella sinistra odierna è il Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF) e, più precisamente, la sua direzione. Questa direzione, fin dal primo giorno della guerra, ha usato una retorica manipolatoria sulla “lotta contro il fascismo”. Ha assunto una posizione ultra-patriottica – negando esplicitamente la natura imperialista della guerra della cricca putiniana e facendo riferimento a essa come a una lotta di “liberazione nazionale”. La direzione dello stesso partito sta preparando una purga su larga scala di tutti quegli iscritti che hanno espresso una posizione aperta contro la guerra. I militanti del partito si trovano così a dover scegliere: venire espulsi o restare in silenzio.

Numerosi vecchi partiti stalinisti stanno seguendo i passi del proprio “fratello maggiore”, come i satelliti del KPRF – il Partito Comunista Operaio Russo (RKRP), il Partito dei Lavoratori della Russia, il Partito Comunista Unificato, il Fronte di Sinistra e altri. La loro posizione si distingue dal KPRF solo nei dettagli e nel livello di follia e scadimento. Un’illustrazione di quest’ultimo è la seguente: dall’inizio della guerra, il RKRP si è mosso verso un’alleanza politica con i rappresentanti del Partito Nazional Bolscevico (“Altra Russia”) apertamente fascista.

La tendenza filo-liberale viene rappresentata da numerosi gruppi politici (per lo più sette e opportunisti), i quali, mentre formalmente si oppongono alla guerra e dichiarano perfino di riconoscere la necessità di una trasformazione socialista della società, sono diventati di fatto culo e camicia con il liberalismo russo. Le posizioni che essi sposano nelle proprie pubblicazioni differiscono solo nel dettaglio dalla propaganda del governo di Zelensky e dei governi di numerosi stati membri della Nato. Ma questa tendenza è la più debole di tutte e, nei fatti, virtualmente invisibile, dal momento che per la maggior parte mostra scarsi segni di attività nelle lotte reali, preferendo scrivere dichiarazioni di alto profilo dall’estero, dove una parte significativa della già ridotta schiera degli attivisti di questi gruppi è fuggita.

La profonda crisi del movimento comunista russo ha, come retroscena, lo sviluppo relativamente tranquillo del sistema politico negli anni passati e le numerose tentazioni, che esso ha prodotto, di “negoziare con le autorità”. La Russia – che poco più di cento anni fa fu il luogo di nascita del bolscevismo e diede all’umanità un’esperienza dal valore indiscutibile e incalcolabile come quella dell’URSS – oggi non ospita una sola organizzazione di massa di sinistra che osi condannare in maniera diretta e aperta la sanguinosa avventura di Putin in Ucraina. Questa mancanza di un punto di attrazione alternativo e di una prospettiva di classe contro la guerra da sinistra, distinta da quella dei corrotti liberali filo-occidentali, è una causa ulteriore della debolezza del movimento contro la guerra.

Ma nelle fila delle piccole e attive organizzazioni comuniste e di sinistra, esistono alcune persone che si sono dimostrate pronte a innalzare e difendere la bandiera dell’internazionalismo proletario. E tanto più si intensificano la militarizzazione e la censura, tanto più netta deve diventare la demarcazione tra i comunisti internazionalisti e tutte le forze progressiste e il nazionalismo rampante, contro il quale dobbiamo difendere le nostre convinzioni democratiche, socialiste e classiste.

Infine, l’ala rivoluzionaria del movimento – costruita intorno al principio che può essere descritto come “contro il regime e i liberali; per una politica indipendente di classe e per la rivoluzione” – rimane piccola, al momento. Ma è in un processo di costruzione e consolidamento delle sue forze. Passi importanti sono stati fatti. Nel mezzo di questa guerra reazionaria, gli elementi autenticamente comunisti rivoluzionari nella società russa stanno cominciando a raggrupparsi e a portare avanti il lavoro pratico nelle condizioni di un regime estremamente brutale, che sconfina nelle legge marziale generalizzata. Ma, una volta riusciti a superare queste difficoltà oggettive, si pone loro davanti la prospettiva di poter diventare un polo di attrazione, l’unico con una bandiera veramente pulita, una volta che le masse avranno superato la paralisi e la confusione causate dal conflitto e entreranno nella lotta.

Molti sono inorriditi e terrorizzati dall’avvenire, ma in qualità di comunisti rivoluzionari noi guardiamo al futuro con ottimismo, poiché in questo mondo in decadenza, noi e la nostra classe non abbiamo niente da perdere se non le nostre catene. Certo, siamo ancora un fattore relativamente piccolo, ma questo rende solo più urgente per noi costruire la base di un partito rivoluzionario che sia capace di guidare il proletariato russo, insieme con i suoi fratelli e le sue sorelle di classe in tutto il mondo, fino alla vittoria!