Ci sarà un boom?

I capitalisti non vedono l’ora che la crisi del COVID-19 finisca e molti prevedono una ripresa economica rapida. Ma la nuova normalità sarà quella della crisi, del caos e della lotta di classe.


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Il mondo sta tirando un sospiro di sollievo alla notizia che a breve potrebbe esserci un vaccino utilizzabile. Assieme al vaccino arriva la prospettiva della fine della pandemia e del ritorno alla normalità.

Le persone comuni non vedono l’ora di uscire nuovamente e di poter trascorrere del tempo con amici e familiari.

Ma sono i capitalisti ad esultare in modo particolare – sono euforici al pensiero di fare soldi mentre l’economia riparte e riprende a fare profitti (anche se non è che si sia mai veramente fermata).

Questa euforia si è riflessa in rialzi a livelli record del mercato azionario, con gli investitori che brindano alle notizie, arrivate in simultanea, della vittoria di Biden e di una potenziale svolta nella ricerca di una cura per il COVID-19.

Tuttavia, queste celebrazioni potrebbero rivelarsi premature. Le speranze di una ripresa rapida sono fuori luogo. Dopo aver subito un colpo così devastante dal virus, l’economia capitalista globale non si riprenderà, ma sarà segnata per sempre.

Anche prima che il COVID arrivasse, il sistema capitalista era in uno stato di decadenza senile. La pandemia ha certamente esacerbato e accelerato questo declino. Ma la crisi del capitalismo non è iniziata con il coronavirus. E non finirà con esso.

La realtà è che non ci sarà alcun ritorno alla “normalità”. Non ci sarà una vera ripresa, soprattutto non per la classe operaia e per i più poveri.

La prospettiva futura non è quella di un boom. Piuttosto, assisteremo a una “nuova normalità”, fatta di crisi, austerità e attacchi al tenore di vita. Stiamo entrando in una nuova epoca, in cui la lotta di classe si intensificherà e la questione della rivoluzione sarà all’ordine del giorno.

Cosa c’è di stabile

Il 2020 sarà definito per sempre dalla crisi del coronavirus. Il mondo è stato trasformato dalla pandemia. Nelle parole del Manifesto del partito comunista: si volatilizza tutto ciò che vi era di stabile – “e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti. “.

Il sistema di mercato è crollato. Nonostante un totale di quasi 12 migliaia di miliardi di dollari di aiuti statali a livello mondiale (equivalente al 12% della produzione globale), il Prodotto italiano lordo (PIL) è precipitato.

Nell’ultimo rapporto “World Economic Outlook”, il FMI prevede che la produzione globale scenderà quest’anno del 4,4%, la peggiore flessione dalla Grande Depressione degli anni ’30. Questa cifra è pari al 5,8% per le economie avanzate e si prevede un calo di oltre il 10% per paesi come Gran Bretagna, Francia, Italia e Spagna, e questo prima che arrivasse l’ultima ondata del virus.

Per frenare la diffusione del virus, da marzo sono stati introdotti lockdown e diversi tipi di restrizione in quasi tutti i principali paesi capitalisti. Di fronte a queste misure, la società è stata costretta ad adattarsi. La maggior parte delle persone ha sperimentato cambiamenti drammatici per quanto riguarda la propria vita quotidiana.

Quasi dall’oggi al domani, milioni di persone sono passate a lavorare da casa. Ora vediamo le strade principali delle città e i centri commerciali deserti, con la vendita al dettaglio che si sposta online. I cinema e gli stadi hanno chiuso i battenti, mentre gli spettatori guardano film e partite dai loro divani.

Per i lavoratori dei settori interessati, come l’alberghiero, la ristorazione, l’intrattenimento e il turismo, l’impatto è stato grave. Ma in questo caso, buona parte del colpo è stato attenuato dal blocco dei licenziamenti attuato dai governi, che hanno agito per sostenere i posti di lavoro e mantenere l’economia in uno stato di vitalità sospesa.

