Basta ipocrisia! Difendere Gaza! La dichiarazione della TMI

La seguente dichiarazione della Tendenza Marxista Internazionale esprime la nostra solidarietà con il popolo palestinese. Risponde all’ipocrisia ripugnante dell’imperialismo occidentale e dei suoi lacchè, che si schierano a fianco dello Stato reazionario d’Israele mentre scatena una sanguinosa vendetta su Gaza, dopo l’attacco a sorpresa di Hamas del 7 ottobre. Spieghiamo inoltre perché la libertà per la Palestina può essere raggiunta solo attraverso mezzi rivoluzionari e il rovesciamento del capitalismo in tutta la regione.

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L’attacco lampo lanciato da Hamas sabato 7 ottobre ha provocato violente reazioni in tutto il mondo. È stato immediatamente accolto da un forte coro di condanna da parte dei governi occidentali.

L’attacco è stato immediatamente presentato dai media nei termini più drammatici. L’opinione pubblica occidentale è stata accuratamente preparata da quella che viene comicamente descritta come la nostra “stampa libera” a schierarsi nel conflitto che, come al solito, viene rappresentato come fosse tra le Forze del Bene contro le Forze del Male.

In questa macabra commedia degli errori, i ruoli vengono opportunamente invertiti. Le vittime diventano gli aggressori e gli aggressori diventano le vittime. Questa menzogna è sostenuta da un flusso costante di condanne morali della violenza, delle uccisioni e di tutti gli altri atroci attributi tipici del terrorismo.

A Washington, secondo il New York Times, il Presidente Biden ha “reagito con rabbia” mentre ha definito gli atti come “pura malvagità” e ha giurato inequivocabilmente di stare dalla parte di Israele contro il terrorismo.

Il presidente dello Stato più ricco e potente del mondo non ha perso tempo nell’annunciare che gli Stati Uniti accelereranno la consegna di ulteriori attrezzature, risorse e munizioni a Israele, oltre a inviare la loro portaerei più nuova e moderna, insieme a un gruppo di navi a supporto nel Mediterraneo orientale.

Ipocrisia imperialista, o la relatività della morale

L’uccisione di uomini e donne è qualcosa che naturalmente evoca sentimenti di ripugnanza nella maggior parte delle persone. Ci viene costantemente ricordata l’ingiunzione biblica: “Non uccidere”.

Questo comandamento, a prima vista, ha un carattere assoluto. Tuttavia, a un esame più attento, risulta chiaro che l’avversione della classe dirigente e dei media per la violenza e l’assassinio non è affatto assoluta, ma ha un contenuto del tutto relativo.

Quando uomini e donne comuni esprimono il loro orrore e la loro indignazione per le atrocità che leggono sulla stampa, si tratta di una normale reazione umana che possiamo comprendere e con cui possiamo simpatizzare.

Ma quando le stesse parole vengono pronunciate da un presidente americano, le cui mani sono macchiate del sangue di innumerevoli innocenti, non possiamo che alzare le spalle e voltarci dall’altra parte con disgusto.

I furfanti imperialisti che fingono di scandalizzarsi per la violenza hanno ripetutamente portato avanti guerre di aggressione feroci. Non hanno esitato a scatenare guerre sanguinose contro l’Iraq e l’Afghanistan durate due decenni, in cui sono stati uccisi centinaia di migliaia di civili. Hanno bombardato Libia, Siria, Sudan, Serbia, senza alcun riguardo per i civili innocenti.

Il caso più atroce di tutti, in tempi recenti, è stata la guerra barbara contro il popolo dello Yemen, uno dei Paesi più poveri del pianeta, condotta dall’Arabia Saudita con il pieno sostegno, la complicità e la partecipazione attiva di Stati Uniti, Gran Bretagna e altre potenze imperialiste.

Se c’è una guerra che si può definire genocida, lo Yemen lo è sicuramente. Secondo le Nazioni Unite, oltre 150.000 persone sono state uccise in Yemen, oltre a stime di oltre 227.000 morti a causa di una terribile carestia deliberatamente creata dai sauditi e dai loro alleati, responsabili anche della distruzione di ospedali e strutture sanitarie.

Queste cifre rappresentano senza dubbio una grave sottostima del numero totale di vittime inflitte al popolo yemenita dai sauditi e dai loro sostenitori imperialisti.

Ma dove si possono trovare parole di condanna di questa barbarie? Dove sono state le proteste di Washington e Londra? Dove erano i titoli giganti dei quotidiani che gridavano al “terrorismo”? Sono rimasti in silenzio, perché i governi occidentali erano attivamente coinvolti in questa guerra di sterminio contro un popolo povero e oppresso.

Non hanno il diritto di protestare per le violenze o di accusare qualcuno di “terrorismo”. Quando si parla di guerra, è inutile appellarsi a considerazioni morali o umanitarie. Le guerre servono a uccidere le persone. E non c’è mai stata una guerra umanitaria nella storia.

