Argentina: nazionalizzazione parziale di YPF

La Corrente socialista El Militante appoggia l’intervento del governo rispetto a Yacimentos Petroliferos Fiscales (YPF) decretata dal governo di Cristina Fernandez e la sua nazionalizzazione per mezzo di una legge che si discuterà in parlamento a partire dalla proposta fatta dall’esecutivo. Respingiamo le minacce di rappresaglia da parte dell’imperialismo e facciamo appello alla solidarietà internazionale.

Indubbiamente un passo avanti, che deve completarsi con la nazionalizzazione totale della società sotto il controllo operaio e sociale.

La legge, se approvato senza modifiche, dichiarerà lo sfruttamento degli idrocarburi di interesse pubblico e concederà allo stato argentino la maggioranza del pacchetto azionario (51%) dell'impresa (espropriando questo 51% dal 57% posseduto da Repsol, senza toccare la parte della holding Petersen e di altri azionisti minori). Secondo la proposta del governo questo 51% delle azioni statali si ripartirà approssimativamente in un 26% per lo stato centrale e in un 25% per i governi locali delle provincie con produzione petrolifera. È logico che queste misure hanno avuto il sostegno unanime del popolo lavoratore argentino che ha sempre considerato YPF un'emblema. Ricordiamo che è il primo gruppo del paese in termini di fatturato e profitti.

YPF nasce nel 1922 come azienda di stato, ma il governo presieduto da Carlos Menem ha iniziato un processo di svuotamento e privatizzazione conclusosi nel 1999 con la vendita della società alla spagnola Repsol. Tuttavia, YPF rimane la compagnia leader nel settore del petrolio e del gas in Argentina. Attualmente detiene il 41% della produzione petrolifera del paese e il 55% della capacità di raffinazione del petrolio. E questo nonostante il fatto che YPF ha ridotto del "30-35% la produzione di greggio negli ultimi anni e oltre il 40% di quella del gas", secondo un documento dell'organizzazione federale degli stati produttori di idrocarburi (Ofephi).

Come riportato dalla stessa presidente Cristina Fernandez nel suo discorso di ieri, dal 1999 al 2011 gli utili netti di YFP sono stati pari a 16.450 milioni di dollari, di cui 13,246 milioni distribuiti tra i suoi azionisti: l'80,5% del totale a fronte di una media del 30% nelle altre imprese del settore. Il resto si suppone sia andato agli investimenti. Questo dimostra lo scarso interesse dei dirigenti di Repsol nell'esplorazione dei giacimenti e al tempo stesso la fame insaziabile di profitto.

La produzione di idrocarburi in Argentina è andata calando anno dopo anno. Quella globale del petrolio è scesa dal 2001 al 2011 da 46 a 34 milioni di metri cubi, secondo le stime dell'Istituto petrolifero argentino (IAP). Secondo la stessa fonte, la produzione mondiale del gas è anch'essa in declino: dal 2006 al 2011 da 52 a 46 milioni di metri cubi. I pozzi di petrolio e gas sono passati da 103 a 41 nel periodo che a dal 1980 al 2000 scendendo ulteriormente a 26 nel 2010 secondo un rapporto della commissione energetica del Congresso basato sui dati dell'Indec (l'istituto nazionale di statistica e censimento).

L'Argentina ha rappresentato fino ad ora un caso eccezionale di paese produttore di petrolio che lascia tutta la produzione e la commercializzazione in mani private. Come conseguenza la maggior parte del petrolio è stata esportata mentre lo stato ha dovuto spendere 9,3 miliardi di dollari  per importare il combustibile mancante nel paese, con una previsione di spesa di 12 miliardi per quest'anno. Finora la tattica di queste aziende era quella di ridurre i loro investimenti al minimo e ricattare lo Stato per strappare maggiori concessioni nelle attività estrattive.