Anche se il sistema nel suo complesso è impantanato nella crisi, una parte dei capitalisti assicurano i loro profitti al sicuro. Secondo un recente rapporto di Oxfam, quest’anno, le cento aziende che hanno guadagnato di più nei mercati azionari hanno aggiunto più di 3 migliaia di miliardi al loro valore di mercato dall’inizio della pandemia. In particolare, sono aumentate vertiginosamente le azioni di Apple, Microsoft, Facebook, Google e Amazon.

Di conseguenza, si prevede che queste stesse giganti del settore informatico realizzeranno altri 46 miliardi di dollari di profitti grazie alla pandemia. intanto la persona più ricca del mondo, il capo di Amazon Jeff Bezos, ha visto la sua fortuna personale aumentare di 94 miliardi di dollari.

Tutti questi cambiamenti causati dal virus non si invertiranno così facilmente. La vita è stata irrevocabilmente trasformata. Anche con un vaccino, le cose non saranno mai più le stesse.

Danni duraturi

Sul fronte economico, il FMI prevede “danni permanenti” dal virus. Qualsiasi “ripresa”, avvertono gli autori dell’ultimo rapporto del Fondo, sarà “lunga, irregolare e incerta”. Anche se il COVID venisse posto sotto controllo, si prevede che le economie avanzate si contrarranno del 4,7% entro la fine del 2021 a causa della crisi del coronavirus.

La situazione è ancora peggiore nelle cosiddette economie “emergenti”, che secondo il FMI entro la fine del prossimo anno si contrarranno dell’8,1% rispetto alle proiezioni pre-pandemiche. Come afferma il Fondo, minimizzando in maniera straordinaria, quelle che dipendono dal turismo e dalle esportazioni di materie prime si troveranno in una “situazione particolarmente difficile”.

Ad aggravare i problemi c’è la crisi del debito nei paesi “in via di sviluppo”. Secondo la Jubilee Debt Campaign, “i paesi poveri hanno livelli di pagamento del debito più alti degli ultimi 20 anni”. Il Ghana e il Pakistan, ad esempio, ora spendono rispettivamente il 50% e il 35% delle entrate statali per ripagare il debito, sottraendo denaro ai servizi pubblici essenziali.

Eppure i prestatori hanno offerto poca tregua. I paesi creditori nel G20 hanno accettato solo la sospensione dei pagamenti, mentre i creditori del settore privato, come banche e obbligazionisti, si sono rifiutati di fare qualsiasi concessione. Il risultato è che ai paesi in via di sviluppo viene concesso un alleggerimento temporaneo di soli 5,3 miliardi di dollari, pari all’1,7% dei pagamenti totali dovuti quest’anno.

Mentre i banchieri continuano a esigere ciò che gli è dovuto, milioni di persone ora devono affrontare la povertà e la fame. Quest’anno, le fila delle persone “estremamente povere” – quelle che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno – si sono ingrossate di 70-100 milioni. Nel frattempo, secondo le stime delle Nazioni Unite, il numero di persone senza accesso a un alloggio e servizi igienici è aumentato tra i 240 e i 490 milioni a causa dell’epidemia globale.

Quindi per il mondo “in via di sviluppo”, parlare di “ripresa” non è altro che uno scherzo di cattivo gusto. Senza dubbio le masse impoverite in questi paesi saranno le ultime coinvolte quando si tratterà di un qualsiasi programma di vaccinazione.

Terremoto economico

I commentatori borghesi più ottimisti credono tuttavia che una ripresa sia destinata ad esserci. Credono che quando caleranno le restrizioni si scatenerà la “domanda repressa”, dando alle economie una stimolo che accompagnerà le iniezioni di vaccino che forniranno alla gente la protezione dal virus.

Ma tale ottimismo è separato dalla realtà. Persino il FMI ammette che interi settori dell’economia non saranno più redditizi in futuro. Man mano che verrà tolto il supporto vitale da parte dei governi, molte aziende vulnerabili andranno in rovina e a milioni diventeranno disoccupati. Si profila uno tsunami di fallimenti e tagli dei posti di lavoro.

La verità è che la pandemia è un terremoto economico, che ha alterato per sempre il panorama dell’industria e della produzione.