Guerra umanitaria è solo un’espressione cinica, una comoda foglia di fico, che oggi viene usata dagli aggressori per giustificare la loro aggressione di fronte all’opinione pubblica.

Gaza e Ucraina, ovvero la relatività del “diritto all’autodifesa”

Per quanto riguarda il cosiddetto diritto di Israele alla difesa, ancora una volta vediamo il doppio standard dell’imperialismo occidentale. Quando si tratta dell’Ucraina, l’hanno armata fino ai denti per combattere la Russia a loro nome, con la scusa che un popolo sotto occupazione ha il diritto di reagire.

Ma quando si tratta dei palestinesi, improvvisamente questo diritto scompare del tutto. Invece di difendere gli oppressi, gli imperialisti armano e riforniscono gli oppressori. Evidentemente il diritto all’autodeterminazione non vale per tutti!

Tra l’altro, seguendo la logica contorta dell’imperialismo, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskij ha paragonato l’invasione russa del suo Paese a quella di Hamas e ha aggiunto la sua voce roca al coro che difende il “diritto di difendersi” di Israele! Abbiamo bisogno di altre prove della natura reazionaria di questo signore?

Prevedibilmente, Zelenskij ha accusato la Russia di volere una guerra in Medio Oriente per minare il sostegno internazionale all’Ucraina, in commenti che riflettono la preoccupazione che la guerra tra Israele e Hamas possa distrarre l’attenzione da quella di Kiev.

“La Russia è interessata a scatenare una guerra in Medio Oriente, in modo che una nuova fonte di dolore e sofferenza possa minare l’unità mondiale, aumentare la discordia e le contraddizioni e quindi aiutare la Russia a distruggere la libertà in Europa”, ha dichiarato.

Zelenskij è un uomo disperato, che ricorrerà a qualsiasi mezzo creda possa garantire il flusso di armi e denaro quando l’Ucraina ha subito una dura sconfitta sul campo di battaglia e ci sono chiari segni che il sostegno tra gli alleati sta vacillando, compresi gli Stati Uniti, la Slovacchia e la Polonia.

La vendetta

Una volta accettata la teoria della relatività applicata alla morale, diventa semplice giustificare l’omicidio, purché sia compiuto dai “nostri”. Vediamo questa comoda relatività morale in azione proprio ora.

La risposta di Israele all’attacco di Hamas di sabato è stata rapida e brutale. Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele è in guerra. Ha promesso di ridurre Gaza a un'”isola deserta”.

I jet da combattimento hanno bombardato la Striscia occupata, radendo al suolo i grattacieli delle aree residenziali, colpendo indiscriminatamente scuole, ospedali e moschee.

Una scuola gestita dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, dove non c’erano “combattenti”, è stata direttamente colpita. Sono stati presi di mira molti condomini residenziali, senza alcun preavviso.

Israele ha continuato a martellare Gaza con attacchi aerei, riducendo alcuni edifici in macerie. Funzionari a Gaza hanno dichiarato che sono stati colpiti ospedali e scuole e che sono già stati uccisi 900 palestinesi, tra cui 260 bambini.

Tutto questo non ha nulla a che fare con l’autodifesa, ma con la sete di vendetta. Non è la prima volta che lo Stato israeliano cerca di punire la popolazione di Gaza per le azioni dei suoi leader, colpendo deliberatamente i civili.

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha ordinato un “assedio totale” della Striscia di Gaza: “Ho ordinato un assedio totale sulla Striscia di Gaza. Non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante, tutto è chiuso”.

Privare uomini, donne e bambini di cibo, acqua ed elettricità dovrebbe essere un crimine secondo il “diritto internazionale”. Persino le patetiche Nazioni Unite hanno ritenuto necessario ricordare agli israeliani questo piccolo dettaglio, anche se gli effetti di questo richiamo cortese sono stati prevedibilmente nulli.

“Animali umani”

E come giustificano tutto ciò? Molto semplicemente.

Il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha detto chiaramente come stanno le cose: “Stiamo combattendo contro animali umani e ci comportiamo di conseguenza”.

Questo linguaggio ci è ben noto. È prassi comune degli imperialisti giustificare i massacri disumanizzando il nemico. Se partiamo dal fatto che i nostri nemici non sono esseri umani come noi, ma solo animali, ci sentiamo autorizzati a trattarli come vogliamo.

Ricordiamoci che per decenni gli ebrei sono stati considerati non come persone, ma come esseri subumani. Ciò significava che potevano essere picchiati, torturati, affamati e uccisi, che importava? Dopo tutto, sono “solo animali”, o “animali umani”. La differenza è puramente semantica.

Ma gli abitanti della Striscia di Gaza non sono animali. Sono esseri umani, proprio come gli abitanti di Israele sono esseri umani. E tutti gli esseri umani hanno il diritto di essere trattati allo stesso modo.