La reazione della borghesia e dell'opposizione

Da notare che, mentre queste misure governative di nazionalizzazione sono state salutate con gioia dalla classe operaia argentina, i capitalisti e i loro mass media da loro controllati (Clarín, La Nación, Perfil etc.), così come i partiti di opposizione (Coalición Cívica, UCR, PRO con l'eccezione di Proyecto Sur e del Frente Amplio Progresista) hanno mostrato la loro contrarietà. La confindustria argentina non ha rilasciato alcuna dichiarazione. Ciò dimostra che la borghesia nazionale sente i suoi interessi più vicini a quelli della borghesia straniera piuttosto che a quelli del suo popolo. Il loro tenore di vita ed i loro privilegi provengono dalla stessa fonte: dal saccheggio della ricchezza del popolo e dallo sfruttamento del lavoratori. Non a caso tutti questi settori capitalisti condividono lo stesso atteggiamento di opposizione nei confronti del governo di Cristina Fernandez sostenendo la destra reazionaria come quella di Macri (capo del governo della città di Buenos Aires).

La reazione in Spagna

La reazione isterica dei capi del consiglio di amministrazione della Repsol , che minacciano azioni legali, è comprensibile dato che quasi il 50% delle riserve totali di petrolio della multinazionale provengono appunto dalla Ypf. La nazionalizzazione implicherebbe una riduzione importante dei  profitti di Repsol.

La risposta del governo spagnolo è stata altrettanto isterica ed arrogante, con un chiaro contenuto imperialista, descrivendo la nazionalizzazione parziale di YPF come "un attacco alla Spagna" e minacciando "rappresaglie", come se si avesse a che fare con i pirati. In realtà, YPF appartiene al popolo argentino, le cui risorse naturali e le imprese statali gli sono state saccheggiate congiuntamente da multinazionali, padroni nazionali, politici corrotti e burocrati sindacali.

Chiaramente, anche con questo atteggiamento, il governo Rajoy intende utilizzare il nazionalismo per cercare di distogliere l'attenzione dalla crescente opposizione interna alla sua politica sociale reazionaria che ha già portato ad uno sciopero generale che ha avuto il supporto di oltre 10 milioni di lavoratori, alla perdita di due elezioni regionali (Andalusia e Asturie) e a un calo di 8 punti percentuali nelle intenzioni di voto.

Purtroppo i dirigenti "socialisti" del Psoe si sono allineati con la multinazionale Repsol (che non ha nemmeno una partecipazione maggioritaria di capitale spagnolo) e col governo reazionario di Mariano Rajoy. Ma si sa che per i socialdemocratici la politica estera è solo una continuazione della politica interna. È stato il precedente governo Zapatero ad iniziare una politica antioperaia fatta di tagli che lo ha portato a perdere le elezioni. Il nuovo governo del Partido popular non ha fatto che  approfondire e ampliare questi attacchi.

Accogliamo con favore, tuttavia, l'atteggiamento dei leader di Izquierda unida, la terza forza politica spagnola, che ha difeso il diritto dello stato argentino a prendere possesso delle proprie risorse descrivendo come "vergognosa" la difesa del governo spagnolo di Repsol e il suo appoggio alle minacce contro l'Argentina. Non abbiamo alcun dubbio che questa posizione sia condivisa dalla maggior parte dei lavoratori e della gioventù spagnola.

Il nostro appoggio, tra critiche e proposte

Pur sostenendo le misure proposte dal governo, abbiamo alcune riserve circa la portata e la procedura utilizzata per realizzarle. In primo luogo, se l'obiettivo di prendere il controllo della società è per, si dice, far valere gli interessi economici della nazione contro l'interesse del profitto privato, non capiamo perché l'espropriazione non si estende al 100% capitale, includendo così il gruppo nazionale Eskenazi (che controlla il 25,46% di YPF) e altri soci privati (tra cui il restante 6% da Repsol, più un 17% di investitori non specificati). Il rimanente 49% di capitale privato significa che centinaia di milioni di dollari continueranno ad andare nelle tasche di queste persone anzichè soddisfare le pressanti necessità economiche e sociali della società e del paese.

È il caso del Gruppo Eskenazi che comprò da Repsol il suo pacchetto azionario con l’impegno a pagarlo tramite i profitti determinati dall’attività di Ypf e che tuttora non ha terminato di devolvere.