È probabile che molti degli adattamenti che hanno avuto luogo in risposta al COVID diventeranno permanenti. I cambiamenti come il lavoro da casa e lo shopping online, ad esempio, sono cambiamenti strutturali, non tendenze effimere. Nel frattempo, le tecnologie e le tecniche introdotte per far fronte alle condizioni di lockdown significano che molti posti di lavoro non torneranno mai più.

Il risultato è che interi settori sono potenzialmente diventati obsoleti o verranno ridimensionati definitivamente. Molte aziende “temporaneamente” fermate e molti lavoratori licenziati, quindi, potrebbero non riaprire più o tornare in azienda.

Il Wall Street Journal (WSJ) evidenzia il caso delle sale cinematografiche e delle catene di ristoranti, intervistando gli amministratori delegati statunitensi riguardo ai loro piani per tagliare posti di lavoro e filiali. Questi piani, commentano eufemisticamente gli autori, “potrebbe creare uno sconvolgimento per alcuni lavoratori”.

Altrove, l’Economist riporta uno studio di un’università statunitense che stima che “un terzo o più di tutte le perdite di posti di lavoro durante la pandemia sarà permanente”. La rivista liberale afferma poi che queste perdite si faranno maggiormente sentire fra i lavoratori “poveri e non qualificati”, da “lavoratori dei servizi … che hanno maggiori probabilità di essere giovani, donne e neri”.

Allo stesso tempo, il coronavirus ha accelerato processi che erano già in corso e che non faranno che aumentare dopo che il virus si sarà attenuato.

L’ascesa del protezionismo e il crollo delle catene di approvvigionamento globali, l’automazione e la minaccia di “disoccupazione tecnologica”, la crescente disuguaglianza e la concentrazione della ricchezza nelle mani dei padroni della Big Tech: tutte queste tendenze erano chiaramente osservabili prima del 2020 e continueranno a svilupparsi negli anni a venire.

La prospettiva, quindi, non è per una ripresa a “V”. Nella migliore delle ipotesi, come suggerisce il WSJ, potrebbe esserci una ripresa ‘a forma di K’, in cui “le persone benestanti e alcune imprese si riprenderanno … mentre i lavoratori con salari più bassi e alcuni tipi di imprese … a lungo- termine porteranno le cicatrici dalla crisi ”.

Questo, commenta lo stesso articolo, “modellerà profonde le divisioni tra chi ha e chi non ha”. O, come ha scritto accuratamente Karl Marx nel Capitale:

“L’accumulazione di ricchezza a un polo è quindi contemporaneamente accumulazione di miseria, di tormento lavorativo, di schiavitù, di ignoranza, di abbruttimento e di degradazione morale al polo opposto” (Il Capitale, volume 1, capitolo 23)

Distruzione creativa

Voci più libertarie parlano in maniera ottimistica del potenziale per un’esplosione di quella che Schumpeter chiama “distruzione creativa”. Sì, ammettono, alcuni lavoratori saranno licenziati. Ma questo semplicemente li renderà “liberi” di spostarsi in settori nuovi e dinamici.

In altre parole, baristi e camerieri disoccupati dovrebbero semplicemente riqualificarsi per diventare programmatori di computer e imprenditori digitali!

L’esperienza passata, mostra tuttavia che tale “distruzione creativa” è generalmente molto pesante per quanto riguarda la distruzione e leggera sulla creazione. Chiedetelo a coloro che vivono nelle ex città minerarie britanniche o nella Rust Belt americana.

La “mano invisibile” non opera secondo un piano di produzione razionale, ma secondo le leggi cieche e anarchiche del mercato. Gli spazi liberati da settori obsoleti o imprese moribonde non saranno riempiti da nuove industrie sulla base dei bisogni sociali, ammesso che questa sia l’intenzione. Piuttosto, i posti di lavoro creati (se ce ne saranno) saranno quelli che generano il massimo profitto per i capitalisti.

In altre parole, è improbabile che ai lavoratori trattati come ferri vecchi venga offerta una formazione per passare a nuovi incarichi, ma verranno lasciati a sé stessi. Coloro che saranno abbastanza fortunati da trovare un impiego possono aspettarsi di farlo in lavori super sfruttati, precari e sottopagati come i corrieri, piuttosto che come “creativi” che si occupano di un’economia online in espansione.