Un coro di ipocriti

Come in un coro all’unisono ben pianificato, i leader politici di tutto il mondo si sono affrettati a dichiarare il loro sostegno incondizionato al “diritto di Israele a difendersi”. Destra e “sinistra”, repubblicani e democratici, tutti cantano a squarciagola dallo stesso libro di canti religiosi trito e ritrito.

Gli stessi media che hanno taciuto sui crimini dell’imperialismo sono stati anche del tutto negligenti nel parlare del terrore criminale inflitto ai palestinesi dallo Stato israeliano per molti decenni. Questi ultimi sono stati vittime di provocazioni continue e violente da parte dei coloni ebrei di ultradestra.

Evidentemente, ciò serve a sostenere materialmente il diritto di Israele a “difendersi” polverizzando una minuscola striscia di terra che ospita due milioni e mezzo di poveri. È stata descritta come la più grande prigione a cielo aperto del mondo.

L’intero campo imperialista sostiene Israele nel suo tentativo di massacrare i palestinesi di Gaza. E nel caso in cui le bombe, i proiettili d’artiglieria e i missili non uccidano un numero sufficientemente alto di palestinesi, l’Unione Europea ha pianificato di eliminarne un altro po’ per fame.

L’UE ha annunciato la sospensione degli aiuti finanziari ai palestinesi, da cui dipendono fortemente per la loro sopravvivenza. La decisione è stata così scandalosa che, successivamente, è stata revocata.

Ecco riassunta in poche righe l’essenza distillata di ciò che passa per “civiltà occidentale”.

Non sorprende che dirigenti “laburisti” di destra come Sir Keir Starmer in Gran Bretagna abbiano immediatamente aggiunto le loro voci stridule a questo coro ipocrita. Questi signori e signore hanno venduto la loro anima al diavolo molto tempo fa. Non sono altro che agenti dell’imperialismo.

Ma i riformisti di destra non sono gli unici colpevoli. Per loro vergogna, molti riformisti di “sinistra” si sono uniti alla condanna (Sanders, Ilhan Omar e Alexandra Ocasio Cortez, il Partito “Comunista” francese, tra gli altri).

Non per la prima volta, queste cosiddetti esponenti di sinistra hanno mostrato la loro totale codardia e mancanza di principi. Hanno immediatamente ceduto alla pressione dei mass media capitalisti e dell’opinione pubblica borghese, finendo per seguire la linea della classe dominante.

La Tendenza Marxista Internazionale non si unirà al coro ipocrita degli imperialisti e dei loro seguaci.

Da che parte stiamo?

In ogni guerra le parti belligeranti ricorrono sempre a storie di atrocità – reali o inventate – per giustificare i propri atti di violenza e omicidio. L’atteggiamento dei comunisti nei confronti della guerra non può mai basarsi su una propaganda sensazionalistica usata cinicamente per giustificare una parte o l’altra. Né una guerra può essere giustificata sulla base di chi ha attaccato per primo. Il nostro atteggiamento nei confronti della guerra deve basarsi su altri principi.

La nostra posizione è molto semplice:

In ogni lotta, ci schiereremo sempre dalla parte dei poveri oppressi, mai da quella degli oppressori ricchi e potenti.

Nel caso specifico, bisogna chiedersi chi sono gli oppressori e chi gli oppressi. Sono i palestinesi che opprimono gli israeliani? Nessuno sano di mente lo potrebbe credere.

Non sono i palestinesi che occupano terre che non appartengono loro e le conservano con la forza. Non sono loro a cacciare i coloni israeliani da terre che erano state occupate dai palestinesi per generazioni, ma esattamente il contrario.

Non sono loro a negare ai cittadini israeliani i diritti più elementari, a sottoporli a blocchi brutali e a ridurli alla condizione di paria nella loro stessa terra.

È necessario recitare la lunga lista di crimini commessi dal Stato reazionario israeliano contro i palestinesi?

Non abbiamo spazio per menzionare tutti questi crimini, che continuano, giorno dopo giorno, mese dopo mese e anno dopo anno, a trasformare la vita dei palestinesi in un inferno.

I palestinesi sono stati ridotti a uno status non molto diverso da quello simile alla schiavitù. E gli schiavi, quando sono privati di ogni altro diritto, possono ricorrere solo all’unico diritto che rimane: il diritto alla rivolta.

Nel corso della storia, le rivolte degli schiavi sono state di solito accompagnate da atti di estrema violenza, che non erano altro che il riflesso dell’estrema oppressione che essi stessi avevano subito per mano dei proprietari di schiavi.