YPF ha avuto un capitale pubblico al 100% prima dell'inizio della sua privatizzazione ed è la condizione alla quale chiediamo di ritornare. Pertanto, non condividiamo la posizione del governo, espressa dalla presidente, quando ha sostenuto nel suo discorso che il modello scelto per il futuro della YPF "non è la nazionalizzazione", ma "il recupero della sovranità e del controllo" degli idrocarburi. Pare che, riecheggiando i pregiudizi consapevolmente propagati dagli stessi privatizzatori di 20 anni fa, il governo ha voluto inviare un segnale conciliante alla borghesia nazionale e al capitale multinazionale. Però, giustamente, la decisione di espropriare la maggior parte del capitale Repsol è dovuta al ruolo reazionario giocato in questa società dal capitale privato che cerca solo di massimizzare i profitti a scapito dei lavoratori e dello sviluppo del paese, lo stesso interesse che il gruppo Eskenazi e altri azionisti privati mantengono in YPF.

Di fronte al pregiudizio dei padroni, ovvero che YPF sarà concessa a uno stato burocratico, sprecone e corrotto, opponiamo una YPF al 100% statale sotto il controllo democratico dei lavoratori, non basato sulla partecipazione della burocrazia sindacale, ma sull'elezione dei delegati direttamente nelle assemblee dei lavoratori a tutti i livelli (produzione, trasporto, commercializzazione e amministrazione), revocabili in qualsiasi momento e a parità di salario.

D'altra parte, non ci trova d'accordo l'aver indennizzato Repsol per l'espropriazione delle sue azioni. La presidente ha detto chiaramente: questa gente ha incassato più di  16,4 miliardi di dollari di profitti netti (dati dichiarati da Repsol stessa senza la verifica effettiva da parte delle agenzie statali, il che ci fa pensare a guadagni molto più elevati), mentre si calcola che l’acquistò nel 1999 per circa 15 miliardi di dollari. Questo senza considerare le condizioni fraudolenta di acquisizione, la violazione dei contratti di concessione, le manovre di svuotamento, i danni ambientali etc. nel corso degli anni in cui è stata portata avanti la privatizzazione.

Ciò significa che Repsol si è già ripreso indietro tutto ciò che ha pagato per l’acquisto e quindi lo stato argentino (cioè il popolo argentino) non dovrebbe corrispondere un solo peso per l’esproprio delle sue azioni.

Infine, riteniamo che il 51% delle azioni (espropriate a Repsol) dovrebbero rimanere interamente nelle mani dello stato. Non di rado i governi provinciali, e così anche oggi, hanno ceduto agli interessi della borghesia nazionale e internazionale. Temiamo che  un controllo del 24% della società da parte dei governi locali possa favorire interessi privati che andranno contro gli interessi generali di una YPF statale. Per lo stesso motivo, siamo favorevoli ad un emendamento costituzionale che indichi nello stato (e non nelle provincie) la proprietà delle risorse del sottosuolo.

Basta con le minacce imperialiste!

Mentre appoggiamo criticamente le misure annunciate ieri dalla presidente Cristina Fernandez, e manteniamo la nostra richiesta per una YPF al 100% statale sotto il controllo democratico dei lavoratori, sosteniamo il governo contro qualsiasi attacco proveniente dalle potenze imperialiste, (siano esse l'Unione europea, il governo degli Stati Uniti, l'Organizzazione Mondiale del Commercio o il G-20) per cercare di costringere il governo a tornare indietro rispetto alla nazionalizzazione parziale di YPF (come richiesto dal servo dell'imperialismo Felipe Calderon in Messico, che è contestato dal valoroso popolo messicano) o mettere in atto ritorsioni politiche o economica contro l'Argentina.

Le organizzazioni operaie e popolari del nostro paese devono lanciare immediatamente una campagna internazionale di solidarietà per raccogliere il massimo sostegno del movimento operaio mondiale, a iniziare da quello latino-americano e spagnolo, a sostegno della nazionalizzazione YPF e contro qualsiasi minaccia imperialista a danno dei lavoratori argentini e al loro governo.

Translation: FalceMartello (Italian)