Anche qui, riguardo a quelli che attualmente si concedono il “lusso” di lavorare da casa, stiano attenti perché non è tutto oro quello che luccica. Ora che molti più lavori nel settore dei servizi vengono eseguiti da remoto, lo scenario è pronto per un “offshoring digitale” massiccio di lavoro basato sui computer.

Ciò metterà i colletti bianchi di tutto il mondo l’uno contro l’altro in una corsa al ribasso in termini di salari e condizioni, un’esperienza che è già fin troppo familiare per i loro fratelli e sorelle operai nel settore manifatturiero.

Allo stesso modo, nell’ultimo rapporto Future of Jobs, il World Economic Forum stima che 85 milioni di posti di lavoro sono ora minacciati a causa dell’implementazione di nuove tecnologie, poiché le aziende sostituiscono i lavoratori con macchine, software e intelligenza artificiale.

Questo processo, afferma il WEF, è stato notevolmente accelerato dalla crisi del coronavirus. “Quello che era considerato il ‘futuro del lavoro'”, osserva il rapporto, “è già arrivato”.

La storia, quindi, non è cambiata radicalmente da quella precedente alla pandemia. Come in passato, l’automazione e la globalizzazione stanno accumulando una pressione sempre maggiore sui lavoratori. E, come sempre, sono i capitalisti che ne raccoglieranno i frutti.

Capitalismo zombie

Tuttavia, il problema che devono affrontare i sostenitori dell’approccio del laissez faire, è l’entità dell’imminente distruzione. Nelle cinque maggiori economie europee, ad esempio, più di 40 milioni di lavoratori sono stati inseriti in programmi governativi di congedi non retribuiti.

Nel Regno Unito, l’Office for Budget Responsibility (OBR) stima che tra il 10-20% dei 9 milioni di lavoratori britannici sottoposti a queste misure, verranno licenziati quando alla fine verranno tolti i sussidi statali. Secondo le previsioni dell’OBR, l’impatto complessivo sarebbe quello di portare la disoccupazione nel Regno Unito fino al 12%.

Inoltre, un esercito di imprese “zombie” si diffonde sulla terra: aziende non redditizie che sono mantenute in vita artificialmente attraverso iniezioni di credito a buon mercato.

Secondo la Deutsche Bank Securities, circa una società americana quotata in borsa su cinque è ora uno zombie. Questa cifra è raddoppiata dal 2013. E il numero di società “non-morte” si è solo moltiplicato ulteriormente negli ultimi mesi, grazie alle ingenti somme di credito fresco che sono state pompate nell’economia dalla Federal Reserve statunitense e da altre banche centrali.

Molte di queste società, tuttavia, potrebbero non sopravvivere. In Gran Bretagna, l’OBR stima che circa il 40% del denaro prestato alle piccole imprese nell’ambito del “Bounce Back Loan Scheme” attuato dal governo potrebbe non essere mai rimborsato, poiché le aziende falliscono.

Si prospetta quindi “un’apocalisse zombie. Ciò, a sua volta, potrebbe portare al contagio finanziario, dato che i default del debito si propagano nel sistema bancario.

Come in ogni crisi, tuttavia, ci saranno vincitori e vinti. Le società più competitive che sopravviveranno faranno le loro fortune accaparrandosi le aziende in fallimento. Ciò porterà a una concentrazione ancora maggiore di capitale e un potere ancora maggiore nelle mani delle grandi imprese.

Questo è il vero significato del laissez faire: schiacciare sia i lavoratori che le piccole imprese, a vantaggio dei principali monopoli.

Stagnazione secolare

Il risultato complessivo della rimozione dei sussidi statali non sarebbe quindi una ripresa vigorosa, ma un caos economico, che porterà a una spirale discendente fatta di declino dell’occupazione, crollo della domanda e il calo degli investimenti.

Tuttavia, non è il COVID-19 a causare questa crisi. Nonostante alcuni discorsi superficiali sui “primi germogli [di ripresa]”, l’economia mondiale era già in crisi prima di quest’anno, ed è stato così dal crollo del 2008.