Questo è un fatto deplorevole. Ma non ci esime dall’obbligo di difendere la rivolta degli schiavi contro i proprietari. Marx ha affrontato la questione in un articolo scritto nel 1857, in cui risponde agli articoli della stampa britannica che enfatizzano le atrocità commesse durante la rivolta indiana contro gli inglesi:

“Le violenze commesse dai Sepoys in India sono invero atroci, mostruose, indicibili come ci si aspetta di trovarne solo in guerre insurrezionali, di nazionalità, di razza, e soprattutto di religione. Insomma sono come quelle che l’Inghilterra per bene era solita applaudire allorché commesse dai Vandeani sui Bleus, dai guerriglieri spagnoli sugli infedeli francesi, dai serbi sui vicini tedeschi e ungheresi, dai croati sui ribelli viennesi, la Garde Mobile di Cavaignac e i Décembristes di Luigi Bonaparte sui figli e le figlie della Francia proletaria. Per quanto abominevole, la condotta dei Sepoys non è che il riflesso, in forma concentrata, della stessa condotta degli inglesi in India, nonché durante il periodo di fondazione del loro impero orientale, durante l’ultimo decennio di dominio consolidato, caratterizzabile dicendo solo che la tortura formava un istituto organico della politica finanziaria del governo. C’è nella storia umana un che di simile alla legge di compensazione di cui un passo è che il suo strumento sia forgiato non dagli oppressi, ma dagli oppressori. “

(Karl Marx, La rivolta dei Sepoys, 1857)

Sosteniamo Hamas?

I nostri nemici diranno: allora sostenete Hamas. A questa accusa risponderemo: non abbiamo mai sostenuto Hamas. Non condividiamo la sua ideologia, né condoniamo i metodi che utilizza.

Siamo comunisti e abbiamo le nostre idee, il nostro programma e i nostri metodi, basati sulla lotta di classe tra ricchi e poveri, oppressori e oppressi. È questo che determina il nostro atteggiamento in ogni caso.

Ma le nostre differenze con Hamas, per quanto fondamentali, non sono così fondamentali come le differenze che ci separano dall’imperialismo statunitense – la forza più reazionaria del pianeta – e dai suoi complici nei loro crimini, la classe dominante israeliana.

I nostri critici ci chiederanno: siete d’accordo con l’uccisione di così tanti civili innocenti? Risponderemo che non abbiamo mai sostenuto queste cose. Né le giustifichiamo.

Il nostro primo compito, per citare Spinoza, non è né piangere né ridere, ma capire. Le considerazioni morali sono del tutto inutili per spiegare qualcosa. Per comprendere ciò che sta accadendo, è necessario porre la questione in modo diverso: cosa ha portato all’attacco di Hamas?

Può essere separato dai decenni di oppressione, violenza e occupazione della Palestina da parte dello Stato reazionario di Israele?

Ovviamente no.

Israele è uno Stato potente e ricco che da decenni espropria e opprime i palestinesi con una combinazione di forza bruta e potenza economica.

E dobbiamo anche considerare la catena di eventi che ha portato direttamente alla situazione attuale. Non è caduta dal cielo, come ci viene chiesto di credere.

Il tradimento

Gli imperialisti avevano promesso ai palestinesi giustizia, se solo avessero aspettato ancora un po’. Ma hanno aspettato e aspettato e l’unico risultato è stato un’ulteriore distruzione della loro patria e un’ulteriore perdita di diritti.

Quando la pazienza degli oppressi si esaurisce, prima o poi si scagliano contro il loro oppressore. In questi momenti, inevitabilmente si commettono eccessi e brutalità. Questo è naturalmente da deplorare. Ma chi è il vero responsabile?

Se un uomo o una donna commette un omicidio a sangue freddo, questo è senza dubbio un crimine e verrà punito come tale.

Ma se una donna subisce per molti anni atti di violenza crudeli da parte del marito e un giorno si rivolta contro il suo aguzzino e lo uccide, la maggior parte delle persone direbbe che le circostanze che hanno portato alle sue azioni dovrebbero essere prese in considerazione.

Torniamo al caso in questione. Nelle settimane precedenti l’esplosione, sono state perpetrate continue provocazioni da parte di religiosi ebrei fanatici. Hanno preso d’assalto il complesso della moschea di Al-Aqsa, uno dei luoghi più sacri del mondo islamico. Hanno agito sotto la protezione della polizia e dell’esercito.

Provocazione

Netanyahu è alleato con l’estrema destra sionista, alcuni dei suoi esponenti sono apertamente fascisti. Il loro obiettivo dichiarato è quello di provocare una nuova Nakba, cioè di cacciare fisicamente i palestinesi dalla terra in cui vivono ora, a partire da Gerusalemme e dalla Cisgiordania.

Questa politica non è nuova, ma si è intensificata negli ultimi mesi. I coloni, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti e reclutati tra i fondamentalisti religiosi più estremisti, hanno costruito insediamenti in Cisgiordania.

Questi sono collegati da una rete di strade difese militarmente, che dividono e frazionano il territorio formalmente sotto il controllo del territorio palestinese.

I coloni reazionari si sentono incoraggiati e protetti dal governo israeliano ultranazionalista.

Bande armate di coloni fanatici religiosi hanno condotto pogrom contro i palestinesi con il sostegno aperto o nascosto dell’esercito e della polizia israeliana. Si suppone che questi accaparramenti di terra siano illegali secondo il “diritto internazionale”. Ma tutte le pie risoluzioni approvate dalle Nazioni Unite in un rituale senza senso non hanno fatto nulla per fermare queste azioni criminali.

In queste condizioni, nessuno può sorprendersi del fatto che i palestinesi stiano reagendo. I popoli oppressi hanno il diritto di resistere.

Gli ipocriti sosterranno che la colpa è di entrambe le parti perché entrambe hanno usato la violenza. Formalmente, questa affermazione è vera. Ma il suo contenuto è fondamentalmente falso. La violenza di una parte non può essere equiparata alla violenza dell’altra. Non c’è assolutamente alcuna equivalenza tra le due parti.

Da un lato, abbiamo un moderno Paese capitalista avanzato, dotato di armi nucleari, jet da combattimento armati di potenti missili, tecnologia avanzata e attrezzature di sorveglianza, che conta sul pieno sostegno materiale e finanziario del Paese imperialista più potente del mondo.

Dall’altra parte, abbiamo i palestinesi oppressi, che combattono con tutte le armi di cui possono disporre.

Sorprendersi dei recenti avvenimenti è in realtà del tutto di rabbia sciocco. Date le circostanze, una qualche esplosione di rabbia era assolutamente inevitabile, anche se il momento e le modalità di essa non potevano essere previsti, nemmeno dai servizi segreti israeliani.

Israele umiliato

È necessario affrontare la guerra nei suoi termini, senza introdurre considerazioni non pertinenti che le sono del tutto estranee. Ciò che ha scatenato la furia della classe dominante israeliana non è la quantità di persone che hanno perso la vita. Le loro preoccupazioni sono di natura puramente pratica.

Da un punto di vista meramente militare, l’attacco di Hamas è stato un successo. L’attacco lampo, inatteso, ha colto completamente di sorpresa i tanto decantati servizi segreti israeliani. Gruppi di commando ben armati sono penetrati nelle difese di Israele, sfondando quella che doveva essere una linea inespugnabile e infliggendo gravi perdite alle forze israeliane.

Quando questo fatto è divenuto di dominio pubblico, ha provocato un’ondata di panico e paura in Israele, dove la popolazione è stata cullata dalle autorità nella convinzione di essere protetta da una linea di difesa invulnerabile. Da un giorno all’altro, la fiducia della gente nel mito dell’invulnerabilità è andata in frantumi. Questo fatto avrà conseguenze incalcolabili per il futuro.

Al contrario, la notizia dell’attacco è stata festeggiata nelle strade di molte capitali arabe. Le masse sono state incoraggiate dal fatto che, finalmente, il potente Stato israeliano ha subito una sconfitta umiliante. Rispetto a questo fatto, tutte le altre considerazioni sembravano di secondaria importanza.

Netanyahu si sente estremamente fiducioso perché ha il fermo appoggio dell’imperialismo statunitense, che fornisce a Israele quantità infinite di dollari e armi letali.

Hanno spostato la loro ambasciata a Gerusalemme – uno schiaffo a tutti i palestinesi. Il Presidente Trump ha preso questa decisione provocatoria. Ma il Presidente Biden non ha fatto marcia indietro. È ansioso di assicurarsi il voto degli ebrei alle elezioni del prossimo anno, oltre che di mantenere uno dei pochi alleati incrollabili rimasti nella regione.

Pace o violenza?

I nostri nemici ci pongono molto spesso la domanda: siete a favore della violenza? Potrebbero anche chiederci se siamo a favore della peste bubbonica, perché è una domanda altrettanto vuota di contenuti reali.

Ci sono domande che si rispondono da sole, e questa è proprio di questo tipo. Ma rispondere semplicemente in modo negativo è del tutto inutile. Bisognerebbe spiegare le circostanze concrete in cui si ricorre alla violenza: per quale scopo? E nell’interesse di chi? Senza queste informazioni, è davvero impossibile fornire una risposta accurata. È così in ogni conflitto, ed è così anche oggi.

Molti a “sinistra” (come al solito) si limitano a denunciare la violenza in generale, chiedendo “una soluzione pacifica” attraverso “negoziati” e l’intervento di “istituzioni internazionali”. Ma questa è una menzogna e un inganno.

Per 75 anni ci sono stati negoziati e colloqui senza fine e questo non ha fatto avanzare di un centimetro la causa della libertà dei palestinesi. Per decenni le cosiddette Nazioni Unite hanno approvato risoluzioni che condannano l’occupazione israeliana dei territori palestinesi nel 1967, ma nulla è cambiato. Anzi, la situazione è peggiorata di gran lunga.

L’attuale escalation del conflitto è in realtà il risultato del completo fallimento degli accordi di Oslo. L’idea di creare uno staterello palestinese accanto a Israele su base capitalistica era destinata a fallire, come avevamo avvertito all’epoca.