Allo stesso modo, l’ascesa del capitalismo zombie precede la pandemia. Questo è un sintomo della vera malattia che affligge l’economia globale: l’enorme contraddizione della sovrapproduzione.

I lavoratori licenziati sono solo la punta dell’iceberg. In tutti i principali settori a livello mondiale, ci sono enormi livelli di “capacità in eccesso”: dall’acciaio agli smartphone. E i prezzi dei beni sono stati mantenuti a galla per anni, dato che gli investitori mettevano le loro riserve di denaro nella speculazione, piuttosto che nella produzione reale, dove i mercati erano già saturi.

I governi hanno contribuito a mantenere questa situazione instabile – non solo dopo la crisi finanziaria, ma anche prima, per decenni – continuando a gonfiare la bolla: o direttamente attraverso il finanziamento del deficit e gli aiuti di Stato o indirettamente attraverso bassi tassi di interesse e il quantitative easing.

Questo è ciò che gli economisti borghesi chiamano “stagnazione secolare”: infatti anche la misera crescita vista prima della recessione del 2008-2009 è stata possibile solo sulla base dell’utilizzo degli strumenti che la classe dominante avrebbe normalmente utilizzato per uscire da un crisi.

Il risultato è che oggi, di fronte a questa nuova crisi ancora più profonda, la classe dominante ha esaurito le munizioni, ora il loro arsenale è vuoto. Ecco perché i politici e gli strateghi della borghesia stanno ricorrendo a misure estremamente disperate per salvare il sistema.

Questo spiega anche perché molte dei principali portavoce della borghesia – come il capo della BCE Christine Lagarde, il presidente della Fed Jerome Powell, il FMI e gli editori del Financial Times – stanno attualmente intonando una melodia keynesiana, invitando i governi a continuare con sussidi e stimoli fintantoché sia necessario.

In pratica, ora tutte le principali banche centrali stanno portando avanti “finanziamenti monetari” in relazione al debito pubblico. Secondo l’ultimo rapporto del FMI, le banche centrali hanno già creato circa 7,5 migliaia di miliardi di dollari in nuovo denaro per acquistare titoli di Stato e finanziare la spesa statale – e probabilmente i rubinetti non si chiuderanno presto.

Nessun pranzo gratis

Allo stesso tempo, nonostante tutta la retorica sull'”efficienza del libero mercato”, i rappresentanti più sobri della classe capitalista riescono a prevedere il circolo vizioso e la catastrofe sociale causati dalla decisione dei governi di staccare la spina in questa fase.

Ma, come dice un vecchio proverbio, tutte le cose belle devono finire. E ciò su cui sono d’accordo sia i libertari hayekiani (i seguaci delle teorie liberiste dell’economista Von Hayek) che i liberali keynesiani è che non esiste un pranzo gratis. Alla fine il conto deve essere pagato. La vera domanda è: da chi?

E il conto è sicuramente alto. Grazie alla spesa pubblica per rispondere al COVID, il debito pubblico totale a livello mondiale è ora pari a quasi il 100% del PIL globale, secondo il più recente rapporto del FMI.

In altre parole, anche se tutte le risorse economiche della società fossero dedicate al ripagamento del debito e nient’altro, questo obiettivo richiederebbe un anno per essere raggiunto.

Per i paesi capitalisti avanzati, prevede il FMI, il debito pubblico totale aumenterà da un rapporto debito/PIL del 105% nel 2019 a un 132% stimato entro il 2021.

La classe dominante è divisa su come ridurre questi debiti. I keynesiani più ardenti insistono sul fatto che la “crescita” risolverà il problema, guardando con nostalgia al boom del dopoguerra come riferimento. Ma una simile prospettiva è esclusa, per tutte le ragioni sopra esposte.

I sostenitori della MMT (Modern Monetary Theory) nel frattempo, affermano che il debito è tutta un’illusione – un mito – che può essere superato se solo esiste la “volontà politica”. Suggeriscono che i governi (tramite le banche centrali) dovrebbero semplicemente continuare a stampare moneta per finanziare la spesa pubblica e smettere completamente di preoccuparsi dei debiti.