L’obiettivo di Israele era quello di affidare il controllo dei palestinesi all’Autorità Nazionale Palestinese, guidata dai nazionalisti borghesi di Fatah, completamente demoralizzati e incapaci di portare avanti la lotta di liberazione nazionale palestinese.

Gli ultimi 30 anni hanno rivelato il fallimento totale della soluzione dei due Stati imposta dall’imperialismo statunitense e dal capitalismo israeliano ai palestinesi

Non c’è da stupirsi se, secondo un recente sondaggio d’opinione, il 61% dei palestinesi ha dichiarato di stare peggio di prima degli accordi di Oslo e il 71% ha affermato che è stato un errore firmare l’accordo stesso.

Nonostante ciò, i pacifisti senza speranza della sinistra sostengono che i palestinesi dovrebbero usare solo mezzi di lotta pacifici. Ma quando hanno provato a farlo, qual è stato il risultato?

La marcia del ritorno del 2018 è stata portata avanti da civili disarmati. L’esercito israeliano ha usato munizioni vere uccidendo centinaia di persone e ferendone oltre diecimila, tra cui bambini, donne, giornalisti e medici.

È proprio questo che ha convinto i palestinesi che l’unica strada percorribile è quella di rispondere alla violenza con la violenza. Ci si può rammaricare di questo fatto, ma è l’unica conclusione possibile che ci si può aspettare che i palestinesi traggano. E questo è al 100% responsabilità dello Stato israeliano e dei suoi sostenitori imperialisti.

Secondo lo stesso sondaggio, il 71% ritiene che la soluzione dei due Stati non sia più praticabile a causa dell’espansione degli insediamenti, il 52% è favorevole allo scioglimento dell’Autorità palestinese e il 53% pensa che la lotta armata sia l’unico modo per uscire dall’impasse.

Piani imperialisti in rovina

Prima degli eventi del 7 ottobre, era in corso il cosiddetto processo di normalizzazione: in sostanza, Israele stabiliva normali relazioni diplomatiche ed economiche con i Paesi arabi (in particolare con l’Arabia Saudita) e, di conseguenza, il problema palestinese sarebbe stato dichiarato concluso.

Ciò è stato evidenziato dall’intervento di Netanyahu all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre, dove ha mostrato una mappa della regione che mostrava Israele e i Paesi con cui stava normalizzando le relazioni… ma l’Israele nella mappa includeva le alture del Golan, Gaza e la Cisgiordania, lasciando la Palestina completamente fuori dal quadro!

Questo palese cinismo ha mostrato l’atteggiamento insensibile non solo di Netanyahu e della sua banda di reazionari, ma anche delle cosiddette democrazie imperialiste, che trattano le piccole nazioni come spiccioli nelle loro macchinazioni.

Questa spartizione mostruosa doveva essere effettuata alle spalle dei palestinesi. La loro stessa esistenza è considerata un fastidioso inconveniente. Le loro lamentele continue potevano essere tranquillamente ignorate, mentre lo sgradevole, ma necessario, compito di tenerli in ordine poteva essere affidato agli stivali delle forze armate israeliane.

Questa era la teoria. Ma la vita ha la sfortunata abitudine di contraddire anche la più bella delle teorie. E questa in particolare aveva un buco al centro: presupponeva che i palestinesi fossero talmente vilipesi, talmente sfiniti, da non essere in grado di opporre una vera lotta. Questo presupposto è andato in frantumi sabato 7 ottobre.

Diverse fonti hanno puntato il dito contro l’Iran. Nonostante le smentite di Teheran, questo potrebbe essere vero. L’abile esecuzione dell’attacco e il modo in cui è penetrato rapidamente nelle solide difese israeliane hanno mostrato un grado di professionalità che difficilmente può essere opera unicamente di Hamas.

Inoltre, l’Iran aveva un interesse particolare nel suo successo. L’effetto immediato è stato quello di far naufragare il piano di Netanyahu di stringere relazioni con l’Arabia Saudita. La banda reazionaria di Riyadh era pronta a svendere i palestinesi, stringendo un accordo con Israele.

Ma questi piani, naturalmente incoraggiati dagli Stati Uniti, sono naufragati. Mohammed bin Salman si è rifiutato di unirsi al coro di sostegno al “diritto di autodifesa” di Israele. Metterebbe in pericolo la stessa monarchia se osasse andare contro i sentimenti del popolo saudita, che è un fervente sostenitore dei palestinesi.

Il Guardian ha pubblicato un articolo intitolato: “L’attacco di Hamas ha bruscamente alterato il quadro della diplomazia mediorientale”. Queste parole descrivono molto bene la questione. Patrick Wintour, redattore diplomatico del Guardian, scrive:

“L’Iran vuole rendere impossibile che l’Arabia saudita trovi un accordo con Israele, mentre altri nella regione non possono permettersi il caos a Gaza”.

È corretto. I leader arabi non possono permetterselo a causa degli effetti profondamente inquietanti che produce sulle masse nei loro Paesi. La minaccia di una rivolta di piazza è sempre presente nella mente delle cricche al potere arabe, che non hanno dimenticato la lezione delle rivolte di massa conosciute come Primavera araba.

È un incubo sia per i governanti arabi che per Washington. Ma una nuova edizione della rivoluzione araba è l’unica speranza per una soluzione duratura della questione palestinese.

Il popolo oppresso della Palestina non deve fidarsi delle promesse dei governi stranieri. Il loro unico interesse è quello di fare vuote dichiarazioni di sostegno ai palestinesi, per crearsi un’immagine di solidarietà con gli oppressi che è falsa fino al midollo.

Va da sé che le promesse degli imperialisti sono del tutto prive di valore, così come le risoluzioni fittizie approvate di routine dalle cosiddette Nazioni Unite.

Il popolo palestinese può liberarsi solo con i propri sforzi. E gli unici alleati affidabili su cui può contare sono gli operai e i contadini della regione e del mondo intero, oppressi e sfruttati come loro.

Israele su una strada pericolosa

C’è un altro fattore che non può essere ignorato. Finché lo Stato israeliano potrà contare sull’appoggio della maggioranza della popolazione ebraica, sarà molto difficile arrivare al suo rovesciamento. Solo dividendo lo Stato di Israele lungo linee di classe diverrà una proposta praticabile.

Nelle circostanze attuali, questa sembra essere una variante improbabile. Ciò è dovuto, in parte, ai limiti evidenti dell’ideologia e dei metodi di Hamas, che convincono molti cittadini israeliani di una minaccia alla loro esistenza da parte dei “terroristi” palestinesi.

Purtroppo, il recente assalto e l’uccisione di civili ha convinto molti israeliani che l’unica soluzione è quella di stringersi attorno al governo. Ciò è stato incoraggiato dalla condotta scandalosa della cosiddetta opposizione, che ha immediatamente abbandonato tutte le sue obiezioni alle politiche reazionarie del governo Netanyahu e si è affrettata a proporre di entrare in un cosiddetto governo di unità nazionale. Si tratta di una linea d’azione disastrosa.

Il popolo di Israele deve porsi la seguente domanda: come è possibile che dopo tanti anni di conflitto, tante guerre e tante vittorie militari si senta oggi più insicuro che mai dalla fondazione dello Stato di Israele? Tutte le misure pianificate che si presume siano state pensate per garantire la loro sicurezza, nel momento della verità, non sono valse a nulla.

È vero che Israele, con la sua colossale forza militare e la sua superiore potenza di fuoco, può facilmente sconfiggere Hamas dal punto di vista militare.

Tuttavia, un’invasione di terra di Gaza, con le sue strade strette, la miriade di tunnel e una popolazione ostile e incattivita, non si realizzerà senza gravi perdite di vite umane da entrambe le parti. E dopo che Gaza sarà stata ridotta a un cumulo di macerie, cosa succederà? Non si hanno abbastanza forze per occupare e tenere sotto controllo una popolazione ostile di 2,3 milioni di persone per un periodo di tempo indefinito. Prima o poi si verificheranno nuove esplosioni e spargimenti di sangue.

E le cose non finiscono qui. L’oppressione dei palestinesi serve a infiammare i sentimenti in tutto il mondo arabo. I tentativi di stringere relazioni con l’Arabia Saudita sono ormai in cenere. Israele si trova ora più isolato che mai. Circondato da milioni di nemici su tutti i lati, le prospettive per Israele sono davvero tristi. E il recente bagno di sangue costituisce un serio avvertimento di un futuro ancora peggiore, a meno che non cambi qualcosa di fondamentale in Israele stesso.

Marx ha sottolineato molto tempo fa che nessuna nazione potrà mai essere libera finché opprime e soggioga un’altra nazione: “Il compito specifico del Consiglio centrale a Londra, è di risvegliare nella classe operaia inglese la consapevolezza che l’emancipazione nazionale dell’Irlanda non è per essa una questione di giustizia astratta o di sentimenti umanitari bensì la prima condizione per la loro stessa emancipazione sociale.”. (Marx a Sigfrid Meyer e August Vogt, 1870)

Attualmente, la voce della ragione in Israele è messa a tacere dal ruggito insaziabile della controrivoluzione. Ma coloro che sostengono l’unione con le forze reazionarie di Netanyahu e degli zeloti ultrareligiosi, stanno portando Israele direttamente verso il baratro.

E ora?

Per molti anni, le masse palestinesi hanno dimostrato più e più volte il loro altruismo, il loro coraggio e la loro volontà di lottare. Il problema è che non hanno avuto una direzione all’altezza del compito.