Ma ciò che sia i tradizionalisti che i neo-keynesiani ignorano è il fatto che le contraddizioni del sistema capitalista non possono essere risolte dallo stato – né attraverso gli investimenti statali, né aumentando la quantità di moneta. In primo luogo non sanno spiegare perché il capitalismo entri in crisi.

Il capitalismo è un sistema di produzione per fare profitto. Fintanto che esiste la proprietà privata dei mezzi di produzione, è solo questa forza motrice del profitto che può alimentare il motore degli investimenti delle aziende e della crescita economica.

Quindi è soprattutto la contraddizione della sovrapproduzione – con gli enormi livelli di capacità in eccesso in tutto il mondo – che, ostacolando lo sviluppo delle forze produttive, sta dietro alla recessione in corso.

Altri commentatori borghesi credono che i debiti possano essere gonfiati o ridotti attraverso una maggiore tassazione. Ma, in pratica, entrambe le teorie equivalgono alla stessa cosa: la prima è semplicemente una tassa con un altro nome, che ricade sulla società in modo più anarchico e arbitrario rispetto alla seconda.

Resta la domanda centrale: chi paga? In ultima analisi, questo deve significare che se ne farà carico o la classe operaia, con l’austerità e gli attacchi al tenore di vita o la classe capitalista, che resisterà con le unghie e con i denti a qualsiasi tentativo di mettere le mani sui loro profitti.

Qualunque sia la decisione, è una ricetta bell’e pronta per la lotta di classe.

Più le cose cambiano…

Per molti aspetti, quindi, un mondo post-pandemia sarà molto simile a quello di prima dello scoppio globale del coronavirus: disuguaglianza in aumento, protezionismo, instabilità geopolitica, crisi capitalista e lotta di classe.

Come dice un vecchio detto francese: Plus ça change, plus c’est la même chose. Più le cose cambiano, più rimangono le stesse.

Eppure le cose non sono e non saranno più le stesse. Piuttosto, tutte le tensioni e le contraddizioni presenti prima della pandemia sono state accentuate e approfondite.

Vale la pena trarre un’analogia dalla scienza e dalla natura, in particolare un fenomeno noto come isteresi. Ad esempio, quando una forza viene applicata a una molla metallica, si allungherà. Entro certi limiti, ciò avviene secondo una relazione fisica nota come Legge di Hooke. Una volta rimossa la forza, la molla tornerà alla sua lunghezza originale.

Ma se la forza è abbastanza grande, la molla non si ritirerà completamente. Invece, si sarà allungata in modo permanente, senza mai tornare al suo stato precedente. Il metallo si trasforma permanentemente.

Allo stesso modo, non è possibile per la società tornare ai giorni precedenti al COVID. Proprio come rimuovere Trump dalla Casa Bianca non può cancellare gli ultimi quattro anni di esperienze politiche dai ricordi delle persone comuni negli Stati Uniti, né sconfiggere il virus invertirà gli effetti incendiari degli ultimi 12 mesi.

Il fatto è che questi eventi giganteschi lasceranno un segno indelebile nella storia e nella coscienza. Dopo la pandemia, le cose non torneranno come prima, ma si sposteranno a un livello superiore, con una crisi ancora più profonda e un’intensificazione e un inasprimento della lotta di classe.

I paragoni con la Peste nera sono quindi appropriati, entro limiti ragionevoli. Questa piaga del XIV secolo accelerò anche il declino di un sistema già in decomposizione, in questo caso l’edificio fatiscente del feudalesimo.

Ma a differenza della fine degli ancien régimes, il sistema capitalista non crollerà da solo. Non esiste una cosa come la “crisi finale del capitalismo”. Deve essere rovesciato in maniera attiva e consapevole.

Il vecchio mondo sta certamente morendo. Una nuova società sta lottando per nascere. Quello che serve, come ha affermato Marx, è la “levatrice” della rivoluzione.

Ma questo richiede la costruzione di un’organizzazione rivoluzionaria, per trasformare le idee del marxismo in una forza materiale – una forza che può cambiare per sempre il corso della storia nell’interesse dei lavoratori e dei giovani.

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