Dopo tanti decenni di svendite e promesse non mantenute, la pazienza dei palestinesi è ormai esaurita. Ai giovani militanti palestinesi che desiderano combattere contro il potente Stato israeliano, i razzi di Hamas sembrano fornire una qualche sorta di risposta. Questa convinzione ha ricevuto un forte impulso in seguito ai recenti eventi.

Non c’è dubbio che il successo di Hamas, che è riuscito a sfondare le difese israeliane, ritenute inviolabili, e a sferrare colpi contro Israele, sia stato visto come una vittoria da molti nel mondo arabo, che desideravano vedere Israele umiliato.

Nel breve termine, questo aumenterà enormemente il prestigio di Hamas. Ma a lungo termine, i limiti del successo di Hamas diventeranno fin troppo evidenti. L’equilibrio militare delle forze è in gran parte a favore di Israele.

I giovani combattivi sono giunti alla conclusione che l’unica strada percorribile non è quella dei colloqui, ma quella della lotta rivoluzionaria. Ciò comporta azioni di massa, scioperi di massa e sì, in ultima analisi, la lotta contro lo Stato di Israele deve significare autodifesa armata e lotta armata.

Tuttavia, è importante non perdere il senso delle proporzioni. La lotta rivoluzionaria delle masse palestinesi, finché rimarrà isolata, non sarà sufficiente a sconfiggere la potenza dello Stato di Israele.

Per questo saranno necessari gli sforzi congiunti di un movimento rivoluzionario di massa in tutto il Medio Oriente. Ma un enorme ostacolo si frappone: i regimi reazionari borghesi arabi sostengono la causa palestinese solo a parole, ma in ogni momento sono pronti a tradire i palestinesi e a scendere a patti con l’imperialismo.

Solo attraverso il rovesciamento di questi regimi corrotti si potrà aprire la strada alla vittoria della rivoluzione socialista in Medio Oriente, condizione preliminare per la liberazione della Palestina.

In ultima analisi, solo la creazione di un fronte unito tra il popolo palestinese e la classe operaia e i settori progressisti della società israeliana creerà la possibilità di dividere lo Stato israeliano su linee di classe, aprendo la strada a una soluzione duratura e democratica della questione palestinese.

Questo sarà un sottoprodotto della rivoluzione araba, che potrà avere successo solo se sarà portata avanti fino in fondo. Il rovesciamento dei regimi corrotti è solo una soluzione a metà. La vera liberazione del popolo può essere raggiunta solo attraverso l’espropriazione dei proprietari terrieri, dei banchieri e dei capitalisti.

La rivoluzione socialista: l’unica soluzione!

Per troppo tempo il Medio Oriente, con il suo colossale potenziale, le sue risorse naturali e l’enorme bacino non sfruttato di forza lavoro in eccesso e di giovani istruiti, è stato balcanizzato – un’eredità del colonialismo che ha diviso la regione in piccoli Stati che potevano essere facilmente dominati e sfruttati.

Questa eredità velenosa è stata un terreno fertile per guerre infinite, odio nazionale e religioso e altre forze distruttive. La questione palestinese è solo l’espressione più evidente e mostruosa di questo fatto.

I lavoratori non hanno alcun interesse a conquistare territori stranieri o a tenere altri popoli in uno stato di sottomissione. Quando il potere sarà nelle mani del popolo lavoratore, tutti i problemi del mondo arabo potranno essere risolti pacificamente, democraticamente, di comune accordo.

In una federazione socialista democratica, sarebbe possibile stabilire relazioni fraterne tra i popoli – arabi ed ebrei, sunniti e sciiti, curdi e armeni, drusi e copti. Si aprirebbe finalmente la strada per una soluzione duratura e democratica della questione palestinese.

C’è abbastanza territorio per creare uno Stato palestinese realmente autonomo, vitale e prospero, con piena autonomia sia per gli arabi che per gli ebrei, sulla falsariga delle repubbliche sovietiche istituite dai bolscevichi dopo la Rivoluzione d’Ottobre.

Chi possiede una mentalità ristretta diranno che questa è un’utopia. Ma sono gli stessi che hanno sempre sostenuto che il socialismo è un’utopia. Questi sedicenti “realisti” si aggrappano ostinatamente allo status quo, che secondo loro è l’unica realtà possibile – semplicemente sulla base del fatto che esiste.

Secondo questa “teoria” fallimentare, la rivoluzione è impossibile. Ma tutto ciò che esiste merita di perire. E tutta la storia ci dice che le rivoluzioni non solo sono possibili, ma inevitabili. Il sistema capitalista è marcio fino al midollo. Le sue fondamenta si sgretolano e vacilla prima della caduta.

Tutto ciò che serve è che gli venga data una bella spinta. E non è affatto scontato che ciò possa partire da una nuova rivolta nel mondo arabo. Questa è l’unica via da seguire per i popoli del Medio Oriente. La rivoluzione palestinese trionferà come parte integrante della rivoluzione socialista, oppure non trionferà affatto.

Londra, 11 ottobre 2023

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